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lunedì 30 aprile 2012

I pesci non votano (parte prima)

La “marina” è la pesca.
Il rumore è sempre lo stesso: quello dei pochi gabbiani, che volteggiano in aria, e delle onde che si infrangono ora sul bagnasciuga, ora sui blocchi di cemento. Anche le persone sembrano le stesse. Vecchi guardiani che fanno la guardia ad imbarcazioni sempre più vetuste in compagnia della loro MS. Perché le Marlboro costano care ed il lavoro non è remunerativo come prima. Questo è lo scenario della marineria di Mazara. Tutto, paradossalmente, sembra uguale. Fermo in un punto di quiete. Le voci dei marinai, certi giorni della settimana sono un ricordo, e, quando si sentono, spesso sono del Maghreb. Queste immagini, per nulla amplificate o stereotipate, sono la visione plastica di quella che una volta era la “marina”, di cui dovevi per forza parlare: per il numero di navi, per il presunto grado d’integrazione tra le diverse etnie, per la particolare posizione geografica, per la qualità, non eccelsa, ma comunque di rilievo del pescato. Questo è quello che era, rispetto a quello che è.  Ma se raccontando di ciò non si aggiunge nulla di nuovo al risaputo è solo perché la situazione attuale è figlia di un processo in cui nessuno ha mai voluto mettere le mani, per diverse ragioni, se non per aumentare ulteriormente il tasso di inefficienza del settore, per trasformare le imbarcazioni in seggi elettorali e per acquietare gli appetiti di personaggi non proprio “puliti”.
Vox populi vox dei.
Partiamo dall’inizio. Da ciò che pensa la gente. L’elemento essenziale di questa crisi è il caro carburante, cresciuto nell’ultimo decennio in modo sproporzionato rispetto al prezzo del greggio, ma soprattutto rispetto al prezzo del pescato. La prima esigenza, quando l’imbarcazione esce per una battuta di pesca, ancora prima dei salari, dei viveri e della burocrazia, è quella di coprire il costo del diesel impiegato per armare il natante. E’ opinione di tutti che se questo costasse meno non ci troveremmo in questa situazione. Gli si può dare torto? Nei bar si ascolta però un’altra versione, che non nega il costo del carburante, ma apre gli occhi su altre problematiche. Sostanzialmente l’anziano marinaio che da ormai 50 anni “bazzica” quei luoghi nota come la crisi del settore, sicuramente legata ad una crisi globale, non abbia allo stesso modo toccato tutti, nonostante i costi siano per tutti gli stessi. Alcuni imprenditori del mare, davvero pochi per la verità, hanno affrontato con piglio imprenditoriale la sfida, aumentando i propri interessi, riequilibrando gli interessi tra armatori e grossisti, superando la china e guardando anche ad altre nazioni, con situazioni sicuramente più agevoli. Se è vero che fisiologicamente questo salto non poteva essere fatto da tutti, una parte rilevante, che avrebbe trainato il comparto, doveva con competenza espandersi.
Andare avanti.
Negli anni ’60 e ’70, con ignoranza e con tanto sacrificio, potevi tirare avanti, ed anche bene. Oggi l’armatore medio, con la barca ereditata dal padre, segue schemi obsoleti condizionati dall’incapacità manageriale, dall’ignoranza, e dalla scarsa visione d’insieme. Insomma gli imprenditori sono così perché non sanno come va il mondo. La dimostrazione? Settori più professionali come quelli agricoli del nord Italia, capito per tempo come andavano le cose hanno automatizzato, innovato, razionalizzato. Sono andati al passo coi tempi. Gli armatori mazaresi no. La mancanza di metodo, di didattica, ha fatto puntare sempre un enorme pescato e su fermi biologici non dati secondo criteri logico-scientifici, ma secondo le elargizioni del politico di turno (o dell’amico locale del politico di turno). Che senso ha ad esempio dare il fermo biologico non considerando compiutamente i tipi di pesci pescati ed il loro relativo periodo di riproduzione? E si potrebbe anche parlare delle imbarcazioni, sproporzionate rispetto alle esigenze, che costringono a battute di pesca lunghe venti giorni, con un connesso posizionamento del mercato che da una parte inflaziona il pesce realmente fresco, dall’altro non produce il benessere sperato a fronte dell’investimento.
    
