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lunedì 14 dicembre 2015

elaborazione tesi 2

IL RAPPORTO TRA L’EUROPA ED I PAESI TERZI MEDITERRANEI
1. Le fasi iniziali e prime intese (1957-1989)
Sin dall’inizio del XIX secolo, le relazioni economiche tra Paesi terzi mediterranei ed Europei, il <<concetto d’Europa>> è in quel momento non ancora delineato istituzionalmente, si basano sulla necessità di integrare una parte di essi, ed in particolare quelli del Maghreb, nell’economia della “metropoli”, veri e propri “dominus” europei delle sorti dei paesi controllati. Al momento della nascita della Comunità Economica Europea (CEE), nel 1957, Marocco, Tunisia e Algeria sono, in ragione dei rapporti sostenuti, e sostanzialmente forzati, con la Francia (in quanto sue ex colonie), i Paesi mediterranei più prossimi alla Comunità, sul piano sia politico che, necessariamente, economico. Scopo basilare di tali relazioni sta nella necessità di reggere e di accrescere i legami di natura economica e politica con i Paesi del Mediterraneo al fine di assicurare all’Europa una posizione di primo piano in un’area di enorme importanza strategica, non solo economicamente ma anche dal punto di vista militare. Il Trattato di Roma si colloca, quindi, in un quadro storico ancora essenzialmente coloniale o di recente decolonizzazione, fortemente intriso di controllo più o meno palese: in esso si possono trovare solo i presupposti della sintonia, che solo più tardi darà vita ad una vera e propria politica mediterranea. C’è, tuttavia, la disponibilità degli Stati CEE ad avviare, immediatamente, negoziati con i Paesi mediterranei al fine di concludere <<convenzioni di associazione economica>> e ciò per un duplice obiettivo: mantenere ed intensificare le tradizionali correnti di scambio commerciale tra la CEE e questi paesi terzi, e contribuire all’espansione economica e sociale di questi ultimi, in quanto potenziali partner futuri. Ciò mostra quanto forte sia stata l’attenzione comunitaria nell’area mediterranea a mantenere discipline speciali negli scambi con alcuni Paesi, i cosiddetti “Paesi associati”. Questa categoria venne addirittura prevista dal Trattato di Roma proprio per consentire la continuazione del trattamento preferenziale tra alcuni membri della Comunità e Paesi terzi mediterranei. L’accordo di associazione presuppone una forma di cooperazione-partecipazione più intensa di quella prevista dagli accordi tariffari e commerciali e lo scopo è di predisporre azioni sinergiche, raggiungere fini unitari, creare organi, di respiro istituzionale, in grado di fissare criteri validi anche per un futuro di collaborazione via via più stringente; in altre parole, “istituzionalizzare” la cooperazione. In questa fase, quindi, i rapporti euro-mediterranei sono basati sulla reciprocità di diritti e di obblighi. Ma la reciprocità, nella veste anche di corrispondenza tra dare ed avere non biunivoco, va intesa in senso ampio: va, cioè, escluso che ogni obbligo debba ricadere in egual misura sulle due parti, poiché le differenze tra la Comunità ed i Paesi mediterranei, sotto il profilo dello sviluppo, erano, e sono, così marcate da consentire solo un livello di reciprocità-partecipazione molto limitato. A partire dalla metà degli anni ‘60, come appena detto, i paesi CEE assumono un approccio verso i Paesi mediterranei orientato essenzialmente su patti commerciali preferenziali e di associazione, strutturati con i singoli Paesi del bacino del Maghreb, già definiti “accordi di prima generazione”; tuttavia i rapporti stabiliti dalla CEE con i Paesi mediterranei fino al 1972 non possono certamente considerarsi ispirate ad una visione d’insieme. La Comunità, infatti, si prospetta principalmente di conseguire, in misura variabile da Paese a Paese, una certa liberalizzazione dei traffici commerciali anche quando usa lo strumento politico della cooperazione o la formula dell’associazione. Nel 1961 e nel 1963 vengono decisi i primi Accordi di Associazione con la Grecia e la Turchia, che già due anni prima avevano presentato domanda di adesione. Tali accordi mirano a creare un’unione doganale. Al di là dei contenuti limitati, e degli annunci, questi accordi effettivamente servono a scongiurare il pericolo che il processo di integrazione comunitaria possa condizionare negativamente le strutture economiche dei Paesi in questione, compromettendo in qualche modo la presenza di questi nell’Alleanza atlantica. La Comunità Europea tenta evidentemente di consolidare e stabilizzare l’area sud-continentale contro quello che al momento appare, ed il retaggio lo cogliamo ancora oggi, come la <<grande paura>>, ovvero la potenziale, e paventata, espansione sovietica nel Mediterraneo attraverso l’avvicinamento a realtà meno salde socio-economicamente. Possono essere letti allo stesso modo anche gli Accordi di Associazione conclusi con Malta e Cipro (1970/1972); nonostante il loro obiettivo non sia la piena partecipazione-collaborazione, la costituzione di un’unione doganale è intavolata allo scopo di ricoprire il difficile vuoto causato dal venir meno dei vincoli storici delle due isole mediterranee con il Regno Unito. Tra il 1965 e il 1973 vengono inoltre firmati Accordi associativi per il mantenimento di peculiari vincoli con Tunisia e Marocco (1969) e accordi eterogenei, misti commerciali e di cooperazione tecnica, con Libano (1965), accordi politico-commerciali con Spagna ed Israele (1970), Portogallo ed Egitto (1972) e Jugoslavia (1973). L’impianto sostanziale che accomuna questo gruppo di accordi consta nel fatto che la Comunità si pone, nell’ambito mediterraneo, unicamente come un blocco economico, e non come autorità politica, anche in virtù di uno scacchiere geopolitico fortemente dualistico, perorando cause solo in campo commerciale, almeno direttamente, e nelle altre relazioni di tipo economico ed consegnando ad ogni Stato contraente la libera proposta politica. Tali contatti, tuttavia, rimangono improntati sul modello instaurato durante il periodo coloniale in quanto persiste il meccanismo di essere posti essenzialmente sull’acquisto di materie prime e sulla vendita di prodotti del settore secondario dei paesi Comunitari. Tuttavia, la CEE con il Marocco e la Tunisia, instaura un dialogo differente; ottenuta l’indipendenza totale dalla Francia, nel 1956, questi due Neo Stati Sovrani chiedono l’instaurarsi di trattative per associarsi ai sei membri della Comunità, basando tale richiesta sull’articolo 238 del Trattato di Roma. I negoziati, protrattisi per molti anni, si risolvono nel 1969 con degli Accordi di Associazione sottoscritti per una durata di cinque anni. Questi accordi, benché poggino come base giuridica sull’articolo 238 del Trattato del 1957, di fatto sono concordati commerciali ed economici che fissano un regime preferenziale. I lunghi e problematici negoziati, antecedenti alla ratifica degli accordi, sottolineano già la difficoltà di immaginare scelte in grado di conciliarsi con gli interessi dei produttori agricoli comunitari; difatti malgrado questi accordi siano denominati come “convenzioni di associazione”, questi si limitano, in pratica, a disciplinare il sistema degli scambi. Le fondamentali disposizioni dei suddetti accordi controllano il libero accesso nel mercato comunitario per la quasi totalità dei prodotti industriali marocchini e tunisini, ed il riconoscimento di un regime privilegiato per alcuni prodotti agricoli. Il concordato stipulato con l’Egitto, invece, è un esempio di accordo commerciale preferenziale tra i più moderni, poiché prevede, praticamente preannunciandolo, l’instaurazione, con un termine temporaneo, di un’area di libero scambio e la deroga dai dazi doganali per tutti i prodotti industriali e corsie preferenziali per alcuni prodotti agricoli. Comprendendo lo spirito della difformità con quelli non preferenziali, è essenziale menzionare il fatto che gli Stati membri CEE sono assoggettati oltre che all’adempimento degli impegni previsti dal trattato di Roma, anche al rispetto delle norme indicate nel General Agreement on Tariffs and Trade (GATT), che, ai sensi dell’art. 24, assoggetta alla realizzazione di zone di libero scambio l’autorizzazione di trattamenti commerciali “preferenziali” e cioè di particolare favore rispetto all’impianto generalizzato della clausola della <<nazione più favorita>>. Gli accordi ed i patti, come quelli sopra rappresentati, rappresentano un’evoluzione indubbia sulla strada di un rinforzamento delle relazioni economiche tra Comunità e Paesi terzi mediterranei, ma, in egual tempo, rivelano limiti e lacune. Per prima cosa manca una quadro d’insieme da parte della Comunità che concepisce soluzioni diverse per ogni Paese. In secondo luogo, il frutto degli accordi è strettamente circoscritto alle questioni commerciali. Per di più, si assiste all’assegnazione di aiuti finanziari ed economici disorganici e sconnessi. Da queste considerazioni si deduce come i Paesi terzi mediterranei storicamente non siano stati pensati come parte di un’area omogenea, quella del bacino del Mediterraneo, ma come Nazioni, seppur sovrane, isolate od a sé stanti con i quali avere singole correlazioni bilaterali per tutelare interessi economici e politici in precedenza assicurati, basati su relazioni economiche che, visto il rapporto di forza sul quale erano costruiti, hanno raffigurato per l’Europa e la Comunità un mercato tutelato, da cui prendere materie prime per poi esportarvi il prodotto industriale, consolidando così la subordinazione, ma non è sbagliata definirla anche sottomissione, dei Paesi terzi mediterranei nei confronti della Comunità, e meglio dei singoli stati della comunità in questo caso, e quindi danneggiando anche lo sviluppo degli stessi Paesi in senso politico e sociale. In questa iniziale epoca di accordi e collaborazioni con i Paesi terzi mediterranei non vi è evidentemente un piano organico, strutturale ed istituzionale di politica mediterranea della Comunità, ma anzitutto, la preoccupazione che il Mediterraneo cada nell’orbita sovietica, come già anticipato. Per parlare di una prima vera e propria politica mediterranea, bisognerà aspettare il 1972 con l’avvento della Politica, passata alla storia come, <<Mediterranea Globale>>.
Dal 1972 al 1990

Con il Vertice di Parigi, del 19 ottobre 1972, possiamo definire concluso il primo ciclo della politica comunitaria nel Mediterraneo, che avremo modo di vedere si articolerà quasi sempre su cicli ventennali. La frammentaria e disorganica azione che ne ha caratterizzato il progresso viene ampiamente modificata, quasi rovesciata, da una nuova impostazione: l’idea di un’architettura complessiva nel bacino mediterraneo, come meglio si è detto: “approccio globale” della Comunità Europea nell’area. La necessità di delineare i rapporti nel Mediterraneo ha spiegazioni sia di carattere interno alla Comunità, sia legate all’articolata e modificata situazione geopolitica mondiale: da un lato l’imminente allargamento della Comunità (con l’ingresso di importanti nazioni quali Inghilterra, Danimarca ed Irlanda) richiede una nuova ridefinizione degli accordi commerciali già esistenti e di cooperazione-collaborazione, dall’altro, le paure legate alle forniture di combustile, primariamente e principalmente il petrolio, premono i governi dei paesi “europei” a nuove aperture e concessioni verso i Paesi Mediterranei, che non è più sbagliato definire arabi. La Commissione, rinnovando la politica precedente con l’approccio globale, conferma l’importanza strategica “dell’equilibrio socio-economico nella zona” per gli interessi e le attività della Comunità e, a questo fine, individua come presupposto la crescita economica delle nazioni partner nel mediterraneo. Con l’avvento della Politica governata dal principio del <<mediterraneo globale>>, alla categoria degli Accordi di associazione si aggiunge quella dei nuovi Accordi, definiti di “cooperazione globale”, anch’essi basati sull’articolo 238 del Trattato di Roma. Nel preambolo di questi nuovi patti, di respiro non solo globale, ma con intento più organico ed estensivo, si espone al mondo la determinazione di instaurare un moderno schema di rapporti fra Stati industrializzati e Nazioni in via di sviluppo, compatibili con gli intenti della comunità mondiale che studia un “ordine economico, complessivo, più giusto ed equilibrato”, almeno nelle aspirazioni. I nuovi concordati di cooperazione globale si differenziano dagli accordi di prima generazione, in più punti sostanziali. In primis per l’estensione dei campi di intervento, definita multisettorialità, oltre la regolamentazione degli scambi, ecco perché si parla di accordi di cooperazione e non più solamente commerciali. Inoltre, i rapporti tra la CEE ed i Paesi terzi mediterranei non sono costruiti più sul solo piano delle concessioni ed aperture fatte dalla Comunità, che comunque rimangono un tema centrale, ma sulla cooperazione, in un rapporto fondato sulla comune volontà di agire in sinergia, con un accento particolare ed innovativo di un maggiore equilibrio, almeno nelle intenzioni. Gli accordi scaturiti da questi passi e da questi principi sono definiti, per tanto, globali proprio perché è volontà della Comunità valutare i Paesi terzi mediterranei nella loro globalità, come un insieme, non più come singoli Stati, ma come Paesi i cui problemi vanno compresi in un peculiare contesto regionale, quello del Mediterraneo. Gli accordi di cooperazione globale che ne seguono sono conclusi nel 1973 con i Paesi del Maghreb (Algeria, Marocco e Tunisia) e nel 1977 con quelli del Machrek (Egitto, Siria, Giordania e Libano). Le ragioni per cui gli obiettivi fissati dalla <<Politica mediterranea globale>> concretamente non vengono mai raggiunti, o lo sono solo parzialmente e mai continuativamente, sono molteplici; tra quelle di ambito “extra accordi tra le parti”, congiunturali, vi sono sicuramente: le crisi monetarie internazionali, l’aggravarsi dell’inflazione e delle tensioni politiche conseguenti, ma soprattutto, rinnovando il ragionamento sulla ciclicità dei rapporti Euromediterranei, la recessione economica dell’intero sistema mondiale, conseguente alla crisi petrolifera del 1973. A causa della crisi economica mondiale, la meta, tanto ambita, di sviluppare le esportazioni dei Paesi terzi mediterranei è ostacolato e bloccato dall’assillo della Comunità di difendere i propri prodotti in particolare in due settori decisivi: l’agroalimentare e il tessile. Guardando al primo settore indicato, non solo le concessioni tariffarie parziali non di certo favorevoli, ma le possibilità di esportazione da parte dei Paesi terzi mediterranei, limitate da una serie di strumenti, hanno un’incidenza concreta molto negativa sul volume delle esportazioni, tale da delimitare materialmente i risultati della diminuzione dei dazi doganali. Per il secondo settore, il tessile, invece, la politica usata è disuguale: vengono utilizzati degli accordi di autolimitazione “su base volontaria”; viene preteso, infatti, dai Paesi terzi mediterranei produttori di rinunciare “volontariamente”, qui il termine è quanto mai abusato, all’esercizio del vantaggio offerto dai precedenti trattati di cooperazione. L’ambizione di voler instaurare nuove relazioni con i Paesi terzi mediterranei quindi viene delusa, laddove addirittura non mortificata. La CEE ha favorito, nella pratica, gli aspetti unicamente mercantili degli accordi, sebbene i contenuti delle dichiarazioni di intenti che animano l’azione europea presuppongano anche la fornitura di assistenza e controllo tecnico specializzato per l’esercizio di fattibilità dei vari progetti e per la creazione della classe dirigente locale. Ciò nondimeno, plausibilmente, due ragioni di fondo, che hanno contribuito in maniera indispensabile alla nascita della Politica mediterranea globale, sono interamente errate: l’esigenza della Comunità di rifornimenti sicuri di materie prime, provviste petrolifere massimamente, soprattutto dopo lo shock petrolifero che giustifica l’avvio con urgenza dello sviluppo e delle esportazioni dei Paesi terzi mediterranei; e la sicurezza, poi rivelatasi erronea, che lo sviluppo che sta animando l’economia comunitaria, ritenuto in questa periodo quasi inesauribile, possa essere lo stimolo anche per le economie dei Paesi terzi mediterranei, con riflessi evidenti e positivi sulla loro crescita e sui canali dei prodotti comunitari. Purtroppo venuti a mancare le supposte basi, si qui descritte, affiorano tutte le incompatibilità di questa concezione, talune delle quali inconciliabili e che tutt’oggi parzialmente, o quasi totalmente, sono finora insolute. Una delle principali contraddizioni, valutando la supremazia delle esportazioni dei Paesi terzi mediterranei, è quella collegata con le esportazioni agricole, visti i meccanismi protezionistici previsti dalla Politica Agricola Comune (PAC). Il peso degli interessi che riguardano tale settore fa sì che tale contrasto non possa essere risolto con la sola eliminazione delle reti di protezione legale e commerciale, senza, per esempio porre in crisi sostanziosi segmenti dell’economia delle regioni mediterranee. Un’altra importante contraddizione è che non bastano le agevolazioni all’ingresso nei mercati comunitari per accrescere l’export dei Paesi terzi mediterranei. Vi sono elementi decisivi che non sono stati presi affatto in considerazione. Un prova ne è la capacità di fornire merci che per caratteristica e modello rispondano alla richiesta di un mercato sempre più sofisticato come quello europeo e che quindi richiede un provvedimento da un lato sulla forza lavoro, dall’altro sull’espansione tecnologica e del sistema produttivo dei Paesi terzi mediterranei. Una terza contraddizione si deduce dal fatto che al peso delle esportazioni di prodotti petroliferi dei Paesi terzi mediterranei verso la CEE, non corrispondano specifici accordi commerciali e di cooperazione legati a queste esportazioni, nonostante esse sia importanti ed al contempo molto remunerative. È risaltato maggiormente infatti l’aspetto mercantilistico e, quindi, queste esportazioni non sono mai diventate la colonna portante di una cooperazione per lo sviluppo dei Paesi produttori, né occasione per una maggiore integrazione economica tra questi e la Comunità, che anzi ha sempre chiuso gli occhi dinnanzi il palese accordo tra stati membri e leder non democratici. Divenuto certo il concetto dell’insopportabile divario economico e sociale tra i Paesi della Comunità e i Paesi terzi mediterranei, e considerato come certo anche il peso degli insuccessi dei tentativi messi in campo, le istituzioni comunitarie danno inizio ad una forma di cooperazione denominata come Politica mediterranea rinnovata, che già nel nome ne tradisce spirito ed intenti. Così la prima fase, intesa in senso ampio, della politica mediterranea può dirsi conclusa, anche se in realtà una prima divisione l’avevamo già compiuta indicando come periodo a se stante per interesse e sviluppi, tutto ciò che va dal 1957 al 1972: la preponderanza dei rapporti di tipo bilaterale ed i processi difformi tra i diversi Paesi terzi mediterranei, con trattamenti adattati alle singole circostanze, eludono i programmi di globalità che ne sono alla base. Le agevolazioni all’ingresso nei mercati comunitari per i prodotti provenienti dai Paesi terzi non sono state adeguate, o comunque soddisfacenti: le esportazioni non sono progredite sensibilmente considerando che la qualità e gli standard delle merci extracomunitarie poco si adeguano alle esigenze della richiesta di alto livello dei mercati europei. La crescita delle esportazioni, come impulso al progresso degli investimenti e come propulsore dell’economia dei Paesi terzi mediterranei, non ha trascinato i paesi mediterranei terzi, e quelle popolazioni, verso i risultati sperati poiché, anche là dove hanno censito forti aumenti, si è sempre stati in presenza di manufatti basati su una scienza tecnologica matura con scarso valore aggiunto. Ciò consiglia di considerare necessaria un incremento prima di tutto dal lato della qualità delle risorse umane, con criteri di qualificazione e specializzazione del sistema produttivo, in particolare sotto il profilo tecnologico.