C’è del marcio?
Soggetti ancora più arditi, con il tipico sguardo di chi dalla vita ha capito tutto e niente più vuole sapere, propongono una tesi ancora più forte: anche negli anni ’80 il settore non era realmente così florido, solo che c’erano altre forme d’introito. Non lecite. Molte realtà armatoriali, quando la mafia controllava anche i singoli granelli di sabbia, avevano capito che con i pescherecci si poteva fare arrivare in Sicilia di tutto. Armi, droga, clandestini. Così come si poteva inviare (e trasportare) di tutto e chiunque. Questo garantiva ingenti quantità di denaro che doveva essere gestito, meglio se allegramente, attraverso gli stessi armatori, motoristi e gente di mare prezzolata a dovere. Il mercato, di fatto, veniva drogato da natanti, che uscivano in mare non solo per pescare: i soldi erano comunque garantiti. Ma svanito il controllo materiale della mafia sul porto (e specifico: fine del controllo, non della presenza), le imprese sono dovute andare avanti da sé. Ora non voglio insinuare che la marineria di Mazara fosse il vespaio della mafia, ma che era ne sicuramente tangibile il suo controllo nei precedenti decenni.  La più tipica esemplificazione di questa realtà è la mancanza di una teoria d’insieme nella flotta. Perché un settore che si presta per sua stessa natura alla collettività, dove tutti dicono di pescare prodotto locale, non ha dato ordinario seguito alle cooperative? Queste sono state il punto di forza di molte economie: la divisione della ricchezza era omogenea, ma soprattutto la difficoltà non ricadeva sul singolo. Prendete Mazara invece, fallisce un natante, la società che ci sta dietro, infliggendo danno all’intero sistema, ma nessuno ha titolo o modo per sopperire. Ma d’altronde chi avrebbe messo bocca, se poi ognuno aveva un piccolo segreto da mantenere? Chi avrebbe voluto condividere se aveva di che temere o di che essere temuto?

Oltre c’è la politica.
Si sorride quando si constata che nell’elenco dei lavori usuranti non c’è ilmarinaio, nonostante il sindaco Cristaldi sia stato politico di spicco (e per la verità ancora lo è), a livello regionale o nazionale. Si sorride perché il mercato all’ingrosso è arrivato con un ritardo mostruoso nella sede del porto, ed alla fine, quando ormai anche le pietre sapevano che era inutile è stato costruito lo stesso dall’amministrazione comunale del tempo. Si sorride perché mai e poi mai si è pensato di smuovere la politica nazionale, da Berlusconi a Miccichè, sulle navi giapponesi che solcano il mar Mediterraneo, fregandosene delle nostre regole o esigenze. Si sorride perché il marchio “doc” (o “dop”) non è ancora stato promosso, effettivamente e compiutamente, per il nostro pesce o per prodotti ad esso strettamente connessi per avere una tutela legale sugli abusi che il sistema del mercato impone per aumentare il profitto di chi uomo di mare non è. Si sorride perché il porto canale viene dragato con tutta questa lentezza e senza una cadenza prefissata. Ma la politica mazarese continua a scendere in piazzetta dello Scalo cercando consensi. E ancora oggi ne ha molti.
Tutto questo discorso, e poi? Poi ci sarebbero le soluzioni, ma questa è un’altra storia.

Ivano Asaro
(foto: Alberto Tumbiolo)

I pesci non votano (parte prima)


La “marina” è la pesca.
Il rumore è sempre lo stesso: quello dei pochi gabbiani, che volteggiano in aria, e delle onde che si infrangono ora sul bagnasciuga, ora sui blocchi di cemento. Anche le persone sembrano le stesse. Vecchi guardiani che fanno la guardia ad imbarcazioni sempre più vetuste in compagnia della loro MS. Perché le Marlboro costano care ed il lavoro non è remunerativo come prima. Questo è lo scenario della marineria di Mazara. Tutto, paradossalmente, sembra uguale. Fermo in un punto di quiete. Le voci dei marinai, certi giorni della settimana sono un ricordo, e, quando si sentono, spesso sono del Maghreb. Queste immagini, per nulla amplificate o stereotipate, sono la visione plastica di quella che una volta era la “marina”, di cui dovevi per forza parlare: per il numero di navi, per il presunto grado d’integrazione tra le diverse etnie, per la particolare posizione geografica, per la qualità, non eccelsa, ma comunque di rilievo del pescato. Questo è quello che era, rispetto a quello che è.  Ma se raccontando di ciò non si aggiunge nulla di nuovo al risaputo è solo perché la situazione attuale è figlia di un processo in cui nessuno ha mai voluto mettere le mani, per diverse ragioni, se non per aumentare ulteriormente il tasso di inefficienza del settore, per trasformare le imbarcazioni in seggi elettorali e per acquietare gli appetiti di personaggi non proprio “puliti”.

Vox populi vox dei.
Partiamo dall’inizio. Da ciò che pensa la gente. L’elemento essenziale di questa crisi è il caro carburante, cresciuto nell’ultimo decennio in modo sproporzionato rispetto al prezzo del greggio, ma soprattutto rispetto al prezzo del pescato. La prima esigenza, quando l’imbarcazione esce per una battuta di pesca, ancora prima dei salari, dei viveri e della burocrazia, è quella di coprire il costo del diesel impiegato per armare il natante. E’ opinione di tutti che se questo costasse meno non ci troveremmo in questa situazione. Gli si può dare torto? Nei bar si ascolta però un’altra versione, che non nega il costo del carburante, ma apre gli occhi su altre problematiche. Sostanzialmente l’anziano marinaio che da ormai 50 anni “bazzica” quei luoghi nota come la crisi del settore, sicuramente legata ad una crisi globale, non abbia allo stesso modo toccato tutti, nonostante i costi siano per tutti gli stessi. Alcuni imprenditori del mare, davvero pochi per la verità, hanno affrontato con piglio imprenditoriale la sfida, aumentando i propri interessi, riequilibrando gli interessi tra armatori e grossisti, superando la china e guardando anche ad altre nazioni, con situazioni sicuramente più agevoli. Se è vero che fisiologicamente questo salto non poteva essere fatto da tutti, una parte rilevante, che avrebbe trainato il comparto, doveva con competenza espandersi.

Andare avanti.
Negli anni ’60 e ’70, con ignoranza e con tanto sacrificio, potevi tirare avanti, ed anche bene. Oggi l’armatore medio, con la barca ereditata dal padre, segue schemi obsoleti condizionati dall’incapacità manageriale, dall’ignoranza, e dalla scarsa visione d’insieme. Insomma gli imprenditori sono così perché non sanno come va il mondo. La dimostrazione? Settori più professionali come quelli agricoli del nord Italia, capito per tempo come andavano le cose hanno automatizzato, innovato, razionalizzato. Sono andati al passo coi tempi. Gli armatori mazaresi no. La mancanza di metodo, di didattica, ha fatto puntare sempre un enorme pescato e su fermi biologici non dati secondo criteri logico-scientifici, ma secondo le elargizioni del politico di turno (o dell’amico locale del politico di turno). Che senso ha ad esempio dare il fermo biologico non considerando compiutamente i tipi di pesci pescati ed il loro relativo periodo di riproduzione? E si potrebbe anche parlare delle imbarcazioni, sproporzionate rispetto alle esigenze, che costringono a battute di pesca lunghe venti giorni, con un connesso posizionamento del mercato che da una parte inflaziona il pesce realmente fresco, dall’altro non produce il benessere sperato a fronte dell’investimento.
    
C’è del marcio?
Soggetti ancora più arditi, con il tipico sguardo di chi dalla vita ha capito tutto e niente più vuole sapere, propongono una tesi ancora più forte: anche negli anni ’80 il settore non era realmente così florido, solo che c’erano altre forme d’introito. Non lecite. Molte realtà armatoriali, quando la mafia controllava anche i singoli granelli di sabbia, avevano capito che con i pescherecci si poteva fare arrivare in Sicilia di tutto. Armi, droga, clandestini. Così come si poteva inviare (e trasportare) di tutto e chiunque. Questo garantiva ingenti quantità di denaro che doveva essere gestito, meglio se allegramente, attraverso gli stessi armatori, motoristi e gente di mare prezzolata a dovere. Il mercato, di fatto, veniva drogato da natanti, che uscivano in mare non solo per pescare: i soldi erano comunque garantiti. Ma svanito il controllo materiale della mafia sul porto (e specifico: fine del controllo, non della presenza), le imprese sono dovute andare avanti da sé. Ora non voglio insinuare che la marineria di Mazara fosse il vespaio della mafia, ma che era ne sicuramente tangibile il suo controllo nei precedenti decenni.  La più tipica esemplificazione di questa realtà è la mancanza di una teoria d’insieme nella flotta. Perché un settore che si presta per sua stessa natura alla collettività, dove tutti dicono di pescare prodotto locale, non ha dato ordinario seguito alle cooperative? Queste sono state il punto di forza di molte economie: la divisione della ricchezza era omogenea, ma soprattutto la difficoltà non ricadeva sul singolo. Prendete Mazara invece, fallisce un natante, la società che ci sta dietro, infliggendo danno all’intero sistema, ma nessuno ha titolo o modo per sopperire. Ma d’altronde chi avrebbe messo bocca, se poi ognuno aveva un piccolo segreto da mantenere? Chi avrebbe voluto condividere se aveva di che temere o di che essere temuto?