2. Ripresa dell'interesse per i rapporti mediterranei (1990 – 1995)
Gli anni ‘90 si aprono alla luce di notevoli mutamenti storico-politici: il crollo del Muro di Berlino, atto ultimo della “guerra fredda”, “guerra del Golfo”, l’esplodere della contestazione islamica in Algeria e la condizione socio-economica dei Paesi terzi mediterranei, fanno riacquistare, nello scacchiere internazionale, al Mediterraneo una parte della caratura geopolitica che aveva perso negli anni precedenti a vantaggio dei Paesi dell’Europa centrale ed orientale, rendendo imprescindibile un’efficace revisione della politica comunitaria per i nuovi confronti su molteplici versanti, quindi anche sul tema del governo del Mediterraneo. Tale passaggio, tuttavia, riporta in prima linea dei fattori di conflitto che il precedente confronto Est-Ovest riusciva a mascherare, o comunque lasciava sullo sfondo. L’ascesa dell’islamismo, nel senso pienamente socio-religioso, di matrice integralista, spesso fanatica; la centralizzazione forte della politica del riarmo e della proliferazione non convenzionale; la delegittimazione, e spesso disgregazione, interna dei regimi nazionalisti che detengono il potere mediante politiche soffocanti e dispotiche, faranno del problema della stabilità e della sicurezza i fulcri principali della politica europea verso le regioni meridionali, nel grande ganglio che il Mediterraneo di fine millennio rappresenta. La politica mediterranea dell’Unione Europea, che negli anni precedenti ha puntato ad obiettivi di collaborazione cooperativa ed integrazione economica internazionale, viene adesso indirizzata alla realizzazione della stabilità e tranquillità nell’area mediterranea, inseguendo il concetto della sicurezza dell’intera regione. È chiaro come questo sia, ora si, un ribaltamento totale, rispetto alla sola affiliazione commerciale dei paesi mediterranei, che pure era un metodo indiretto per non consegnarli alla potenza sovietica. Queste nuove pretese socio-politiche, pur recuperando in parte le intenzioni ed i progetti di fine ’80, maturate in seno al Comitato economico e sociale europeo ed alla Confederazione europea dei Sindacati, e a seguito dell’atto redatto dal Consiglio europeo di Strasburgo, del dicembre 1989, si traspongono nella, cosiddetta, Politica Mediterranea Rinnovata, la quale non trasforma l’impianto di fondo degli intendimenti comunitari almeno formalmente, ma incide e varia, ed è un passo storico, la percezione dei Paesi del bacino Mediterraneo: dopo l’ampliamento verso sud della Comunità, ci si avvia nella direzione di una prevalenza netta verso un concetto, definito della “prossimità” dei Paesi mediterranei prima intesi, superficialmente dalle cancellerie mondiali, come lontani Paesi facenti parte del, così chiamato, “Terzo mondo”. La “Politica Mediterranea Rinnovata” viene inaugurata con una Risoluzione adottata dal Consiglio dei Ministri della CEE il 18 dicembre del 1990, adattando una comunicazione della Commissione del giugno dello stesso anno. In quest’ultima si evidenziava, infatti, il bisogno di impugnare con concretezza strumenti efficaci nel campo della tutela ambientale, in quello dell’accrescimento, quantitativamente e qualitativamente, delle risorse umane e si richiedeva lo svecchiamento dei Protocolli finanziari con le Nazioni del Mediterraneo. Tali Protocolli hanno decorso quinquennale ed assicurano le modalità della collaborazione finanziaria comunitaria per lo sviluppo socioeconomico dei Paesi terzi mediterranei, per gli atti di sostegno rivolti alla realizzazione di inventi strutturali e per l’impulso e l’incentivo di riforme economiche in alcuni Paesi mediterranei. Gli obiettivi devono essere raggiunti tramite il rafforzamento dei patti bilaterali di cooperazione-collaborazione o di associazione in atto. La cooperazione finanziaria istituisce un nuovo corso nelle relazioni tra le sponde del mediterraneo, rappresentando sicuramente la principale innovazione della Politica rinnovata. I provvedimenti, infatti, non sono sanciti unicamente dai Protocolli finanziari e gestiti dai governi locali, ma viene creata una cooperazione di tipo <<orizzontale>>, gestita dalla Comunità, che riguarda quasi la metà delle risorse totali comunitarie destinate al Mediterraneo. Dal 1992 gli ambiti di operatività sono: ambiente, cooperazione regionale e cooperazione decentrata. È proprio la <<cooperazione decentrata>> a raffigurare l’aspetto più rilevante della Politica rinnovata, quasi un’anteprima del periodo successivo, quello del partenariato euro-mediterraneo. Lo sviluppo delle nazioni mediterranee, in questa nuova ottica, viene promosso e favorito tramite la collaborazione fra interpreti delle società civili appartenenti sia alla Comunità che ai vicini mediterranei, in un allargamento teorico ancor prima che pratico. In un contesto siffatto la Commissione, nel 1992, lancia i programmi <<Med>>. Queste pianificazioni constano di una serie di azioni di cooperazione decentralizzata avviate da reti di organizzazioni attive nel settore pubblico e privato negli stati comunitari ed in quelli terzi mediterranei. I programmi Med provengono dall’impegno comunitario di insistere e promuovere una cooperazione multilaterale con e tra i Paesi terzi mediterranei. Essi hanno matrice nell’inadeguatezza dei Protocolli finanziari, che erano schemi bilaterali tra Stati, non idonee a pilotare a buon fine l’amministrazione del mediterraneo. Nascono così programmi di cooperazione diretti in settori peculiari, o meglio specificatamente indicati: ad esempio il programma “MedCampus”, che punta ad aumentare e le conoscenze scientifiche e tecnologiche, al fine di promuovere la crescita autonoma e la susseguente autonomia economica dei Paesi terzi del Mediterraneo; il progetto “MedUrbs”, ulteriore esempio, che punta al rilancio dello sviluppo urbano delle Nazioni mediterranee tramite la fornitura da parte Comunitaria del know-how e dell’assistenza tecnica essenziale; il progetto “MedInvest”, ancora, che è invece volto alla fondazione e sviluppo delle piccole e medie imprese. Un’altra novità della Politica rinnovata è costituita dalla creazione di dinamiche di supporto alle riforme economiche che si concretizza in una razione finanziaria, coordinata e condotta dalla Commissione, per adoperarsi in quei Paesi che stanno conseguendo Programmi di sistemazione ed ammodernamento strutturale. I fondi in questione però non sottostanno a logiche meramente assistenzialistiche o di ricatto: sono destinati, piuttosto, al fine di sorreggere le riforme strutturali e, nella fattispecie, quelle settoriali; questo è determinato dal fatto che il Consiglio li ha ridotti a semplici interventi di soccorso per i danni provocati dai Programmi sull’occupazione e sui redditi della popolazione. Benché queste azioni abbiano rappresentato alcune delle sperimentazioni di cooperazione più progredite compiute dalla Comunità, l’impegno preso in favore “dell’universo Mediterraneo” si è palesato come insufficiente nell’ardua sfida di colmare il gap Nord-Sud, che continua ad essere sempre maggiore. Di fatto non c’è stata la rettifica strategica auspicata, anche se un cambiamento di visione e direzione è stato comunque incastrato, quasi a forza, tra le molteplici questioni che riguardano l’Europa. Se nella prima fase della politica mediterranea i Paesi terzi mediterranei venivano identificati come Paesi del Terzo mondo, con l’ampliamento della Comunità verso Sud, ci si “accorge” che di fatto questo Terzo mondo è molto vicino, e non è ignorabile. Viene agevolata, quindi, la “concezione della prossimità”, ma connessa a quella di rischio e paura, da sventare o da prevenire. Preoccupano le tensioni sociali e religiose e le opposizioni interne mai risolte, rappresentate da una zona d’instabilità molto vicina ai confini meridionali dell’Europa unita. Ad incentivare le preoccupazioni tra i due bacini del Mediterraneo contribuisce poi il peso che viene attribuito agli Stati dell’Europa centrale e dell’est (PECO). I Paesi del Maghreb immaginano, temendo questa prospettiva, che l’Europa chiuda i confronti ed i rapporti col Medio Oriente, perché più attratta, il riferimento è a specifici paesi dell’Unione come la Germania, a concentrare la propria attenzione ai Paesi PECO, diminuendo così gli aiuti e gli approvvigionamenti finanziari loro diretti. Questa visione, risultata, lungimirante ed accorta è stata comprovata dalla determinazione del Consiglio di ridurre del 35% l’importo globale delle erogazioni proposto dalla Commissione per il periodo 1992-1996. È doveroso, comunque, rimarcare come la nuova linea d’azione, la “cooperazione finanziaria orizzontale”, che intanto è stata attivata ed estesa a molteplici realtà, permetta che gli incrementi finanziari non siano convogliati, come nel passato, solo nelle regole finanziarie gestite sostanzialmente dai Governi dei Paesi terzi mediterranei. Inoltre, l’innovazione più rilevante, ovvero l’inserimento della cooperazione decentrata di fatto precorre la concezione del “prossimo” Partenariato Euro-Mediterraneo. Si prosegue però ad abdicare dall’instaurarsi una politica che affronti assennatamente e praticamente i grovigli dell’arretratezza dei Paesi terzi mediterranei, sottovalutando colpevolmente la grande questione del loro debito estero che anzi è stato ed è tutt’ora un fattore fondamentale da chiarire per permettere il rilancio delle economie dell’area. I giudizi alla Politica Mediterranea Rinnovata e le intenzioni avanzate dal Comitato economico e sociale europeo divengono, fin dalla fine degli anni ‘80, la piattaforma delle rivendicazioni di molti governi dei Paesi terzi mediterranei, specificatamente di quelli per cui Il partenariato comincia a prendere forma nel 1992, a seguito di una Comunicazione della Commissione su “Il futuro delle relazioni tra la Comunità e il Maghreb”. Questo iniziale orientamento decentrato verrà in un secondo tempo esteso a tutto il bacino Mediterraneo. Nell’ottobre del 1994, la Commissione approva un atto nel quale si richiede l’assunzione di responsabilità, attraverso l’avvio di una politica mediterranea più incisiva e l’avvio di un moderno Partenariato Euro-Mediterraneo. Il Consiglio europeo di Essen, nel dicembre sempre del 1994, riceve e fa suoi gli orientamenti della Commissione e la spinge affinché trasmetta pareri specifici che formano, una volta redatti, il contenuto di una Comunicazione del marzo 1995 su: “Il consolidamento della politica mediterranea dell’Unione Europea: proposte per la creazione di un partenariato euro-mediterraneo”. Come base del Partenariato euro-mediterraneo compare un progetto di cooperazione e integrazione interregionale strutturato essenzialmente sulla creazione di un’area di libero scambio. L’asse è portante di tale progetto è identificabile nella collaborazione, che si fonda ora, non solo sulla <<prossimità>> geografica, ma anche storica e culturale delle aree che si affacciano sul Mediterraneo. Il partenariato raffigura il massimo strumento per contenere i pericoli che il dislivello economico tra le due sponde del bacino e le profonde crepe in ambito sociopolitico (l’integralismo islamico e le fragilissime fondamenta popolari) finiscano in un netto allontanamento dall’Unione.
3. Conferenza di Barcellona (1995)
La Conferenza di Barcellona del 1995 inaugura ufficialmente il Partenariato Euro-mediterraneo (PEM).
Le Nazioni che condividono il progetto e partecipano alla Conferenza sono i quindici membri dell’Unione Europea e dodici Paesi terzi mediterranei: Algeria, Cipro, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e l’Autorità Palestinese. Il partenariato euro-mediterraneo consta di tre parti: una prima rivolta alla creazione di “uno spazio comune, coincidente con il bacino del Mediterraneo, di pace e stabilità” definito, per l’appunto, <<partenariato politico e di sicurezza>>; una seconda che si rivolge ad instaurare “un’area di prosperità condivisa” attraverso il <<partenariato economico e finanziario>>; ed infine una terza, <<il partenariato nei settori sociale, culturale e umano>>, indirizzata allo “sviluppo delle risorse umane, […] della comprensione tra le culture e degli scambi tra società civili”. La Dichiarazione finale della Conferenza recupera la parte fondamentale delle idee proposte dalla Commissione e fissa degli orizzonti comuni sul tema della stabilità interna ed esterna con l’obiettivo di realizzare per l’anno 2010 un vero e proprio “partenariato”, ovvero una connessione che vada oltre la collaborazione, cui spesso si è approdati sin qui. Nel documento compaiono le affinità fra pace, democrazia ed integrazione economica internazionale che sostengono la novella politica mediterranea dell’Ue. In tale quadro la cooperazione economica regionale concorre a corroborare la pace e la democrazia. Democratizzazione della vita politica e della società, legittimità e pluralismo sono i fattori che permettono l’affiorare di connessioni interstatali imperniati sulla risoluzione ordinaria e conciliante delle contese, considerando ovviamente principi e regole del diritto internazionale. La spinta democratica indotta nei partner mediterranei viene vista, inoltre, come elemento basilare per convertire e sostituire il ruolo dello Stato nell’economia, al fine di avanzare verso la privatizzazione e la liberalizzazione. Il consolidamento interno ed il miglioramento delle condizioni dei mercati incoraggiano il rientro dei capitali rifugiati all’estero e gli investimenti esteri, con i relativi cessioni di tecnologia. Questo sviluppo è sorretto dalla cooperazione economica internazionale, cioè dal Partenariato, che connette il processo di democratizzazione e l’integrazione internazionale (sviluppo economico, aumento dell’occupazione, calo della povertà: moderano le pressioni verso l’integralismo politico, infine viene calmierato anche il tasso di immigrazione). Dal punto di vista economico, il testo di Barcellona presenta la statuizione di un’area di libero scambio da compiere entro il 2010 tramite una serie connessa di accordi bilaterali tra UE e Paesi terzi mediterranei e tra gli stessi Paesi mediterranei (al fine di incentivare la cooperazione economica sud-sud): gli accordi, di natura commerciale e tariffaria, i patti di tipo politico-amministrativo, mireranno a togliere barriere ed ostacoli alla libera circolazione delle merci. In più, il Processo di Barcellona ha instaurato uno schema di cooperazione regionale innovativo, diversamente dalle precedenti politiche comunitarie per il Mediterraneo, perché prende le mosse al tempo stesso dalla cooperazione multilaterale, dalla cooperazione bilaterale sancita dagli Accordi euro-mediterranei di associazione, che legano gli Stati Mediterranei con l’Unione europea, e dalla cooperazione sub-regionale.
Anche le erogazioni ed i finanziamenti che verranno erogati saranno più corposi e assegnati avendo come criterio un nuovo meccanismo: non più convenzioni finanziarie bilaterali, ma una nuova linea di bilancio (linea MEDA). Questo metodo così nuovo è diretto al sostegno della liberalizzazione economica (crescita del settore privato, piccola e media impresa e cooperazione industriale con l’Europa, in un palinsesto di atti miranti alla complessiva formazione di saldi elementi economici) ed all’aggiornamento delle infrastrutture, sia sotto l’aspetto materiale che giuridico-amministrativo. Il bilancio MEDA condiziona l’erogazione dei finanziamenti al rispetto di precisate condizioni di creazione politica a cui i Paesi terzi mediterranei devono adattarsi, pena il blocco dei finanziamenti, come la difesa della democrazia, in tutti i suoi aspetti, e la sorveglianza sui diritti umani. Nel corso del 1997 viene ratificato il Programma MEDA, il quale ha lo scopo di irrobustire il potenziale di sviluppo interno tramite decisioni riguardanti liberalizzazioni e ristrutturazioni. Gli Stati beneficiari dell’intervento sono: Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Palestina, Israele, Giordania, Siria, Libano, Turchia, Malta e Cipro. Il Programma MEDA identifica alcune macro-aree di operatività e degli obiettivi preminenti per i quali sono collocati a disposizione, dei paesi appunto, soprattutto assistenza tecnica e sovvenzioni, ma anche consulenze. Le principali aree d’intervento sono: il “sostegno all’economia”, che si attua con azioni volte a favorire la modernizzazione dell’apparato industriale, a rinforzare gli investimenti privati europei e a riformare l’apparato giuridico entro il quale le imprese operano; e “l’equilibrio socioeconomico” consistente nel perfezionamento dei servizi sociali e dell’istruzione, nella vigilanza sulle tematiche dell’ambiente e lo sviluppo del mondo rurale. Un terzo aspetto, relativo al partenariato finanziario, riguarda il progresso della cooperazione settoriale. Le istituzioni convogliate nel progetto “di Barcellona” promuovono il concorso e gli accordi tra progetti europei ed imprese provenienti dai Paesi terzi mediterranei. Si fa, perciò, dichiarato riferimento alle specifiche sezioni dell’economia: in ambito industriale, si punta alla ricostruzione delle imprese pubbliche e private, alla crescita delle Piccole e Medie Imprese (PMI), alla estensione e diffusione di norme internazionali; in agricoltura, si persevera sulla differenziazione della produzione e sulla trasformazione della dipendenza alimentare; nei trasporti, è studiata la relazione della rete mediterranea a quella trans europea; nel campo energetico, le nazioni mediterranee vengono affiliate ai protocolli europei sull’energia e sono previste azioni relative alle varie fasi della raffinazione e distribuzione di combustibili fossili (petrolio e gas); nelle telecomunicazioni, concludendo, la cooperazione si attua nell’apertura di contatti, connessioni ed allacciamenti con le reti europee, nel munire di infrastrutture legali e nuovi servizi. Nella Dichiarazione di Barcellona l’approfondimento economico non costituisce l’unica attrazione della Comunità, ma è solo una parte costituente un dialogo più vasto che cinge congiuntamente la dimensione politica, sociale, ambientale. Lo sviluppo sociale deve avanzare parallelamente alla crescita economica e la decentralizzazione della cooperazione in tale campo deve interessare i principali interpreti della società politica e civile, l’universo religioso e culturale, università e centri di ricerca ed inoltre gli attori economici pubblici e privati. Il PEM deve tuttavia essere studiato anche da un diverso punto di vista, quello dei Paesi terzi mediterranei. Per questi Paesi i fini di consolidamento sono considerati come unilaterali, poiché si imputano alla sicurezza europea, e degli europei, e non a quella araba che scaturisce da circostanze che non riguardano l’Unione. In più, se da un lato il partenariato facilita per loro notevoli passaggi economici, dall’altro porta in sé il pericolo di divenire una vera e propria forma di interferenza interna da parte dell’Occidente e quindi un motivo di instabilità. Pertanto, accanto all’importanza di stabilire nella regione mediterranea una forte collaborazione economica con l’Unione Europea, il partenariato crea, per i partner mediterranei, l’opportunità di partecipare con l’Ue alle istituzioni di cooperazione internazionale, al fine di poter avere una voce nei processi politici europei ed atlantici da cui deriva l’evoluzione futura dell’area. Per quanto concerne l’integrazione orizzontale fra le nazioni a sud del Mediterraneo questa, nel progetto di partenariato, assume un’importanza vitale. Il Partenariato, difatti, assegna le proprie sorti alla crescita dell’export dei Paesi terzi mediterranei, sviluppo che dipende esclusivamente dall’apertura di questi mercati: le concessioni dal lato dell’offerta dati dalla concorrenza comunitaria, l’aumento della domanda di importazioni causata dalla eliminazione degli sbarramenti ai commerci, raffigurano i maggiori fattori di aumento per i partner meridionali. Gli Stati del Partenariato Euro-Mediterraneo perseguono un approccio ordinato e realistico, perché l’interazione non è esente da contrapposizioni e le attese degli attori non sempre sono confluenti. Data la delicatezza dell’area e le controversie politiche tra alcuni degli attori implicati, il criterio di lavoro adottato dai Paesi del Partenariato Euro-Mediterraneo è quello di avanzare con affermazioni politiche e programmi specifici, più che tramite dispositivi legali codificati in trattati internazionali che obblighino i partner sul piano multilaterale. Per questo si parla di un quadro istituzionale “leggero”. Per quanto riguarda la cooperazione regionale viene inserito il principio di riunire periodicamente gli aderenti a tutti i livelli, per perfezionare le discussioni avviate con ogni Paese sulla base dei separati accordi, nell’idea che il piano più efficiente consista nel coinvolgimento attivo di tutte le forze di entrambe le società civili in un’ottica, difatti, di partenariato. Sulla base del Programma di Lavoro di Barcellona, gli esiti a cui si è arrivati nelle varie riunioni convergono in un’unica documentazione, sottoposta all’esame della seguente Conferenza Euro-Mediterranea dei Ministri degli Esteri, che dovrebbe riscontrare lo stato di promozione del Processo e rivitalizzarlo con nuove idee. Significativo è tuttavia il fatto che, dopo la prima Conferenza Ministeriale di Barcellona del 1995, le successive Conferenze Ministeriali sono tenute tutte in città europee. Si tratta invero di un decorso regionale in cui il coinvolgimento dei Paesi del sud del Mediterraneo non è compiuto. Il Piano d’azione adottato ed ammesso a Valencia nel 2002 è stato steso, viceversa, in prosecuzione delle consultazioni che la presidenza spagnola, la Commissione e il Segretariato Generale del Consiglio europeo avevano tenuto con tutti i partner. Pertanto questo atto, alla maniera della Dichiarazione di Barcellona ed in difformità delle Conclusioni Finali delle Conferenze Ministeriali, ha vincolato politicamente tutti i partner. Anche il Programma di lavoro quinquennale accettato al Vertice, che nel novembre 2005 ha riunito a Barcellona i capi di Stato e di Governo dei Paesi del Partenariato Euro-Mediterraneo, si recepisce come politicamente vincolante per tutti le nazioni del Partenariato. Con il Piano d’azione di Valencia i Paesi del PEM, identificando le problematicità che esso ha incrociato nel cercare di raggiunge gli obiettivi decisi nella Dichiarazione di Barcellona, hanno manifestato l’urgenza di rilanciare il Processo e di ottenere migliore visibilità, efficacia ed attendibilità. Il Piano d’azione di Valencia e il Programma di lavoro di Barcellona non si limitano a comprovare l’identico coinvolgimento dei partner a perseguire la pace, la stabilità e la prosperità nel Mediterraneo; piuttosto si prende atto dei limiti incontrati dal Partenariato Euro-Mediterraneo in questi anni e se ne ridefiniscono i congegni operativi. Tra i punti più significativi del Piano d’azione vi è l’inizio del concetto di “co-ownership”, che risponde alle critiche più comuni mosse nei confronti del Partenariato dai partner, ovvero che esso viene governato completamente dagli Stati membri dell’Unione europea e dalle istituzioni comunitarie, senza coinvolgere i Paesi del Sud nelle scelte più rilevanti, rompendo il patto così nei fatti al principio di partenariato. Se le Conferenze dei Ministri degli Esteri delineano le linee guida del Partenariato Euro-Mediterraneo e individuano i compartimenti di cooperazione di maggiore interesse, la formazione delle singole politiche ha luogo poi nelle Conferenze ministeriali settoriali. Fino a questo momento si sono tenute con una certa costanza Conferenze ministeriali sulla cooperazione industriale, sul commercio, sull’ambiente, sulla gestione dell’acqua, sulle risorse energetiche, sulla cultura. Raramente ci sono state Conferenze ministeriali su sanità, agricoltura, società dell’informazione, sicurezza energetica, istruzione e ricerca scientifica. Mentre, nessun incontro ministeriale si è occupato direttamente dei temi che fanno parte nel Partenariato politico e di sicurezza, che sono piuttosto illustrati dagli Alti funzionari. In materia di sicurezza le riunioni tra alti funzionari sono serviti per comporre le diverse elaborazioni di sicurezza e per redigere la bozza di Carta per la Pace e la Stabilità nel Mediterraneo, che non è mai stata adottata. Un altro congegno prodotto nel campo della cooperazione regionale è il Comitato Euro-Mediterraneo per il Processo di Barcellona, formato da alti funzionari dei Paesi del Partenariato Euro-Mediterraneo e che, però, è presieduto, dall’Unione europea. Per fronteggiare le critiche rivolte all’Unione come epicentro decisionale di ultima istanza, il Piano d’azione di Valencia ha deciso la riorganizzazione del Comitato per assicurare agli stati del Mediterraneo una maggiore partecipazione nell’elaborazione e nella stima dei programmi regionali o dei progetti accettati dalle Conferenze dei Ministri degli Affari esteri.
Altra situazione, che ha fatto immaginare ai Paesi della sponda sud del Mediterraneo che rispetto all’Unione non avessero sufficientemente potere deliberativo nell’implementazione dei progetti, sta nel fatto che è la Commissione europea che svolge compiti da segretariato del Partenariato Euro-Mediterraneo; essa è, appunto, responsabile del coordinamento, dell’allestimento e del monitoraggio del Processo di Barcellona e della realizzazione delle attività finanziate con il programma MEDA. In ogni caso, talune delle raccomandazioni della Commissione sono state ricevute nel Piano d’azione di Valencia, come l’intenzione di adottare un programma di cooperazione regionale per opporsi al terrorismo, le questioni di giustizia e libertà di movimento; mentre la sollecitazione della Commissione di dare più rilievo ai diritti umani e ai principi democratici nei rapporti dell’Unione europea con i Paesi del Mediterraneo e vincolare la consegna dei fondi MEDA al miglioramento in questi settori è stata solamente trasposta in un incarico agli Alti funzionari per studiare l’elaborazione di un procedimento più organizzato per irrobustire il dialogo politico. Finora le questioni legate a democrazia e diritti umani nei Paesi del Partenariato Euro-Mediterraneo sono ufficialmente discusse solo nel contesto di EuroMeSCo. Nel panorama istituzionale del Partenariato Euro-Mediterraneo vi è anche la così chiamata “diplomazia parlamentare” che ha una sua natura autonoma. Il processo di istituzionalizzazione della comunicazione parlamentare è stato relativamente lungo, e questo rivela la reticenza di alcuni Paesi ad attribuire autonomia alla cooperazione tra parlamentari. Già nel 1995 il Programma di lavoro allegato alla Dichiarazione di Barcellona consigliava il Parlamento europeo ad stabilire un dialogo tra i rappresentanti dei parlamenti dei Paesi del Mediterraneo, ma solo nell’ottobre 1998 si è tenuto il 1° Forum Parlamentare Euro-Mediterraneo103. Il Forum Parlamentare si è poi tramutato in Assemblea parlamentare nel marzo 2004. L’assemblea Parlamentare Euro-Mediterranea (APEM) si riunisce una volta l’anno in seduta plenaria e adotta dichiarazioni politiche che assegnano grande interesse al contributo di forum non governativi, come il colloquio parlamentare, per seguire la stabilità nel Mediterraneo e sostenere la continuità alla cooperazione regionale. Però, perché questa assemblea possa concedere ai parlamentari del Mediterraneo un forum di colloquio franco e costruttivo, tutte le delegazioni parlamentari dei Paesi del PEM devono essere veramente presenti e devono poter prendere parte ai lavori senza prepotenze da parte dei governi. Di fatto, se, da un lato, un’Assemblea Parlamentare dei popoli del bacino del Mediterraneo può rappresentare un‘assise dove esercitare i principi democratici, dall’altro, a questi incontri molti parlamentari del Nord Africa e del Medio Oriente hanno finora partecipato come portavoce delle posizioni politiche dei loro Paesi, più che sfruttare questa circostanza della rappresentanza democratica per esprimersi criticamente sull’assenza di democrazia e libertà politiche e civili. Bisogna poi valutare che il Partenariato Euro-Mediterraneo ha il potenziale per agire come security community-building institution, cioè come processo che dirama e istituzionalizza valori, norme, e tolleranza reciproca, ma questo non può avvenire in un’area non pacificata. Le misure di partenariato sono indispensabili ma non sufficienti per la creazione di un sistema di sicurezza in cui le controversie siano sostenute con congegni non militari, per sviluppare la comprensione e la fiducia reciproca, per avviare procedimenti di gestione e prevenzione dei conflitti. Attraverso il Partenariato Euro-Mediterraneo il tortuoso percorso di institution-building nel Mediterraneo, dato dalla creazione di istituzioni e dall’accordo su obiettivi, procedure e strategie comuni, è stato segnato, ma l’avanzamento di questo processo è stato bloccato da problemi politico-territoriali ancora insoluti e, di conseguenza, il suo risultato futuro permane non rassicurante. È evidente che l’Europa ha un interessamento molto forte a sostenere lo sviluppo economico dei Paesi terzi mediterranei, perché lo sviluppo di crescita economica rappresenta il mezzo più sicuro per consolidare tutta la regione. È ovvio inoltre che in ciascuna Nazione partner i dilemmi si pongono in termini disuguali ma tutti, immancabilmente, sono interpellati ad affrontare sfide comuni come la forte tensione demografica, la popolazione agricola numerosa, la differenziazione insufficiente della produzione e degli scambi industriali, la debolezza del commercio intra regionale, il settore pubblico poco efficiente e troppo esteso. Il processo di liberalizzazione degli scambi proposto dall’Unione europea, si iscrive in un doppio contesto di regionalizzazione e globalizzazione che contribuisce, largamente, a promuovere il partenariato economico e finanziario visto che i concetti di globalizzazione e regionalizzazione, piuttosto che processi antitetici, sono processi complementari108.
La cooperazione, dunque, per quanto in un‟ottica di maggiore collaborazione e ricettività nei confronti delle richieste dei Paesi partner, è stata concepita in chiave eurocentrica e orientata a “sollevare” le condizioni di tali Paesi e a condurle quanto più vicino possibile a quelle europee109 .
Tuttavia, a Barcellona si prende coscienza di un‟evidenza importante e cioè che il Mediterraneo non è una frontiera impermeabile che permette di isolare a lungo gli uomini e di far coesistere pacificamente ricchezza e povertà, soprattutto in un momento in cui la mondializzazione comprime le dimensioni del tempo e dello spazio110.