Oltre c’è la politica.
Si sorride quando si constata che nell’elenco dei lavori usuranti non c’è ilmarinaio, nonostante il sindaco Cristaldi sia stato politico di spicco (e per la verità ancora lo è), a livello regionale o nazionale. Si sorride perché il mercato all’ingrosso è arrivato con un ritardo mostruoso nella sede del porto, ed alla fine, quando ormai anche le pietre sapevano che era inutile è stato costruito lo stesso dall’amministrazione comunale del tempo. Si sorride perché mai e poi mai si è pensato di smuovere la politica nazionale, da Berlusconi a Miccichè, sulle navi giapponesi che solcano il mar Mediterraneo, fregandosene delle nostre regole o esigenze. Si sorride perché il marchio “doc” (o “dop”) non è ancora stato promosso, effettivamente e compiutamente, per il nostro pesce o per prodotti ad esso strettamente connessi per avere una tutela legale sugli abusi che il sistema del mercato impone per aumentare il profitto di chi uomo di mare non è. Si sorride perché il porto canale viene dragato con tutta questa lentezza e senza una cadenza prefissata. Ma la politica mazarese continua a scendere in piazzetta dello Scalo cercando consensi. E ancora oggi ne ha molti.

Tutto questo discorso, e poi? Poi ci sarebbero le soluzioni, ma questa è un’altra storia.




Alberto Tumbiolo (foto)
Ivano Asaro

lunedì 23 aprile 2012

La Repubblica degli stronzi. Telejato non ti meritiamo.


Spendere parole in certe occasioni è quanto mai la cosa più inutile da fare. Spendere parole talvolta è davvero fuori luogo. In certe circostanze il silenzio è il cerotto di una società che ha ferite che non si possono sanare. La nostra Repubblica non è più quella immaginata dai padri fondatori, scritta nella costituzione, per cui migliaia di uomini sono morti. La nostra è piuttosto la repubblica degli stronzi. Non siamo più degni di definirci figli dei partigiani, tanto più che alcuni non si sono mai definiti tali, non siamo neanche più in grado di sostenere una bandiera che nei suoi colori aveva il verde della speranza ed il rosso dell’ardore e del coraggio. Ormai siamo un’illusione. Siamo figli dei professionisti della politica, gente che mai e poi mai manderà avanti qualcun altro migliore di loro, poiché sono schiavi dello stipendificio della politica. Stiamo tanto a perderci su parole che sono vuote, libertà e giustizia ad esempio, che senza una reale difesa di alcuni concetti essenziali, che partono sempre dall’idea di società, sono vuote. Invece no, i politici, che non s’immaginano nemmeno di porre idee contro i problemi si piegano al volere d’interessi superiori. Come può questo definirsi uno stato civile se neppure ciò che è evidente è sancito. Dove i disonesti giocano con due o tre mazzi di carte e gli onesti hanno talmente poco spazio che sembrano non esistere.

Il beauty contest cancellerà Telejato, forse ormai neanche le speranze hanno un senso. Un territorio quello del palermitano che grazie all’opera d’informazione costante aveva avuto una sua dignità, aveva finalmente ciò per cui vantarsi oltre a quello per cui vergognarsi. Pino Maniaci ha saputo nonostante tutto essere il vessillo nazionale di un problema che nazionalmente s’ignora: la mancanza di libertà, di pensiero. Si perché nessuno è libero di pensare se le verità non sono tutte raccontate. Se Pino Maniaci non avesse raccontato le malefatte dei mafiosi, quelli sarebbero soltanto imprenditori scellerati agli occhi della gente. Eppure i politici che sanno oliare i meccanismi dei listini bloccati e la pubblica amministrazione per le nomine, pardon, per le raccomandazioni, non sono riusciti a salvare un’emittente che da solo ha formato professionisti, ha fatto conoscere una terra esclusa pure dal mappamondo per volere delle mafie. E freghiamocene se la Bertolino a Partinico prima ed a Mazara poi non c’è stata anche e soprattutto per Pino Maniaci, e freghiamocene se le querele per il bene di tutti se l’è prese lui. Freghiamocene di tutto. Anche di un uomo che non ha più la sua vita, costretto com’è ad interpretare il ruolo di eroe, che lui umilmente dice di non essere, ma che in fondo è come del resto tutta la sua famiglia. Che vi credete che sia facile essere parenti senza scorta di Pino Maniaci nel territorio stesso di cui si raccontano le verità? Eppure Telejato chiuderà. Chiude non perché non si siano trovate le scorciatoie o i cavilli, quelli si trovano e si sono trovati perfino per questioni più grosse: ricordate l‘affaire rete 4? Per Telejato, in una piccola parte della Sicilia invece no. Certo.Ma bisogna chiedersi chi lo vuole, di sicuro non i partiti dei mafiosi, quelli sempre nominati da Maniaci; di sicuro non i partiti con i mafiosi, anche loro citati per le loro strane abitudini; ma fidatevi neanche i partiti meno vicini al potere mafioso, e perciò più colpevoli. Non uso giri di parole, il Pd si è dimenticato di Telejato, perché era bello farsi fotografare con Pino Maniaci, passare per il suo microfono, ma lo stesso poi diventava antipatico se diventavi sponsor di Lombardo, che con la mafia deve chiarire i suoi rapporti, in base a quello che ci dicono i magistrati. Chi lo vuole maniaci che è sempre stato il cane da guardia della Democrazia, il cane pazzo da guardia. Nessuno a quanto pare. Senza renderci conto che quando l’ultima parola da quella emittente verrà proferita non si spegnerà soltanto una televisione, ma una voce, un pensiero, un sogno, l’intero paese che perderà la sua dignità. Quando Telejato si spegnerà l’economia dello stato, per meglio dire degli uomini dello stato, avrà vinto contro i diritti sanciti in COSTITUZIONE, avrà vinto sulla testa delle persone che saranno meno libere e più deboli, insomma sempre più schiave. A Pino non servono i grazie per avere dato tanto, troppo ad un paese, una regione, un territorio che non lo merita. No Pino, noi non ti meritiamo, perché siamo pronti ad indignarci per Santoro, per carità degno di una battaglia di civiltà ma sicuramente in una situazione infinitamente più facile della tua. E scusatemi se dico solo Pino, conosco i membri della famiglia ma per discrezione non li cito, ma specialmente sua moglie sa quanto voglio bene a quella famiglia e quanta stima ho per loro, e quanta impotenza provo in questi momenti.

Ivano Asaro

La Repubblica degli stronzi. Telejato non ti meritiamo.



Spendere parole in certe occasioni è quanto mai la cosa più inutile da fare. Spendere parole talvolta è davvero fuori luogo. In certe circostanze il silenzio è il cerotto di una società che ha ferite che non si possono sanare. La nostra Repubblica non è più quella immaginata dai padri fondatori, scritta nella costituzione, per cui migliaia di uomini sono morti. La nostra è piuttosto la repubblica degli stronzi. Non siamo più degni di definirci figli dei partigiani, tanto più che alcuni non si sono mai definiti tali, non siamo neanche più in grado di sostenere una bandiera che nei suoi colori aveva il verde della speranza ed il rosso dell’ardore e del coraggio. Ormai siamo un’illusione. Siamo figli dei professionisti della politica, gente che mai e poi mai manderà avanti qualcun altro migliore di loro, poiché sono schiavi dello stipendificio della politica. Stiamo tanto a perderci su parole che sono vuote, libertà e giustizia ad esempio, che senza una reale difesa di alcuni concetti essenziali, che partono sempre dall’idea di società, sono vuote. Invece no, i politici, che non s’immaginano nemmeno di porre idee contro i problemi si piegano al volere d’interessi superiori. Come può questo definirsi uno stato civile se neppure ciò che è evidente è sancito. Dove i disonesti giocano con due o tre mazzi di carte e gli onesti hanno talmente poco spazio che sembrano non esistere.