4. Politica Europea di Vicinato (2003)
Nel marzo del 2003 la Commissione inizia a delineare i contorni di quello che diventerà l‟approccio dell‟Unione europea verso i Paesi confinanti, che include, su pressioni dei Paesi rivieraschi, anche l‟area MEDA. Il nuovo approccio, la Politica Europea di Vicinato (PEV), si propone una visione ambiziosa e di ampio respiro. Gli obiettivi dell‟Unione europea sono, infatti, quelli di creare una zona di prosperità e buon vicinato ai propri confini, nella convinzione che, in futuro, “la capacità dell‟Unione di garantire ai suoi cittadini sicurezza, stabilità e sviluppo sostenibile, non sarà più dissociabile dalla sua volontà di intensificare le relazioni con i Paesi limitrofi”111. Sin dai primi passi, la sostanziale novità di tale politica di prossimità è il riconoscimento della forte interdipendenza tra l‟Unione europea e i Paesi vicini, da cui deriva il tentativo della nuova politica di superare una distinzione netta tra politica interna e estera, offrendo, anche a Paesi di cui non viene prevista l‟adesione, vantaggi e opportunità finora riservati ai soli membri dell‟Unione112. L‟offerta dell‟Unione ai propri vicini consiste nella concessione di una posizione di privilegio sul mercato interno, e in una maggiore partecipazione alle quattro libertà (libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone) a fronte dell‟adozione, da parte dei Paesi coinvolti, di riforme economiche e istituzionali, e di una cooperazione efficace in materia energetica, nel settore dei trasporti e nella lotta al terrorismo. Lanciata dalla Commissione con la Comunicazione “Wider Europe”113, la Politica europea di vicinato, si inserisce in un momento storico decisivo caratterizzato dall‟entrata nell‟Unione europea di dieci nuovi Paesi114, in maggioranza dell‟Europa centro-orientale. La sfida è grande e rappresenta un ulteriore passo avanti verso il raggiungimento dell‟obiettivo di una vasta zona di pace e di stabilità ai confini dell‟Unione europea. Da qui l‟Unione assume un impegno concreto e rafforzato al fine di permettere l‟adesione di un ulteriore gruppo di Paesi, rappresentato dalla Romania e dalla Bulgaria115, e dai Balcani occidentali. Tuttavia, l‟allargamento non costituisce l‟unica soluzione: alle porte dell‟Unione allargata si trova una serie di Paesi per i quali non esistono prospettive di adesione, ma che possiede un‟importanza strategica per l‟Unione Europea116. Vi è, inoltre, la necessità di bilanciare verso sud l‟area di influenza europea per soddisfare le richieste dei Paesi comunitari mediterranei, in primis della Francia. La politica di prossimità diviene, quindi, uno strumento bivalente, attraverso cui preparare il terreno per il prossimo allargamento e ricercare anche una maggiore integrazione con i Paesi vicini del Mediterraneo117. La Commissione ipotizza, perciò, a tal fine la creazione dello strumento di vicinato e partenariato118. Quindi, con una Comunicazione del maggio 2004119, decide che lo strumento di prossimità opererà attraverso due distinte finestre, una dedicata alla cooperazione transfrontaliera e un‟altra, più flessibile, dedicata ad una più ampia cooperazione transnazionale. Specifica, inoltre, l‟ambito di attuazione della fase transitoria della politica di prossimità: si farà ricorso a strumenti già esistenti a livello comunitario, inserendosi nella strategia della politica di cooperazione esterna dell‟Unione verso i paesi terzi “vicini” e assumendo l‟approccio alla cooperazione sperimentato nel quadro di INTERREG III120.
La politica di prossimità si rivolge, dunque, anche a tutti i Paesi coinvolti nel Partenariato Euro-Mediterraneo, ad eccezione però della Turchia121 (che si trova in fase di pre-adesione all‟Unione europea) e di Cipro e Malta, che sono entrati a far parte dell‟Unione nel 2004; pertanto i Paesi interessati sono: Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Territori Palestinesi, Siria e Tunisia. L‟Unione europea non ha, invece, al momento accordi con la Libia, ma, a seguito della sospensione delle sanzioni delle Nazioni Unite e secondo quanto deciso in occasione della Conferenza dei Ministri degli Esteri di Stoccarda del 15-16 aprile 1999 (“Barcellona III”), la Libia ha acquisito lo status di osservatore nel Partenariato Euro-Mediterraneo, senza però entrare a farne parte. Tuttavia, in occasione della 2609ª Sessione del Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne tenutasi in Lussemburgo l‟11 Ottobre 2004, l‟Unione europea si è impegnata a revocare l‟embargo sulle armi nei confronti della Libia e ad abrogare le misure restrittive122, in modo da permettere la piena integrazione della Libia nel processo di Barcellona. L‟ingresso nel partenariato (che passa attraverso la negoziazione di un accordo di associazione con l‟Unione europea) costituisce premessa affinché la Libia possa entrare a tutti gli effetti nel contesto della politica di prossimità.
Il metodo proposto dalla Commissione per raggiungere gli obiettivi della politica di prossimità consiste nella definizione, assieme ai Paesi vicini, di una serie di priorità da inserire in Piani di azione123, che definiscono gli obiettivi prioritari nella cooperazione fra l‟Unione europea e il Paese in questione. Il raggiungimento degli obiettivi previsti dai Piani di azione124 permetterà la stipula di una nuova relazione contrattuale tra Unione europea e Paesi vicini, gli Accordi europei di prossimità125, che sostituiranno i precedenti accordi bilaterali. Nel caso dei Paesi del bacino del Mediterraneo, i piani di azione sono mirati a rendere più operativi gli obiettivi contenuti negli accordi di associazione, attraverso un più stretto legame con i programmi di sviluppo dei Paesi terzi e con la normativa e gli standard europei.
Da un punto di vista operativo, la nuova politica di prossimità si è tradotta nell‟adozione di nuovi strumenti finanziari, che a partire soprattutto dal 2007 hanno riorganizzato e semplificato radicalmente il profilo dell‟assistenza esterna dell‟Unione europea126. I precedenti strumenti di assistenza esterna, tra cui appunto il MEDA per l‟attuazione del Partenariato Euro-Mediterraneo, sono stati infatti sostituiti dallo Strumento di vicinato e partenariato.