Il beauty contest cancellerà Telejato, forse ormai neanche le speranze hanno un senso. Un territorio quello del palermitano che grazie all’opera d’informazione costante aveva avuto una sua dignità, aveva finalmente ciò per cui vantarsi oltre a quello per cui vergognarsi. Pino Maniaci ha saputo nonostante tutto essere il vessillo nazionale di un problema che nazionalmente s’ignora: la mancanza di libertà, di pensiero. Si perché nessuno è libero di pensare se le verità non sono tutte raccontate. Se Pino Maniaci non avesse raccontato le malefatte dei mafiosi, quelli sarebbero soltanto imprenditori scellerati agli occhi della gente. Eppure i politici che sanno oliare i meccanismi dei listini bloccati e la pubblica amministrazione per le nomine, pardon, per le raccomandazioni, non sono riusciti a salvare un’emittente che da solo ha formato professionisti, ha fatto conoscere una terra esclusa pure dal mappamondo per volere delle mafie. E freghiamocene se la Bertolino a Partinico prima ed a Mazara poi non c’è stata anche e soprattutto per Pino Maniaci, e freghiamocene se le querele per il bene di tutti se l’è prese lui. Freghiamocene di tutto. Anche di un uomo che non ha più la sua vita, costretto com’è ad interpretare il ruolo di eroe, che lui umilmente dice di non essere, ma che in fondo è come del resto tutta la sua famiglia. Che vi credete che sia facile essere parenti senza scorta di Pino Maniaci nel territorio stesso di cui si raccontano le verità? Eppure Telejato chiuderà. Chiude non perché non si siano trovate le scorciatoie o i cavilli, quelli si trovano e si sono trovati perfino per questioni più grosse: ricordate l‘affaire rete 4? Per Telejato, in una piccola parte della Sicilia invece no. Certo.Ma bisogna chiedersi chi lo vuole, di sicuro non i partiti dei mafiosi, quelli sempre nominati da Maniaci; di sicuro non i partiti con i mafiosi, anche loro citati per le loro strane abitudini; ma fidatevi neanche i partiti meno vicini al potere mafioso, e perciò più colpevoli. Non uso giri di parole, il Pd si è dimenticato di Telejato, perché era bello farsi fotografare con Pino Maniaci, passare per il suo microfono, ma lo stesso poi diventava antipatico se diventavi sponsor di Lombardo, che con la mafia deve chiarire i suoi rapporti, in base a quello che ci dicono i magistrati. Chi lo vuole maniaci che è sempre stato il cane da guardia della Democrazia, il cane pazzo da guardia. Nessuno a quanto pare. Senza renderci conto che quando l’ultima parola da quella emittente verrà proferita non si spegnerà soltanto una televisione, ma una voce, un pensiero, un sogno, l’intero paese che perderà la sua dignità. Quando Telejato si spegnerà l’economia dello stato, per meglio dire degli uomini dello stato, avrà vinto contro i diritti sanciti in COSTITUZIONE, avrà vinto sulla testa delle persone che saranno meno libere e più deboli, insomma sempre più schiave. A Pino non servono i grazie per avere dato tanto, troppo ad un paese, una regione, un territorio che non lo merita. No Pino, noi non ti meritiamo, perché siamo pronti ad indignarci per Santoro, per carità degno di una battaglia di civiltà ma sicuramente in una situazione infinitamente più facile della tua. E scusatemi se dico solo Pino, conosco i membri della famiglia ma per discrezione non li cito, ma specialmente sua moglie sa quanto voglio bene a quella famiglia e quanta stima ho per loro, e quanta impotenza provo in questi momenti.

giovedì 5 aprile 2012

Il pericolo vero è l’avvento del Fascismo Bancario…. che i fatti ne stiano preparando l’avvento?