Dal 1° Gennaio 2007 gli strumenti di cooperazione MEDA e TACIS127 sono stati sostituiti dallo Strumento europeo di vicinato e partenariato (ENPI)128. Questo è, insieme allo strumento di Pre-Adesione129 e allo strumento di Cooperazione allo sviluppo130, uno dei nuovi strumenti geografici che compongono il neo “pacchetto aiuto esterno” dell‟Unione europea131.
Il programma è volto a fornire assistenza comunitaria, cosicché possa nascere una zona di prosperità e di buon vicinato tra l‟Unione europea e i Paesi ed i territori limitrofi132. Dei Paesi ex MEDA fanno ora parte del nuovo programma Algeria, Autorità Palestinese della Cisgiordania e di Gaza, Egitto, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria e Tunisia; la Turchia è, invece, compresa tra i Paesi candidati effettivi o potenziali133.
L‟assistenza comunitaria mira a promuovere il dialogo e le riforme in campo politico; a sostenere il ravvicinamento delle legislazioni e delle regolamentazioni verso standard più elevati in tutti i settori di pertinenza. Essa tende a favorire lo Stato di diritto e il buon governo, in particolare rafforzando l‟efficienza dell‟amministrazione pubblica, l‟imparzialità e l‟efficienza del potere giudiziario e sostenendo la lotta contro la corruzione e le frodi. Mira inoltre ad incoraggiare lo sviluppo sostenibile, la protezione ambientale, la gestione sostenibile delle risorse e le politiche volte alla riduzione della povertà, al fine di contribuire al raggiungimento dei Millennium Development Goals delle Nazioni Unite134.
Suo scopo è quello di garantire una gestione delle frontiere efficace e sicura, di promuovere la cooperazione in materia di giustizia e affari interni, comprese questioni quali il diritto d‟asilo e la migrazione, e le azioni volte a combattere e a prevenire il terrorismo e la criminalità organizzata; nonché, fornire sostegno nelle situazioni di post crisi, segnatamente in termini di aiuti ai profughi e agli sfollati e contribuire alla prevenzione dei conflitti e alla preparazione alle catastrofi135.
A livello pratico, il sostegno136 previsto da tale assistenza si concretizza attraverso programmi nazionali o multinazionali di assistenza rivolti ad un Paese partner o tramite programmi relativi alla cooperazione regionale e sub-regionale tra due o più Paesi partner, che prevede anche la partecipazione degli Stati membri; oppure, attraverso programmi tematici, relativi ad uno o più problemi specifici condivisi da diversi Paesi partner che possono essere di rilevanza per uno o più Stati membri; o, infine, con programmi di cooperazione transfrontaliera che riguardano la cooperazione tra uno o più Stati membri e uno o più Paesi partner e che interessano regioni confinanti con la parte comune delle frontiere esterne dell‟Unione europea di loro competenza. Il coordinamento per l‟attuazione del programma varia in relazione alla tipologia di azioni. Per i programmi nazionali o multinazionali sono adottati dei documenti di strategia, contenenti indicazioni pluriennali dotate di specifici budget: sulla base dei documenti di strategia la Commissione adotterà i c.d. programmi d‟azione (di norma su base annuale) che stabiliscono gli obiettivi perseguiti, i settori d‟intervento, una descrizione delle azioni da finanziare, i risultati attesi, le modalità di gestione, nonché l‟importo del finanziamento previsto.
Per quel che riguarda i programmi di cooperazione transfrontaliera137 vengono adottati uno o più documenti di strategia specifici, sulla base dei quali sono poi implementati i programmi operativi congiunti, relativi ciascuno ad una regione frontaliera. I programmi operativi congiunti138 sono programmi pluriennali relativi a una o a un gruppo di frontiere e prevedono azioni pluriennali volte al conseguimento di un insieme coerente di priorità. In seguito all‟adozione dei programmi congiunti la Commissione conclude con Paesi partecipanti un accordo di finanziamento. I programmi congiunti sono di norma gestiti da una Autorità di gestione congiunta139, eventualmente coadiuvata da un Segretariato tecnico140; le regioni frontaliere su cui saranno attivati i programmi congiunti sono stabilite dalla Commissione. Una delle novità interessanti riguarda il fatto che ai programmi transfrontalieri possono essere associati anche Paesi terzi non partecipanti al programma che si affacciano su un bacino marino comune in cui è stato attivato un programma operativo congiunto.
4.3 Le opportunità dello strumento di vicinato e partenariato per il Mediterraneo: la cooperazione transfrontaliera
Lo Strumento europeo di vicinato e partenariato sancisce un importante punto di svolta nelle politiche europee di assistenza esterna introducendo il principio dei benefici comuni e della partecipazione delle autorità locali attraverso la componente della cooperazione transfrontaliera. Entrambi questi principi si fondano sul partenariato tra attori interni ed esterni all‟Unione europea. Ma ancor di più, entrambi implicano il superamento dei confini. Il riconoscimento del ruolo delle autorità locali prevede, inoltre, l‟applicazione del principio di sussidiarietà verticale anche nella politica di assistenza esterna e non solo nella politica interna di sviluppo regionale. Quanto detto affonda le sue radici nel profondo cambiamento delle relazioni che da internazionali sono diventate sempre più transnazionali141. Il fenomeno della cosiddetta “glocalizzazione”142 ha infatti comportato una revisione del ruolo degli Stati centrali, che non sono più gli unici attori delle relazioni e delle politiche internazionali. La crescente interdipendenza tra esterno ed interno e la relativizzazione del confine143, coinvolge direttamente i territori e le relative autorità locali attraverso il commercio, gli investimenti, la mobilità delle persone (con particolare riferimento alle migrazioni) e i flussi di idee e conoscenze. Di conseguenza, gli attori territoriali e le autorità locali sono sempre più attivi nello scenario mondiale e operano all‟interno dello Stato, così come nelle relazioni transnazionali e dell‟economia globale144. Negli ultimi anni si è osservata una convergenza crescente tra politica estera ed interna nell‟attività delle autorità locali. Dapprima parallele, la cooperazione decentrata allo sviluppo (esterna all‟Europa) e la cooperazione territoriale (interna all‟Europa) si sono progressivamente integrate nell‟area di vicinato e di pre-adesione, grazie soprattutto alle componenti di cooperazione transfrontaliera e transnazionale del programma INTERREG145. In un certo senso, a livello di autorità locali si è superata l‟interdipendenza tra le politiche europee di assistenza esterna e di sviluppo regionale. La Commissione europea ha attribuito alle regioni e agli enti locali un‟importanza crescente nella cooperazione, a partire dagli anni „90 con l‟iniziativa INTERREG, fino ai nuovi interventi di assistenza esterna dello Strumento europeo di vicinato e partenariato e dello Strumento di pre-adesione146.
Lo Strumento europeo di vicinato e partenariato rappresenta, dunque, una innovativa finestra di opportunità per le autorità locali nella politica di assistenza esterna e dà un grande impulso al ruolo politico delle regioni. Per la prima volta esse possono partecipare, attraverso la cooperazione transfrontaliera, alla governance multi-livello dello sviluppo territoriale nel Mediterraneo147. Inoltre, il Regolamento dello Strumento europeo di vicinato e partenariato prevede che l‟assistenza comunitaria possa essere utilizzata a beneficio comune degli Stati membri e dei Paesi partner, e questo trova un‟importante applicazione proprio con la cooperazione transfrontaliera e transregionale148. Il principio del beneficio comune viene infatti esteso alle regioni dei Paesi membri e partner, con un emendamento del Parlamento Europeo149.
Per la prima volta, attraverso lo strumento europeo di vicinato e partenariato e quello di pre-adesione, un unico strumento sarà applicato a entrambi i lati dei confini esterni dell‟Unione europea, a favore dei territori comunitari come di quelli terzi. I fondi comunitari per lo sviluppo interno dell‟Unione150 concorreranno così all‟attuazione della cooperazione transfrontaliera con i Paesi terzi.
A livello politico, il coinvolgimento attivo dei territori nei processi di programmazione, gestione e realizzazione dei programmi congiunti di cooperazione transfrontaliera potrebbe avere importanti effetti sui processi di decentramento e democratizzazione in molti Paesi terzi, in particolare del Mediterraneo. Il ruolo chiave attribuito dalla PEV a regioni ed enti locali pone la questione della governance multi-livello, ossia del coordinamento tra i vari livelli di governo, con i Paesi terzi151. L‟assistenza comunitaria prevista dal Regolamento ENPI deve essere stabilita in un partenariato tra la Commissione e i beneficiari, che deve comprendere autorità nazionali, regionali e locali, partner economici e sociali, la società civile e altri organismi competenti. La capacità di partecipazione effettiva delle autorità territoriali dei Paesi terzi dipenderà tuttavia dai diversi sistemi costituzionali e istituzionali dei Paesi partner, dall‟applicazione del principio di partenariato e dei principi di sussidiarietà verticale e orizzontale.

5. Unione per il Mediterrano (2008)
La nascita dell‟idea dell‟Unione Mediterranea trova impulso nell‟aggravarsi della marginalizzazione del Mediterraneo nell‟economia mondiale, testimoniata dal fatto che il suo ruolo è diventato periferico per la diminuzione del contributo dato agli scambi mondiali da parte dei Paesi del sud e dell‟est del bacino. Anche il calo dei flussi degli investimenti, la mancanza del deposito di brevetti, l‟irrisorietà dell‟impiego di capitali destinati alla ricerca/sviluppo e la debolezza degli scambi intraregionali hanno contribuito ad acuirne la marginalità.
D‟altra parte le politiche comunitarie riguardanti il Mediterraneo si erano dimostrate incapaci di far fronte alla gravità dei problemi che già caratterizzavano quest‟area157 e che inevitabilmente si ripercuotevano sulla stabilità sociale e sui sistemi politici ed economici158. Fondamentalmente, l‟azione dell‟Unione nel bacino Mediterraneo è rimasta legata a delle pratiche inadeguate e a delle politiche desuete che avevano già dimostrato la loro inefficacia (soprattutto nel commercio), tanto che l‟UE non è riuscita a diventare la forza motrice capace di trainare i “vagoni” mediterranei allo stesso modo del Giappone in Asia159. Infatti, oltre alla debolezza degli investimenti diretti esteri europei nel Mediterraneo, le politiche mediterranee dell‟Unione non sono riuscite ad incoraggiare un vero sistema produttivo regionale160. Senza dimenticare che, al di fuori delle esportazioni di gas e petrolio, i Paesi dell‟area hanno un saldo commerciale negativo quasi cronico con l‟Unione europea.
La mancata integrazione produttiva, oltre ad essere un serio handicap per i Paesi mediterranei del sud e dell‟est, a causa della loro incapacità di dare alle produzioni un più alto valore aggiunto ed un più elevato valore tecnologico, costituisce anche un mancato guadagno per la stessa Unione161.
In altre parole, ci sono interessi reciproci che il solo commercio non può soddisfare. Bisogna andare più lontano, promuovendo progetti che possano condurre all‟integrazione produttiva e ad un vero collegamento tra il Nord ed il Sud, fondato su degli interessi reciproci e non su un rapporto di forza, superando i soli aspetti economici162. In questo quadro severo e privo di sfumature, il Processo di Barcellona non è riuscito ad essere all‟altezza degli obiettivi inizialmente fissati. Infatti, economicamente esso non ha ridotto gli scarti di ricchezza, non ha reso maggiormente attrattiva la regione per gli investimenti diretti esteri e ha beneficiato di un finanziamento limitato e mal utilizzato, specie nella prima fase del MEDA. Politicamente non è stato sottoscritto alcun documento di pace e stabilità, in assenza di un linguaggio comune fra i partner del Nord e del Sud. La partecipazione d‟Israele al partenariato euro-mediterraneo, insieme ad altri Paesi arabi (considerata dai responsabili dell‟UE come un‟acquis aggiuntivo), non ha impedito allo Stato ebraico di continuare la colonizzazione dei territori palestinesi e arabi. Culturalmente, la relazione dell‟Europa con gli ambienti arabo e turco ha molto sofferto della stigmatizzazione generalizzata dell‟Islam, soprattutto dopo l‟11 settembre 2001, e del dibattito identitario europeo, particolarmente riguardo alle discussioni sul Progetto di Costituzione europea.
Nonostante ciò, il Partenariato Euro-Mediterraneo ha permesso il risveglio e la partecipazione degli attori della società civile, suscitato un interesse accademico considerevole, facilitato lo sviluppo di reti di Istituti (EuroMeSCo e FEMISE163), finanziato in parte un‟Accademia diplomatica mediterranea a Malta, fatto nascere una grande fondazione culturale euro-mediterranea, la “Anna Lindt”, permesso la creazione, spesso spontanea, di centinaia di iniziative di centri di ricerca, di Istituti euro-mediterranei (per esempio IEMED a Barcellona) o delle Maisons de la Méditerranée (come quella di Marsiglia). Ciò ha consentito incontri fecondi sia sul piano umano, che sul piano politico e ha, allo stesso tempo, sensibilizzato l‟Europa alle problematiche del Mediterraneo.
Inoltre, in maniera ragionevole, non si può accusare la sola Unione europea dell‟insuccesso e dei fallimenti del partenariato: i Paesi del Sud hanno spesso trascinato i piedi in materia di riforme e non hanno fatto nulla di significativo per consentire la promozione dell‟integrazione sovra-regionale. Certo, c‟è stato l‟accordo di Agadir164, cui partecipano il Marocco, la Tunisia, l‟Egitto e la Giordania, ma questi quattro Paesi non hanno delle frontiere comuni e l‟accordo resta velleitario e virtuale.
Analizzando, poi, la Politica di Vicinato, questa risulta più problematica165 e suscita più questioni rispetto al partenariato euro-mediterraneo. Anzitutto per una bilateralizzazione eccessiva che mette l‟integrazione produttiva regionale fuori portata, in secondo luogo, a causa del blocco di tutti gli orizzonti di adesione e anche per l‟accavallamento delle altre iniziative in corso166.
Inoltre, l‟UM potrebbe diventare un pendant meridionale della “Dimensione Nordica”, un‟iniziativa regionale di cooperazione a cavallo dell‟UE e della Russia167.
Ma gli Stati del sud che hanno sottoscritto tale politica, sembrano giocare secondo le regole, e tentano di massimizzare i loro benefici, minimizzando i loro sacrifici, soprattutto sul piano politico. Per i sostenitori dell‟Unione Mediterranea, la Politica di vicinato è troppo estesa e riguarda Stati tra loro troppo diversi, che non sono sottoposti agli stessi obblighi e ai quali, pertanto, non sono richiesti gli stessi sforzi, che non sostengono le stesse identità, che non seguono necessariamente gli stessi obiettivi e che non hanno gli stessi orizzonti.

La proposta francese non manca perciò di propositi, dato che si tratta di agire globalmente per massimizzare i campi di cooperazione, intorno a degli interessi condivisi, affinché si possano “tracciare le linee di un futuro comune sostenibile”168. È necessario, quindi, stare a vedere se l‟Unione Mediterranea, e il numero più esiguo degli Stati che ad essa partecipano169 (almeno nella proposta iniziale), offre prospettive migliori in termini di lavoro congiunto, di coerenza, di coordinamento con le altre iniziative e di impatto settoriale e globale. 

sabato 12 dicembre 2015

Elaborazione tesi

Capitolo 4. Unione per il Mediterraneo (UM)
1.       Circostanze Storiche

L’idea del presidente francese Nicolas Sarkozy di riproporre l’Unione Mediterranea (UM), espressa durante la campagna elettorale presidenziale in un discorso pronunciato a Tolone[1], riespone il dibattito sulla centralità del Mediterraneo nella geopolitica della Francia e dell’Unione europea[2].
Tale pensiero è inizialmente vago, ma ambizioso[3], considerato il fatto che il dialogo euro-mediterraneo immaginato dodici anni prima col Processo di Barcellona non ha raggiunto i suoi obiettivi[4], ne conquistato traguardi significativi. Dopo l’Appel de Rome[5], del dicembre 2007, l’Unione Mediterranea è diventata Unione per il Mediterraneo, soprannominata poi, dal Consiglio europeo del 13-14 marzo 2008, Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo. Quest’ultima qualificazione, che potrebbe sembrare una semplice, quasi banale, trasposizione semantica, in realtà comprende dentro di sé le motivazioni e riflessioni che hanno condotto ad essa.
L’insorgenza dell’idea dell’Unione Mediterranea trova forza ed input nell’aggravarsi della marginalizzazione del Mediterraneo, inteso qui come area strettamente geografica, nell’economia mondiale, testimoniata dal fatto che la sua funzione è diventata periferica per la riduzione del contributo dato agli scambi mondiali da parte dei Paesi del sud e dell’est del bacino. Anche la diminuzione dei flussi degli investimenti, la carenza del deposito di brevetti, l’irrisorietà dell’utilizzo di capitali rivolti alla ricerca e sviluppo e la volubilità degli scambi intraregionali hanno concorso ad acuirne la marginalità.
D’altra parte le azioni e strategie politiche comunitarie connesse al Mediterraneo si erano dimostrate incapaci di far fronte alla complessità dei dilemmi che già caratterizzavano quest’area[6] e che necessariamente si ripercuotevano sulla solidità sociale e sugli assetti politici ed economici[7]. Essenzialmente, l’azione dell’Unione nel bacino Mediterraneo è rimasta avvinghiata a delle pratiche inadeguate ed a delle strategie desuete che avevano già attestato la loro sterilità (soprattutto nel mercato e nel commercio), tanto che l’UE non è riuscita a divenire la forza trainante capace di spingere le “carrozze” mediterranee allo stesso modo del Giappone in Asia[8]. Infatti, oltre alla leggerezza degli investimenti capitalistici diretti esteri europei nel Mediterraneo, le politiche mediterranee dell’Unione non sono arrivate all’obbiettivo di incoraggiare un vero complesso organizzato produttivo regionale[9]. Senza scordare che, al di fuori delle esportazioni di gas e petrolio, i Paesi dell’area hanno un saldo commerciale, nella bilancia commerciale, negativo radicato, e quasi patologico, con l’Unione europea.
L’inefficace integrazione produttiva, oltre ad essere un serio handicap per i Paesi mediterranei del sud e dell’est, a causa della loro inadeguatezza nel dare alle produzioni un più alto valore aggiunto ed un più elevato valore tecnologico, rappresenta anche un mancato guadagno per la stessa Unione[10].