E’ vero. Si è vero, qualcosa nel nostro paese sta accadendo. Lo strano concatenamento di eventi che da qualche tempo pregiudicano, e non solo semplicemente influenzano, le sorti del nostro stato è chiaro. Borse in fibrillazione quasi ad orologeria in tutte le fasi governative, giudici stranamente scelti, nonostante tutto, per l’amico più stretto e fidato di Mr B., Marcello Dell’Utri, il quale molto probabilmente non vedrà mai la galera, come se qualcuno volesse comprarne la silenziosità, a discapito di altri che in galera per lo stesso reato ci sono, eccome. E’ quasi tutto lineare, come se gli eventi ci vogliano consegnare una nuova Pax, è come se i fatti avessero un obiettivo comune, quello di aprire le porte a qualcuno che verrà dopo e che non deve essere ostacolato da chi c'è adesso, un po’ come accaduto per MrB. dopo tangentopoli. Ma Berlusconi e la sua ascesa, la cui spiegazione totale e definitiva deve essere ancora scritta, erano frutto d’interessi e di un vuoto, quello dei partiti che non esistevano più. Proprio quel momento infatti, post Mafiopoli e Tangentopoli, scacciò i socialisti, i democristiani, etc etc, costringendo perfino i comunisti a darsi una nuova anima, nonostante che il Compagno Greganti avesse, a torto od a ragione, salvato capre e cavoli. Ma oggi questo non c’è, anzi i partiti sono troppi e troppo alto e penetrante il loro potere. La politica decide su tutto anche quando, paradossalmente, non si pronuncia. I partiti sono il metro reale di quanto confuso sia il nostro stato, di quale grave crisi ideologica si stia vivendo, persone che la pensano per lo più allo stesso modo, tranne che per trascurabili sfumature, sono per convenienza in partiti diversi, perché in sedi e sezioni diverse hanno maggiore peso, ecco perché, persino, la trasversalità oggi non è più una brutta parola, quando fino a poco tempo addietro era sinonimo di trasformismo. Ma questo, considerando l’amoralità dei partiti, è un problema secondario, perché i partiti comunque ci sono. Il pd, pdl, udc, etc etc, hanno sempre i loro candidati, può succedere qualsiasi cosa, ma dovunque, comune o provincia del nord, centro o sud il loro simbolo campeggierà, e saranno in maggioranza od opposizione, ma sempre la a presidiare gli interessi di tutte le coorti formatisi dietro questo o quel candidato. Allora perché, mi chiedo, ma questo è solo frutto di una sensazione, qualcosa di nuovo sta per irrompere nella scena, presentandosi come la vera ed unica via possibile? Quando e come questo avverrà non lo so, però lancio qualche spunto di riflessione, che fra le riga è possibile leggere nei fatti di tutti i giorni. Partiamo dal principio. Che in Italia tutto per ora vada male non è indubbio, che non si salvi nessuno se non le realtà che più strettamente si confrontano con l’estero è un dato di fatto, la stessa Fiat, va bene, si fa per ridere, solo all’estero. Vanno male le aziende, si riduce il risparmio delle famiglie, aumentano le incertezze, i titoli di studio seppure non de-legalizzati hanno un peso infinitamente inferiore a quello di qualche anno fa, perfino il calcio sta per collassare, basterebbe solo che qualche grande club avesse un tesserato coinvolto per affossare l'intera serie A. Tutto, appunto, va male. Alle spalle abbiamo un 2008, annus horribilis, che molto peggio è rispetto a quel tanto citato 1929, anno che usano i notisti come metro di paragone per descrivere l’impatto sociale della crisi economica. Ancora di più, nelle fabbriche non è più strano vedere scene di umiliazione, di singoli di fronte alla massa, come a mettere uno contro gli altri gli stessi operai, e poi la ciliegina sulla torta, il potere Mafioso è, come prima, un vero e proprio interlocutore politico. A Milano, come a Genova, se vuoi essere eletto o sei fortunato oppure devi passare dai Boss. Tutto questo per una persona che abbia minimamente studiato è il panorama che gli storici descrivono prima della venuta, anzi per usare i termini didattici, della comparsa dei forti partiti totalitari, i quali nella forza del singolo Leader incarnano un’idea, sviluppano teorie e sogni, celano le malversazioni che in realtà i potentati, che sostengono il potere, vogliono ottenere. Una su tutte che mi ritorna nella mente in questi giorni, e penso non sia un caso, è la diminuzione dei diritti sociali, dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali. Vi dice qualcosa questo argomento? Forse corro troppo con la mente, forse corro troppo con il rievocare il fascismo, come se qualcuno a breve volesse riprenderne le mire, come se poi i fascisti se ne siano mai andati. Forse esagero, ma se esagero lo faccio in quale verso? Esagero perché noto e metto insieme cose fra loro legate solo da coincidenze o perché il nuovo fascismo non avrà camicie nere e fasci littori ma palmari con l’aggiornamento dello spread, titoli di stato da piazzare, e persone da sacrificare sull’altare dei numeri? Non è che il nuovo totalitarismo si maschererà da diritto bancario, userà le armi della depressione finanziaria per ottenere qualcosa, anche attraverso quegli adepti che foraggia nei mass-media? La risposta non la so, e questo mio modo di fare mi ricorda il professore Ruffolo, che alle domande irrisolte a lezione sornione replica che le risposte possono essere molteplici, nella convenienza vostra troverete quella che un giorno vi sarà più utile, non essendoci univocità di vedute ed interpretazioni. Qui però non si parla di diritto, od almeno non solo, perciò Io alle prossime elezioni se vedessi un uomo candidato rappresentante delle Banche, più o meno direttamente, non lo voterò.