Sostanzialmente, ci sono interessi in gioco biunivoci che solamente commercio non può soddisfare. Bisogna andare più lontano, favorendo visioni ed idee che possano portare all’integrazione produttiva e ad una vera connessione tra il Nord ed il Sud, fondato su degli interessi reciproci e non su un rapporto di forza, superando i soli aspetti economici[11]. In questo quadro severo e privo di sfumature, il Processo di Barcellona non è riuscito ad essere all’altezza degli obbiettivi originariamente stabiliti. Difatti, economicamente esso non ha accorciato gli scarti né il divario di ricchezza, non ha reso in maggior misura attrattiva l’area per gli investimenti diretti esteri e ha usufruito di un’erogazione finanziaria limitata e mal impiegata, specie nella prima fase del MEDA. Politicamente non è stato sottoscritto alcun documento di impegno di pace e stabilità, in difetto forte di un linguaggio comune fra i partner del Nord e del Sud. La compartecipazione d’Israele al partenariato euro-mediterraneo, insieme ad altri Paesi arabi (considerata dai responsabili dell’UE come un’acquis aggiuntivo), non ha contrastato lo Stato ebraico nel proseguire la colonizzazione dei territori palestinesi e arabi. Culturalmente, il rapporto dell’Europa con gli ambienti arabi e turchi ha molto sofferto della stigmatizzazione massificata dell’Islam, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, e del dibattito identitario europeo, in particolar modo in riferimento alle discussioni sul Progetto di Costituzione europea.
Nonostante ciò, il Partenariato Euro-Mediterraneo ha consentito la rinascita e la presenza degli attori della società civile, suscitato un coinvolgimento accademico considerevole, agevolato il progresso di reti di Istituti (EuroMeSCo e FEMISE), sovvenzionato in parte un’Accademia diplomatica mediterranea a Malta, fatto germogliare una grande fondazione culturale euro-mediterranea, la “Anna Lindt”, supportato la creazione, spesso spontanea, di centinaia di idee ed iniziative di centri di ricerca, di Istituti euro-mediterranei (per esempio IEMED a Barcellona) o delle Maisons de la Méditerranée (come quella di Marsiglia). Ciò ha permesso dibattiti fecondi sia sul piano umano, che sul piano politico e ha, al contempo, interessato l’Europa alle questioni del Mediterraneo.
Per di più, ragionevolmente, non si può criticare solamente l’Unione europea dell’insuccesso e dei tentativi velleitari del partenariato: i Paesi del Sud hanno spesso trascinato i piedi sulle riforme interne e non hanno fatto nulla di rilevante per permettere la promozione dell’integrazione sovra-regionale. Indubitabile che ci sia stato l’accordo di Agadir[12], cui aderiscono il Marocco, la Tunisia, l’Egitto e la Giordania, ma questi quattro Paesi non hanno dei confini comuni e l’accordo resta vanaglorioso e ipotetico.
Studiando, poi, la “Politica di Vicinato”, questa si disvela ancor più problematica[13] e fa sorgere ulteriori questioni rispetto al partenariato euro-mediterraneo. Anzitutto per una <<bilateralizzazione>> sovrabbondante, e sproporzionata, che pone l’integrazione commerciale ed industriale regionale fuori portata, in secundis, a causa della chiusura di tutte le possibilità di annessione, di altri paesi, e anche per l’accavallamento delle altre iniziative in corso[14].
Oltre a tutto ciò, l’UM potrebbe trasformarsi un’appendice meridionale della “Dimensione Nordica”, un’iniziativa regionale di cooperazione tra strategie dell’UE e della Russia[15].
Ma gli Stati del sud che hanno firmato tale politica, sembrano adoperarsi secondo le norme, e provano a massimizzare le loro utilità, minimizzando i loro doveri ed annessi sacrifici, soprattutto sul piano politico, specialmente interno. Per i fautori dell’Unione Mediterranea, la Politica di vicinato è troppo dilatata e riguarda Stati tra loro esageratamente diversi, che non sono assoggettati agli stessi obblighi e ai quali, perciò, non sono richiesti gli identici compiti, che non supportano le stesse identità, che non seguono conseguentemente gli stessi obiettivi e che non hanno le stesse mete.
L’intenzione francese non manca perciò di progetti, dato che si tratta di agire complessivamente per ottimizzare le aree di cooperazione, intorno a degli interessi condivisi, quando non addirittura comuni, allo scopo di “tracciare le linee di un futuro comune sostenibile”[16]. È doveroso, quindi, constatare se l’Unione Mediterranea, e il numero più scarso degli Stati che ad essa aderiscono (almeno nel progetto iniziale), ponga prospettive migliori in termini di lavoro connesso, di uniformità, di coordinamento con gli altri progetti sia di impatto settoriale sia globale.
La proposta francese ha l’indubbia virtù di aver incrementato moltissimo i dibattiti e stimolato tante reazioni, oltre che, come vedremo, riflessioni che, anche se contrarie, sono servite a riproporre la centralità del Mediterraneo, sottolineandone la rilevanza. Così, appunto, l’Unione europea ha incominciato ad interrogarsi sulla relazione, sulla coerenza e sull’adeguatezza delle strategie politiche mediterranee, a proseguire verso una stima dei propri gesti e mancanze ed a reagire alle invocazioni che costantemente le venivano poste[17].
L’UM così come proposta da Sarkozy, forse anche al di là delle intenzioni, ha posto un dilemma non facile ai Paesi europei. Da una parte l’accoppiata PEM/PEV è in linea con la coesione europea, ma non offre soluzioni dinamiche e di alto profilo al governo delle relazioni mediterranee.
Dall’altra, l’UM sembra una soluzione più adatta, oltre che reattiva, e di alto profilo politico, ma espone al rischio di mettere in questione “l’aggregazione europea”, come solitamente immaginata. Sorge quindi la domanda, conseguentemente, se sia necessario distaccarsi dall’area europea per avere una buona politica mediterranea. La risposta più ovvia è no, ma questa non è una risposta risolutiva, se si guarda alla debolezza della politica europea. A questa debolezza occorre tuttavia porre rimedio e, in questa necessità, l’averlo fatto risiede uno dei meriti maggiori della proposta francese[18].
Nonostante le prime reazioni contrarie all’Unione Mediterranea[19], i responsabili delle politiche nell’area mediterranea, in seno alla Commissione, sono ben coscienti dell’impellenza di rendere più dinamiche le politiche in corso[20]. Nondimeno, è manifesta la circostanza per cui alcuni Stati membri sono più interessati di altri all’attuazione di tale Unione, perché coinvolti senza intermediazioni, in quanto geograficamente limitrofi. Alcune reazioni, viceversa, riflettono sicuramente delle perplessità riguardo alla pertinenza dell’idea stessa dell’Unione Mediterranea, dal momento che essa non va a gravare sui soli Paesi mediterranei, ma anche sugli altri. Non bisogna infatti dimenticare che sovvenzionare le iniziative di tale progetto con i fondi dell’Unione europea richiede che tutti i Paesi membri siano d’accordo. A questo proposito la replica della Germania è illuminante. Il cancelliere tedesco, precisamente, Angela Merkel, non ha mancato di essere contraria a tale programma e, alla conferenza di Berlino del 5 dicembre 2007, ha apertamente dichiarato che, se la Francia vuole appoggiare l’Unione mediterranea, la Germania invece sente di essere più vicina all’Europa centrale ed orientale e che tale conflitto potrebbe diventare un fattore esplosivo all’interno dell’Unione europea.
Tuttavia le Nazioni che hanno presentato più dubbi sono stati i nuovi membri del centro e dell’est europeo, la cui apprensione fondamentale è quella di irrobustire, prima ancora che nel Mediterraneo, le loro democrazie e le loro economie. Essi difatti, oltre a dover affrontare, con l’intento della riuscita, le conseguenze negative di anni di programmazione economica (in quanto Stati satelliti, ex URSS), sono più subordinati ai problemi dei loro vicini dell’est (particolarmente dell’Ucraina[21]). Nella Commissione e nel Parlamento alcuni si interessano circa la pertinenza di un disegno dall’essenza intergovernativa i cui spazi di intervento (ambiente, sicurezza, energia, sviluppo umano, sociale, dialogo interculturale, etc.) non interessano più, solamente o anche solo parzialmente, le iniziative politiche degli Stati, ma sono di competenza dell’UE.
In particolare il Parlamento europeo si preoccupa di puntualizzare come tale iniziativa non possa prescindere dal Processo di Barcellona e debba anzi rinforzarlo ed approfondirlo, dal momento che essa non è né contro il partenariato, né intende sostituirlo[22]. L‟UM, peraltro, si è imposta nei dibattiti istituzionali e mediatici come unione di progetti, riferendosi alla continuità col Processo di Barcellona, più che ad un nuovo progetto di Unione. Essa si ispira agli inizi della costruzione europea e si fonda sul metodo seguito dai padri fondatori del progetto europeo[23]: delle azioni concrete e delle solidarietà costruite[24].
Al momento del lancio dell’idea dell’Unione Mediterranea gli Stati europei del Mediterraneo evitano l’opposizione frontale con la Francia, ma è chiaro che, anche se l’idea di una cooperazione rinforzata può legittimamente sedurli[25], l’attivismo francese li prende alla sprovvista e li infastidisce[26]. Affermano però di sostenere il progetto, purché venga inscritto in un approccio “globalmente euro-mediterraneo”, come affermato dal ministro degli Esteri spagnolo, Miguel Angel Moratinos. Anche il Premier italiano, Romano Prodi, al riguardo dimostra la stessa prudenza. Questo atteggiamento andrà via via cambiando, come si vedrà successivamente con la Dichiarazione di Roma.

Non può dirsi che, almeno in un primo momento, le reazioni siano state entusiastiche degli Stati mediterranei della sponda SUD.

Rispetto agli altri Paesi del Maghreb, il Marocco ricerca soprattutto uno “statuto differenziato” sia per la sua prossimità geografica, che per la sua partecipazione in progetti comunitari (il sistema Galileo[27], la partecipazione all’operazione Althea[28] in Bosnia e la firma dell’accordo “Cielo aperto”, etc.). Ma nell’attesa che venga riconosciuto al Marocco questo ruolo, il ministro degli Esteri marocchino si dice favorevole all’Unione Mediterranea, purché questa non intenda solo frenare l’immigrazione e lottare contro il terrorismo per preservare soltanto la sicurezza dell’Europa.
L’Algeria si adegua e conforma al suo Accordo di associazione con l’Unione Europea, intanto che la Tunisia prediligerebbe un consolidamento della formula “5+5”[29] concernente al Mediterraneo occidentale. Nel Machrek arabo si indugia perplessi quanto al valore aggiunto dell’Unione Mediterranea e riguardo alla sua capacità di definire positivamente i contrasti costitutivi che hanno compromesso il Processo di Barcellona. Ma ciò non frena la possibilità del Presidente egiziano, Hosni Mubarak, di ritenere quella dell’UM un’eccellente intenzione che è meritevole di essere vagliata[30]. La Turchia è più prudente: non gradisce infatti che l’Unione mediterranea rappresenti nei suoi confronti solo un’alternativa rispetto alla sua istanza di adesione. La Turchia è disposta a giocare un ruolo di primo piano nell’architettura mediterranea, ma non al prezzo di una “non adesione”. Concludendo, la posizione d’Israele, differentemente da quanti si sono dimostrati dubbiosi, è palesemente favorevole, ma le motivazioni addotte la dicono lunga sui suoi propositi. Infatti l’UM rappresenterebbe per Israele un impulso in grado di normalizzare le sue relazioni con gli arabi limitrofi, senza doversi rappacificarsi con essi, ovvero per questi versi “sciogliere” il conflitto che li oppone.

Non tardano ad arrivare le reazioni dei media e le riflessioni degli intellettuali.
Anche fra questi affiorano posizioni differenti: alcuni palesano perplessità e sospetto, mentre altri individuano nell’UM delle virtù.
Per il parere di Alexandre Adler[31], studioso e giornalista francese, il Processo di Barcellona non è stato altro che un complesso organizzato senza capacità propulsiva. L’Unione Mediterranea, piuttosto, darà una svolta alla politica, in quanto gli Stati, dovendo farsi carico ciascuno delle proprie incombenze, dovranno porre fine alle loro contese. Per di più, secondo Adler, il nuovo funzionamento sottintende che l’universo musulmano dovrà accettare di fare parte di spazi più vasti da avere in comune con i non musulmani. Pertanto anche Israele e i suoi vicini, secondo la stessa logica, dovranno riconoscersi vicendevolmente.
Malauguratamente, però, la realtà non è così agevole. Il programma del mercato comune in Europa non ha prevenuto la risoluzione dei conflitti europei e la concordia franco-tedesca. Voler fare l’opposto nel Vicino-Oriente significherebbe postulare che l’integrazione guida alla pace, mentre in Europa è stata la pace a condurre all’integrazione. Più cautamente, Jean-Claude Casanova[32], economista ed intellettuale dal profilo liberale, francese, afferma che l’UM è un percorso giusto ma difficoltoso: giusto perché fonderà il punto d’incontro delle tre sorelle latine[33], delle altre nazioni mediterranee dell’Europa e dei partner esterni e, dunque, infonderà energia nuova; difficoltoso perché sarà imprescindibile persuadere tutti i partner europei dell’utilità di tale pianificazione e indurre nei turchi il pensiero che la decisione di Nicolas Sarkozy di respingere l’adesione della Turchia non si basa su alcuna inimicizia verso gli Stati musulmani. Ancora più importante ed affascinante risulta il punto di vista di Alvaro Vasconcelos[34], direttore del “Centro dell’Unione Europea Occidentale” (UEO) a Parigi ed ex Segretario generale di EuroMeSCo. Questi rivolge il pensiero sostanzialmente sul postulato di base del Processo di Barcellona, secondo cui lo sviluppo dei Paesi terzi mediterranei porta necessariamente alla loro solidità e possibilmente alla loro democratizzazione, confermando che questa equazione è stata un fallimento. Quindi, continua, è oramai indicato dare la preminenza alla democrazia. Nonostante le critiche rivolte al processo di Barcellona, questo permane, secondo lui, il quadro più appropriato, ferma restando l’urgenza di irrobustire il partenariato, per esempio attraverso un “Piano Marshall” per il Mediterraneo[35] od in alternativa un’Unione euro-mediterranea[36]. Quest’ultima idea, in particolare, fondata su una prospettiva comune, può concretamente impegnare la regione europea (che si fonda su dei valori che hanno concorso alla riuscita dell’integrazione europea) verso un piano di lavoro di più ampio respiro, che, però, dovrà in primis costruire la pace, in quanto questa è condizione necessaria per il successo della spinta regionale e per l’approfondimento democratico nell’area mediterranea. Quest’idea di pace, come presupposto del progetto euro-mediterraneo, è ripresa da Pascal Boniface[37], il quale pensa che le elaborazioni comuni hanno rinsaldato la pace e non l’hanno preceduta. In effetti, questo ragionamento difficilmente può essere scartato, valutando come sia necessario favorire lo sviluppo della pace prima di poterne apprezzare i risultati.

2.       Quadro Istituzionale e gerarchico, funzioni, legittimità degli accordi
Le riserve e le critiche incontrate dalla intenzione palesata dal presidente francese hanno condotto esperti e politici ad immettere delle variazioni, cosicché l’Unione Mediterranea potesse essere gradita e appoggiata operosamente da tutti gli Stati membri del nord e del sud Europa. Sui chiarimenti e sui perfezionamenti che i responsabili politici hanno allegato al progetto dell’Unione mediterranea vi sono numerosi rapporti, presentati tra ottobre e dicembre del 2007. Di questi i più notevoli sono: il Rapporto di un Gruppo di esperti inglobato dall’Istituto del Mediterraneo sul progetto dell’Unione Mediterranea[38] ed il Rapporto d’informazione, della Commissione parlamentare, “Come costruire l’Unione Méditerranea” iscritto alla Presidenza dell’Assemblea nazionale francese[39]. Presieduto dal Professore Jean-Louis Reiffers, questo Gruppo informale di alti esperti ha divulgato il suo rapporto nell’ottobre 2007. Esso intende rispondere ad alcune contestazioni ed apportare delle precisazioni al progetto di Unione mediterranea, attraverso l’analisi e l’approfondimento di una decina di tematiche. Il Rapporto comprende due ambiti: il primo analitico, il secondo propositivo. Per quel che concerne l’analisi essa si bassa largamente sui rapporti annuali della rete FEMISE finanziata dall’UE. Si tratta principalmente di un bilancio del Processo di Barcellona e della Politica di Vicinato, di cui si evidenziano i limiti e anche le incoerenze. Ma il Gruppo si guarda bene dal rigettare in blocco le politiche europee, che definisce come dei “dispositivi centrali”. È quindi a livello delle proposte, e non tramite l’analisi, che il Gruppo dell’Istituto del Mediterraneo ha l’intenzione di procurare un contributo importante e provvedere ad un correttivo rispetto al progetto iniziale del presidente francese. Così, per calmierare le posizioni della Germania riguardo al prospetto dell’UM, il Gruppo ritiene che la Germania debba esserne una delle promotrici. Ma c’è da chiedersi perché non dare lo stessa attenta valutazione anche a tutti gli altri Paesi europei, in modo da fare dell’UM un progetto europeo. Proprio questo ragionamento è stato al centro delle discussioni informali tra Sarkozy e la Merkel, il 3 marzo 2008, sulle quali il presidente francese si è visto obbligato a fare delle aperture, fino ad accettare che l’UM sia estesa all’insieme dei Paesi dell’Unione europea. Di fatto, il progetto franco-tedesco sarà poi acconsentito e ratificato dal Consiglio europeo del 13 marzo successivo. Sulla vicenda turca, il rapporto propone che l’UM non venga esposta come un’alternativa alla volontà di adesione della Turchia, rettificando, in tal modo, le prime proposte di Sarkozy[40]. È sulla questione del legame dell’Unione Mediterranea con le altre politiche europee che il rapporto si avviluppa in una serie di formulazioni complicate, affermando che esso è un progetto che non può sostituire i dispositivi europei, ma è semplicemente complementare ad essi, perché fondato su una “specifica strategia politica comune”, imperniata su “un’economia relazionale”, ovvero su tutto quello che non rientra nelle competenze esclusive dell’UE[41]. Pertanto il Gruppo, senza interrogarsi sull’opportunità o meno di ammettere nell’UM Paesi ancora oggi in conflitto e dimostrando di non avere appreso granché dal Processo di Barcellona, decide di invitare tutti i Paesi rivieraschi, anche quelli in conflitto (come quelli del Medio Oriente), con l’erronea convinzione che “la soluzione dei conflitti non debba essere un prerequisito per partecipare all’UM”. Sebbene sia risaputo quanto il deterioramento del conflitto arabo-israeliano avesse condizionato il Processo di Barcellona. Per quel che concerne l’architettura istituzionale, il Gruppo propende per una “Cooperazione rinforzata”, senza arrivare in proposito ad una proposta definitiva. Lo stesso vale per la definizione del perimetro: il Gruppo vuole che l’Unione Mediterranea sia limitata ai Paesi rivieraschi, pur aprendola allo stesso tempo a tutti gli Stati che desiderano aderirvi. La medesima imprecisione si ritrova per ciò che concerne le risorse finanziarie da mobilitare. Il Gruppo ritiene che bisogna bussare a tutte le porte (l’UE, i Paesi membri, i fondi arabi, le Istituzioni internazionali); è in dubbio invece se creare un’istituzione finanziaria specializzata o una Banca mediterranea. Il Gruppo sembra protendere per una Banca Mediterranea, senza nulla specificare in anticipo sul mandato, sulla struttura, sugli obiettivi e sulle sinergie con altre istituzioni finanziarie, specialmente con la Banca europea degli investimenti. Nonostante il Rapporto, per i suddetti motivi, non abbia risposto a tutte le domande, ha tuttavia il merito di averle poste, di avere proposto alcune riflessioni e di avere aiutato i politici a riformulare le proposte iniziali dell’Unione mediterranea.
La Valutazione della Commissione parlamentare: Rapporto
Registrato alla presidenza dell’Assemblea nazionale francese, il 5 dicembre 2007, il Rapporto della Commissione parlamentare attinge molto dal rapporto del Gruppo dell’Istituto del Mediterraneo. Così questo parla di un perimetro “a geometria variabile”[42] e “modulabile secondo i progetti”, si riferisce prioritariamente ai Paesi rivieraschi, ma aggiunge che l’UE e la Lega degli Stati arabi ne sono membri di diritto. È la prima volta che la Lega degli Stati arabi viene menzionata. Il rapporto della Commissione, al pari del rapporto dell’Istituto del Mediterraneo, prevede la stessa architettura istituzionale. Ma quello che per quest’ultimo è l’Alto Commissariato[43] qui diventa il G-MED[44]. Anche il rapporto della Commissione prevede delle Agenzie specializzate, ma omette il dispositivo audit (ovvero lo strumento permanente di valutazione dei risultati) e propende per un’Assemblea Parlamentare del Mediterraneo. Il rapporto propone naturalmente di non duplicare le Istituzioni esistenti e di mantenere un legame con l’Unione europea; arriva addirittura a proporre “una Carta di partenariato tra l’UM e l’UE”, i cui assi principali sarebbero: la partecipazione di diritto dell’Unione europea alle istanze dell’UM, il rispetto dell’acquis di Barcellona e l’affermazione che l’appartenenza all’UM non è un’alternativa all’adesione. Per quel che concerne i progetti prioritari, il rapporto della Commissione sottolinea l’importanza di “progetti concreti che rispondano ai bisogni e alle attese delle popolazioni”. Ma qualunque sia il progetto, bisogna prevedere un meccanismo di co-decisione, il coinvolgimento di ciascun membro su base volontaristica e aprire il processo alla società civile. Fra i progetti che sembrano meritare un’attenzione particolare, il rapporto predilige: la gestione dell’acqua, l’ambiente e lo scambio di conoscenze. Per il finanziamento, la Commissione parlamentare suggerisce la creazione di “un gruppo d’investimenti finanziari” (GIEMED). Secondo la Commissione obiettivo finale dell’UM è “preservare il Mediterraneo come bene pubblico comune” e assicurare la prosperità e la sicurezza delle sue popolazioni. Insomma, i principali correttivi apportati dalla Commissione parlamentare alla proposta iniziale di Sarkozy portano alla necessaria preservazione dell’acquis di Barcellona, al coinvolgimento dell’Unione europea e della Lega Araba come membri di diritto e allo scollegamento tra l’appartenenza all’Unione mediterranea e l’adesione della Turchia all’UE. Poche invece le novità per quel che concerne il perimetro geografico, la priorità dei progetti, i meccanismi di finanziamento, i possibili legami con lo strumento di vicinato, il Fondo Euro-Mediterraneo d’Investimento e Partenariato (FEMIP) e la Banca europea d’investimento (BEI).