Ivano Asaro

Un alternativa d’obbligo


Sarà che in questo vecchio pazzo paese la normalità non è mai stata di casa, sarà che il confine tra ciò che è giusto o sbagliato (legale o illegale) è talmente sottile da essere abitualmente confuso, sarà che il qualunquismo è la patologia più comune tra la gente, e l’opinione pubblica è macchiata da un malsano relativismo che fa dell’ignoranza la sua arma migliore e della menzogna la sua primaria fonte di sostentamento , sarà che da quando riesco a capirci qualcosa la politica o almeno quella degna di tale nome l’ho vista tristemente soltanto sui libri di storia (nemmeno tanto recente)cosa già dette già sentite , sarà ; eppure in mezzo a questo oceano di considerazioni reali ma che erroneamente inducono ad avere un’ idea totalmente pessima e pessimista della nostra società, trova spazio la solita sciagurata speranza.

La solita sciagurata speranza, quella di un Italia diversa o meglio di italiani diversi, chissà se migliore mi limito a dire diversa; perché a questo “sistema” dove vige la legge del più furbo, dove la legalità solo talvolta è un dovere, una necessità, dove politica e corruzione, stato e mafie hanno avuto e continuano ad avere interessi comuni; destini incrociati, a uno stato criminale si può e si deve contrapporre un alternativa.

L’ anomalia è palese il nostro è in un paese dove la legalità rappresenta un alternativa e non la prassi.

Il quesito essenziale che mi pongo a questo punto, al di là della soluzione, al di là della via giusta da percorrere (credo di parlare a nome di un intero popolo affermando che la giustizia, il rispetto delle leggi, l’equità tra governati e governanti siano la via giusta da perseguire per una condizione sociale che ci avvicini ai nostri modelli europei ) è fondamentale capire chi?chi potrebbe nell’immediatezza rappresentare la giusta controparte?chi l’innovatore?

Sarò sincero non ho una risposta o almeno attualmente non ho una risposta “politica” che soddisfi pienamente i suddetti quesiti.

Scoraggiato anche dal fatto che i partiti che si avvalgono di maggiori consensi elettorali sono: il soggetto politico responsabile del disastro economico , sociale e culturale italiano degli ultimi anni: il reo PDL, e il PD che con un opposizione di facciata diventa di fatto corresponsabile e complice. Nessuna differenza tra gli schieramenti, se poniamo la questione morale al centro della nostra auspicata innovazione, i superstiti sono certamente pochi, sicuramente insufficienti.

A questa politica corrotta e corruttrice, che non può rappresentare un alternativa leale, e che non può aspirare minimamente ad essere un modello in Europa, voglio contrapporre la purezza di singoli che lottando quotidianamente portano alle spalle il peso di un intero popolo, quella sciagurata speranza.

Utopico si, Lecito anche, perché ho sempre criticato il qualunquismo insensato, il “sono tutti uguali” m’infastidisce parecchio e quindi cominciamo a selezionare gli ideali di quegli italiani onesti dai ladri, i vari criminali Dell’Utri, Riina, Provenzano, Mr B… & co. dai lodevoli ( ognuno a suo modo )Falcone,Borsellino, Pino Maniaci , Peppino Impastato,Don Peppino Diana, Marco Travaglio solo per citare i più noti all’informazione, vorrei citare anche le tantissime anonime persone, imprenditori, sindaci, avvocati, giudici che nel silenzio, nel buio, nel disinteresse generale, lottano e magari muoiono per la legalità e la giustizia.

Concludo questo articolo con le parole tratte da un documento che fu di Don Peppino Diana, ciò che sarebbe dovuto essere un discorso pubblico, ma arrivarono prima le armi,i killer e la morte.

“Non permettiamo uomini che le nostre terre diventino luoghi di camorra, diventino un'unica grande Gomorra da distruggere..” [cit].

Pasquale Diodato.