Dichiarazione di Roma e l’Unione per il Mediterraneo[45]
Qualche giorno dopo la presentazione del Rapporto della Commissione parlamentare, la diplomazia francese giunge a riunire i capi di Stato e di Governo di Francia, Italia e Spagna[46] in un Summit tripartito, tenuto a Roma il 20 dicembre 2007. Per i tre Paesi “l’Unione per il Mediterraneo (UPM) avrà come vocazione [quella] di riunire l’Europa e l’Africa attorno ai Paesi rivieraschi del Mediterraneo” e di istituire con questi Paesi “un partenariato fondato sull’uguaglianza”. Il valore aggiunto dell’Unione per il Mediterraneo consisterà nel dare “uno slancio politico” alla cooperazione mediterranea e assicurare la mobilitazione “della società civile, delle collettività locali, delle associazioni e delle ONG”. Secondo i firmatari della Dichiarazione di Roma, l’UPM dovrà avere come interesse primario quello di essere “il cuore e il motore della cooperazione nel Mediterraneo e per il Mediterraneo”. A questo fine, essi convengono sull’opportunità di organizzare una riunione dei Paesi rivieraschi, il 13 luglio 2008, cui segua, il giorno dopo, un Summit di tutti i Paesi rivieraschi con i ventisette Paesi dell’UE, al fine di fissare “i principi e l’organizzazione dell’UPM”. In attesa del Summit, i capi di Stato e di Governo francese, italiano e spagnolo si impegnano ad “identificare gli ambiti prioritari di cooperazione, i progetti più appropriati”, lo studio della loro fattibilità e delle fonti di finanziamento, e di “prendere in considerazione la lista dei Paesi che intendono impegnarsi in ogni progetto concreto”. Nella Dichiarazione di Roma, i firmatari si preoccupano di presentare l’Unione per il Mediterraneo come un “complemento” delle altre procedure di cooperazione e di dialogo destinato “a dare loro un impulso supplementare” fermo restando che “il Processo di Barcellona e la Politica di Vicinato rimarranno centrali”. La Dichiarazione di Roma si conclude con l’assicurazione che l’UPM non interferirà né nel processo di stabilizzazione per i Paesi interessati, né nel processo di negoziazione in corso tra l’UE, la Croazia e la Turchia. Essenzialmente, la Dichiarazione di Roma poggia sul Rapporto dell’Istituto del Mediterraneo e su quello della Commissione parlamentare francese. Ma vi si trovano certo sfumature che denotano la presa in considerazione di obiezioni spagnole ed italiane. La prima sfumatura concerne la denominazione del progetto: ormai si parla di Unione per il Mediterraneo e non di Unione Mediterranea. Questa è un idea cara al ministro degli esteri spagnolo, Moratinos[47]. La modifica è meno banale di quanto non appaia a prima vista, perché essa solleva un’ambiguità: non si tratta di una unione politica del Mediterraneo, del resto oggi impossibile da prendere in considerazione, ma di uno sforzo unificato per la pace, la prosperità e il dialogo nel Mediterraneo. La seconda sfumatura riguarda i promotori del progetto. Infatti, fino alla Dichiarazione di Roma, il progetto di Unione Mediterranea appariva chiaramente come “un’idea francese”. Con la Dichiarazione di Roma, l’UPM diventa un’iniziativa comune di Francia, Italia e Spagna. Ma essa è lontana dall’acquietare i timori e i sospetti di altri Paesi europei[48], come la Germania. Questa infatti considera di essere essa stessa un Paese mediterraneo, nella misura del volume degli scambi con i Paesi del Sud e del peso della sua popolazione immigrata d’origine mediterranea, specialmente turca. La terza sfumatura, già presente nel rapporto dell’Istituto del Mediterraneo e in quello dell’Assemblea nazionale francese, riguarda la Turchia. La Dichiarazione di Roma scollega l’UPM dal progetto di adesione: la Turchia cioè potrà sia partecipare all’Unione per il Mediterraneo che mantenere la richiesta di adesione all’Unione europea; si tratta infatti di un procedere parallelo e non mutualmente esclusivo dei due progetti. Prendendo una posizione contraria all’adesione della Turchia, il presidente francese ha suscitato una levata di scudi e inasprito gli interlocutori turchi[49]. Scindendo le due questioni, si elimina un ostacolo e si favorisce il coinvolgimento della Turchia nell’UPM. La Dichiarazione di Roma tende a rassicurare tutti, ma non è riuscita a garantire un decollo facile all’Unione per il Mediterraneo. Persiste ancora una grande incertezza riguardo agli obiettivi, alle strutture, al finanziamento e ai partecipanti.
L’Unione per il Mediterraneo vagliata dal Consiglio Europeo
Si potrebbe erroneamente pensare che, dopo le aspre trattative franco-tedesche, per le concessioni fatte dal presidente francese alla cancelliera tedesca, il progetto di Unione Mediterranea occupi un posto di primo piano nelle conclusioni del Consiglio europeo del 13-14 marzo 2008[50]. Tuttavia non soltanto esso occupa il solo Annesso 1 e consta appena di cinque righe, ma inoltre si presenta con una nuova denominazione, Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo. Ecco in extenso il paragrafo ad esso dedicato:
“Il Consiglio europeo ha approvato il principio di un’Unione per il Mediterraneo che comprenderà gli Stati membri dell’UE e gli Stati costieri mediterranei non appartenenti all’UE[51]. Ha invitato la Commissione a presentare al Consiglio le proposte necessarie per definire le modalità di quello che si chiamerà Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo, in vista del vertice che si terrà a Parigi il 13 luglio 2008”. Così l’UE ha avuto l’ultima parola: l’Unione per il Mediterraneo non sarà che un rilancio del Processo di Barcellona. Ciò che è stato presentato come “una grande visione” ed “un’esperienza originale ed unica”[52], per uscire dai sentieri già percorsi dalla politica comunitaria “troppo incentrati sul commercio”, è stato trasformato in un progetto edulcorato. Probabilmente il presidente francese non ha potuto non sottoscrivere questo compromesso per non indirizzare l’UE e i suoi grandi Stati contro il progetto. Ma il passaggio da Unione per il Mediterraneo a Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo è più che una semplice trasposizione semantica. Esso reintegra il progetto nella dimensione europea[53], pone il problema della condivisione del fardello finanziario al momento della costituzione di nuove Istituzioni, ma d’altra parte rende più complicato l’aspetto decisionale dal momento che prevede una presidenza bicefala, un comitato permanente e un segretariato. Mentre inizialmente si è sostenuta l’idea di un “quadro alleggerito”, che fosse più ristretto della Politica di vicinato, con i suoi quarantatré membri, e più efficace del Processo di Barcellona, che ne conta trentanove (dopo l’integrazione della Mauritania e dell’Albania nel 2007), ci si ritrova adesso con un progetto che comprende potenzialmente quarantatré Paesi: i ventisette Paesi dell’UE, dieci Paesi arabi, Israele e i cinque Paesi del Mediterraneo orientale e adriatico. Ne risulta dunque sia una Politica di vicinato bis, che un Barcellona plus.
La Comunicazione della Commissione Europea sul “Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”[54]
Il Consiglio europeo del 13-14 marzo 2008 ha incaricato la Commissione di presentare delle proposte in vista di definire le modalità della messa in opera di ciò che ormai si chiama “Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”. La Commissione ha reso pubblico l’ultimo rifacimento della sua comunicazione nel maggio 2008, come base di discussione fino al Summit del 13 luglio. La comunicazione corregge le proposte iniziali francesi su una serie di questioni, prendendo in considerazione tre elementi d’orientamento generale della diplomazia francese: dare un impulso politico rinnovato ad un più alto livello (summit euro- mediterranei con cadenza regolare), una revisione del funzionamento su base paritaria (co-decisione ed uguaglianza) ed infine il lancio di un progetto concreto. C’è da chiedersi dunque qual è la diagnosi fatta dalla Commissione e come definisce le modalità di questo nuovo progetto. Sin dal principio, la Comunicazione ricorda la centralità del Processo di Barcellona: “in quanto partenariato comprendente trentanove Governi e più di settecento milioni di abitanti, ha offerto terreno fertile per un impegno e uno sviluppo costanti”. È “l’unica area nella quale l’insieme dei partner si impegnano in un dialogo costruttivo”, anche se, riconosce la Comunicazione, “la persistenza del conflitto mediorientale ha sottoposto il partenariato a dura prova”. Il partenariato, prosegue la comunicazione, ha permesso di far avanzare le riforme politiche e la democrazia partecipata, ma questo obiettivo “è stato oscurato dagli avvenimenti mondiali e regionali”. Malgrado ciò, c’è un aspetto non trascurabile, la società civile “occupa un posto ormai più centrale nel processo”, così come il dialogo interculturale, di cui la fondazione Anna Lindt per il dialogo delle culture è la più netta espressione. Con un registro diverso, la Comunicazione ricorda che l’UE resta il principale partner dei Paesi mediterranei. La progressiva liberalizzazione ha dato un colpo di frusta agli scambi e, sul piano macroeconomico e per quel che concerne gli indicatori di sviluppo umano, sono stati constatati dei miglioramenti. Certo la questione delle esportazioni agricole è ancora problematica, così come la lentezza della liberalizzazione dei servizi. Quanto alla debole attrattiva della regione per gli investimenti, questa potrebbe essere spiegata, secondo la Commissione, da una gestione economica insufficiente, da cui deriva una crescita limitata, e dalle conseguenze della crescita demografica. “L’effetto combinato di queste lacune” non ha permesso di diminuire lo scarto di prosperità tra l‟UE e i suoi partner. In questo stato di cose “la mancata presa di responsabilità da parte dei partner mediterranei” e “l‟assenza di equilibrio istituzionale” tra l’UE e i suoi partner “è fonte di preoccupazioni condivise”. Dopo queste blande costatazioni, la Commissione si dice cosciente della mancanza di visibilità del Processo di Barcellona e sottolinea l’importanza di un accresciuto impegno e di nuovi catalizzatori per “trasformare gli obiettivi di Barcellona in concrete realtà”. Insistendo sulla validità del quadro del Processo di Barcellona, “spina dorsale delle relazioni euro-mediterranee”, la Commissione prospetta che il nuovo progetto sarà “un partenariato multilaterale” imperniato su dei progetti regionali e transnazionali, e comprendente tutti i Paesi dell’Unione Europea e tutti i Paesi rivieraschi. Questo nuovo progetto completerà le relazioni bilaterali e imprimerà un nuovo slancio al Processo di Barcellona. Il Summit del 13 luglio sarà un momento molto importante per “una dichiarazione politica” e per la presentazione di una breve lista di progetti-faro. Sugli aspetti istituzionali la Commissione apporta delle precisazioni opportune ad un progetto, fino a questo momento, rimasto sfumato.
a) Co-presidenza
Al riguardo sembra che la questione raccolga il sostegno generale perché essa “aumenterà e migliorerà l’equilibrio e la partecipazione di ognuno alla cooperazione”. Essa verrà esercitata sull’insieme del partenariato. “Per la parte europea la presidenza dovrà essere compatibile con le disposizioni che regolano la rappresentanza esterna dell’UE”; il che significa che la Francia potrà assumere la presidenza per la parte Europea fino alla fine del 2008. Dopo questa data, fin dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona[55], la presidenza per la parte europea verrà esercitata dal Presidente del Consiglio europeo e dal Presidente della Commissione (a livello dei capi di Stato e di Governo) e dall’Alto Rappresentante (a livello dei ministri degli Esteri). Per la parte dei Paesi Mediterranei, la presidenza si farà per consensus, con una durata del mandato fissata in due anni.
b) Comitato permanente congiunto (CPC)
Per migliorare la gestione generale del progetto la Commissione propone un Comitato permanente congiunto, con sede a Bruxelles, e costituito dai rappresentanti permanenti delle differenti figure coinvolte, presenti a Bruxelles. Questo comitato dovrà preparare le riunioni degli alti funzionari e del Comitato euro-mediterraneo, assistere i co-presidenti nella preparazione dei summit e servire da meccanismo di reazione rapida.
c) Segretariato
La Commissione ritiene che il ruolo del Segretariato consisterà essenzialmente nel formulare delle proposte di iniziative congiunte e nell’assicurare l’attuazione delle decisioni prese. Il segretariato “potrebbe avere una personalità giuridica distinta e uno statuto autonomo. Sarà composto da funzionari distaccati fra i partecipanti al processo”. Sarà presieduto da un Segretario generale e da un Segretario generale aggiunto. Il Segretario generale designerà i membri del segretariato secondo i criteri di competenza e di equilibrio geografico. La sede del segretariato è ancora da definire.
Metodo di Identificazione e Selezione dei progetti
I progetti scelti dovranno favorire la coesione e l’integrazione regionale e sviluppare le interconnessioni tra le infrastrutture. Dovranno, secondo la Commissione, costituire dei “progetti visibili e pertinenti per i cittadini della regione”. Per la selezione gli elementi da tenere in considerazione riguarderanno: il carattere regionale, sub-regionale e transnazionale; la misura, la pertinenza e l’interesse; lo sviluppo equilibrato e duraturo, così come l’integrazione, la coesione e le interconnessioni regionali; nonché la fattibilità finanziaria. I progetti che la Commissione ritiene essere prioritari riguardano le autostrade del mare, il disinquinamento del mar Mediterraneo, la protezione civile e il piano solare mediterraneo.
Il finanziamento della struttura amministrativo-burocratica
La Commissione anticipa che “le priorità fissate nel Programma indicativo nazionale e alcune potenziali contribuzioni comunitarie ai nuovi progetti regionali non intaccheranno le dotazioni budgetarie bilaterali provenienti dallo strumento europeo di vicinato e partenariato o dallo strumento di pre-adesione”. Bisogna trovare dei mezzi finanziari supplementari per finanziare i nuovi progetti regionali. L’UE prenderà in considerazione solo “alcuni progetti rispondenti agli obiettivi dei programmi regionali”. Conseguentemente il finanziamento supplementare dovrà essere dato dal settore privato, dai contributi dei partner mediterranei, dalle Istituzioni internazionali, dalla BEI, dalla FEMIP (soprattutto) e dagli investimenti nel quadro della politica di vicinato.
Valutazione della Comunicazione della Commissione
Benché un comunicato dell’Eliseo abbia affermato che le autorità francesi approvano la diagnosi della Commissione, non vi è dubbio che la Comunicazione susciti dei malumori. Insistendo pesantemente sul quadro di Barcellona, la Commissione svuota l’iniziativa francese della sua “forza simbolica” e la riduce ad una semplice “riattualizzazione del Processo di Barcellona”. Allo stesso modo, finché l’origine dell’Unione Mediterranea si supponeva riflettere un nuovo attivismo francese nel Mediterraneo, la Commissione ha ritenuto opportuno ridurre l’ambizione francese ad un semplice complemento. Così il nuovo progetto coinvolgerà “tutti gli Stati” dell’UE e gli Stati rivieraschi”. Per quel che concerne i finanziamenti, l’Unione europea non investirà nei nuovi progetti altre risorse, per non danneggiare gli impegni già presi nei programmi indicativi regionali. Certo, alcuni progetti “rispondenti ai programmi regionali dell’UE” potranno essere presi in considerazione. Ma c’è da chiedersi chi assicurerà poi effettivamente il proseguimento di un progetto che beneficia di diverse fonti di finanziamento[56]. Forse bisognerebbe attingere ad una sola fonte. Ma le varie proposte in merito, più che completarsi, si scontrano tra loro: c’è chi ipotizza una Banca di sviluppo per il Mediterraneo, chi una BEI mediterranea, chi, semplicemente, delle agenzie di consiglio, di garanzia e di apporto di fondi propri[57]. Infine, se bisogna ricorrere al settore privato, ai fondi dei Paesi del Golfo, ai contributi degli Stati mediterranei, alla BEI e alle istituzioni internazionali per assicurare i finanziamenti dei progetti scelti, ci si può domandare quale sarà il ruolo dell’Unione europea, chi dovrà assumere l’audit finanziario e se si potrà impedire agli americani, ai cinesi o ai russi di contribuire ai finanziamenti. D’altra parte i progetti considerati prioritari dalla Commissione, non recuperano tutti quelli identificati dai consiglieri di Sarkozy[58]. Ma bisogna dire, a discarico della Commissione, che non si trattava di un elenco esaustivo. Inoltre, data la preoccupazione della Commissione di impedire la divisione dell’UE, essa ha intaccato e ridimensionato il progetto iniziale. Alla fine, ciò che essa propone assomiglia molto poco all’idea iniziale di Sakozy sull’Unione Mediterranea. Sicché l’Unione europea, dietro spinta della Germania, è riuscita magistralmente a dimensionarne l’ambito d’applicazione. Due giorni dopo la pubblicazione della Comunicazione, Juan Manuel Barroso, Presidente in carica della Commissione, afferma che “il Mediterraneo è senza dubbio la regione più critica per l’avvenire dell’Europa […]. La Francia deve dunque giocare il suo ruolo europeo, senza arroganza, senza egemonia, senza ritenere prioritario il suo interesse nazionale”[59]. Per quel concerne l’architettura istituzionale, si comprende agevolmente che la co-presidenza dalla parte mediterranea sia scelta tramite consensus, poiché una co-presidenza a rotazione sarebbe impossibile dato il contesto attuale dei Paesi in stato di conflitto. Riguardo alla sede del Segretariato, il Parlamento europeo, con la sua Risoluzione del 5 giugno 2008[60], indica che esso “dovrebbe essere integrato nei servizi della Commissione e potrebbe comprendere dei funzionari distaccati fra tutti i partecipanti al processo”. Al sud questa proposta non viene condivisa e certi Paesi del Maghreb hanno già proposto la loro candidatura per accoglierne la sede. Ma qualora questa opzione venga accolta, forse Paesi come la Tunisia, il Marocco o l’Algeria difficilmente accetterebbero che dei funzionari israeliani vadano a lavorare in un Segretariato posto in uno di questi Paesi maghrebini. Un altro problema che si pone è: se bisogna integrare il progetto d’Unione per il Mediterraneo nel quadro di Barcellona, come trattare i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, che, pur invitati al Summit di Parigi, non sono membri del Processo di Barcellona (Croazia, Montenegro, Bosnia e Libia)? La Commissione non risolve la questione che, invece, in sede di Parlamento europeo viene affrontata, invitando i Paesi che non ne fanno parte a fare loro l’acquis di Barcellona, in modo da perseguire gli stessi obiettivi e assicurando che, come ramo dell’autorità budgetaria dell’Unione, è disposto “a collaborare alla messa in piedi di un quadro istituzionale del Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”.
È necessario però, come premessa, verificare con i Paesi interessati la loro disponibilità in tal senso. Si vede bene che, a dispetto delle precisazioni fornite dalla Comunicazione, molte questioni restano in sospeso, in particolare la presenza nella nuova struttura di membri che non sono parte pregnante nel Processo di Barcellona, cosa che non mancherà di creare seri problemi istituzionali e finanziari[61]. Ma è opinione comune che l’accumulo del deficit nel Mediterraneo non consente altri ritardi, anche se la strada da percorrere non sarà facile. Molte reazioni provenienti da fonti diverse contribuiscono ad incupire il clima. Da parte europea, certi Paesi ritengono che il rinnovato interesse verso lo spazio mediterraneo rischia di sviare l’attenzione dai problemi dell’est europeo. Infatti, Paesi come la Polonia e la Svezia propongono un progetto mirante al rafforzamento dei legami con i Paesi dell’Est e del Caucaso (Ucraina, Moldavia, Georgia, Armenia e Azerbaijan). Da parte araba, la reazione libica stupisce per la sua durezza. All’apertura di un mini-summit dei Paesi maghrebini con la Siria[62], il presidente libico, Mu’ammar Gheddafi, si lancia in un’aspra diatriba affermando che come “membri della Lega Araba e anche dell’Unione Africana” tali Paesi non correranno, in nessun caso, il rischio di perdere il loro prestigio e che non tollereranno di essere trattati come degli affamati […] a cui gettare un osso[63]. Ciò che probabilmente esaspera di più il presidente libico, e che lo porta a così taglienti affermazioni, è il recupero del progetto francese da parte dell’UE, in nome della solidarietà e della coesione. Infatti, inizialmente la Libia non ha guardato negativamente l’iniziativa francese, dal momento che questa le offriva un “nuovo quadro”, in un perimetro limitato, cosa che poteva rappresentare per essa un duplice vantaggio: la Libia non si sarebbe sentita costretta ad accettare l’acquis di Barcellona e avrebbe potuto sperare di giocare un ruolo importante in un progetto limitato ai rivieraschi. Il nuovo quadro invece le impone, come suggerito dal Parlamento europeo, d’accettare l’acquis di Barcellona e sfuma il suo possibile ruolo in uno spazio allargato. La Tunisia rimane favorevole al progetto e spera di accogliere la sede del nuovo segretariato. Questa accoglienza è tanto più entusiastica dal momento che la partecipazione non è legata ad alcuna condizione di ordine politico. Anche il Marocco dice di appoggiare il nuovo progetto, ma fondamentalmente ciò che importa ai Paesi maghrebini è uno Statuto avanzato con l’Unione europea in quanto tale (obiettivo raggiunto nell’ottobre del 2008). L’Egitto, tiepido all’inizio, appare più entusiasta dopo che Sarkozy fa intravedere la possibilità, per il Presidente Mubarak, di occupare il posto di co-presidente per la parte dei Paesi del sud. Quanto alla Siria, essa vede il nuovo progetto solo come un mezzo per accrescere la sua rispettabilità internazionale, in un momento in cui gli Stati Uniti la elencano tra il gruppo dei Paesi costituenti “l’Asse del male”. A dire il vero, malgrado le posizioni ufficiali mostrate, c’è un disagio fra tutti i Paesi arabi che si esplica attraverso lo stupore davanti a tante iniziative europee e soprattutto attraverso il sentimento che questo nuovo progetto, come altri in precedenza, li forzi a normalizzare le loro relazioni con Israele, prima della riconciliazione. Preoccupati di gestire il sentimento popolare, soprattutto dopo il fallimento del sogno di Annapolis[64] e dal momento che la colonizzazione israeliana prosegue, alcuni dirigenti preannunciano che essi rifiuteranno ciò che il giornale Le Nouvel Observateur definisce “coreografia del Summit che darà l’impressione di una normalizzazione delle loro relazioni con Israele”[65]. Il ministro degli esteri algerino afferma che “non è l’UPM che deve favorire la normalizzazione tra Israele e i Paesi arabi […]. Il processo di normalizzazione deve discendere da un altro tipo di dibattito”. Detta da un ministro algerino l’affermazione può sembrare strana dal momento che l’Algeria partecipa dal 1995 al Processo di Barcellona così come Israele. In realtà ciò che colpisce fortemente i Paesi arabi è vedere i media europei, soprattutto francesi, festeggiare il sessantesimo anniversario della creazione dello Stato d’Israele[66], dato che questa creazione ha significato, dal punto di vista arabo, la dé-existence palestinese e la catastrofe di tutto un popolo. Inoltre, il progetto di un rilancio dei legami tra l’UE ed Israele, al centro delle discussioni della Commissione mista UE-Israele[67], non può cadere in un momento peggiore.
Gli arabi, così come molte personalità europee, considerano il progetto inopportuno quanto a tempismo ed erroneo quanto al principio. Essi, dunque, sono più freddi nei confronti dell’Unione per il Mediterraneo proprio perché percepiscono la Francia come il principale assertore delle relazioni rinforzate tra l’Unione europea ed Israele. In particolare, una frase della Risoluzione del Parlamento europeo sembra avere risvegliato i loro sospetti: “il Paese che assicura la presidenza dovrà invitare ai summit e alle riunioni ministeriali tutti i Paesi partecipanti al Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”. È evidente in questa affermazione la partecipazione anche d’Israele. Tutto ciò sembra confermare agli occhi di alcuni Paesi arabi che l’integrazione d’Israele in ogni progetto mediterraneo prevale su ogni altra considerazione. Il fatto che i canali ufficiali e i media europei non abbiano cessato di ricordare che Israele “è la sola democrazia nella regione”, mentre definiscono dei dirigenti arabi, anche qualificati, come “bizzarri”, “strampalati” e “corrotti”, non fa che aggravare un profondo malinteso. I pareri dei giornalisti e degli intellettuali arabi rimangono divisi rispetto all’insieme dei progetti. Senza ottimismo esagerato, senza franca adesione, ma anche senza rigetto totale, secondo certi intellettuali arabi qualunque progetto euro-mediterraneo deve fondarsi sull’appropriazione comune, reale e non virtuale e sul co-sviluppo. Ciò presuppone la fine delle politiche obsolete che guardano ai Paesi del Sud come a degli “ausiliari di polizia che hanno l’incarico della protezione delle risorse energetiche, del mantenimento […] di un forzoso mercato per i prodotti finiti europei e del controllo di popolazioni potenzialmente candidate all’emigrazione[68].
Altrettanto fondamentale è la preoccupazione di numerosi intellettuali arabi quanto al possibile affievolimento dei principi di buon governo e di democrazia nel nuovo progetto, in nome della realpolitik o sotto l’effetto dell’urgenza. Del resto, nella sua visita in Tunisia, Sarkozy afferma che nessuno può ergersi a censore o dare delle lezioni di democrazia. Cosa che, naturalmente, nessun intellettuale arabo chiederebbe all’UE. Questi sperano, anzi, che nei progetti e nelle strutture del Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo le società civili, che hanno un reale ancoraggio nei loro Paesi d’origine, siano realmente coinvolte. Un progetto che rimane relegato al mondo delle imprese e alle conferenze ministeriali, rischia di perdere in credibilità agli occhi dei cittadini e finirà, come i precedenti per sprofondare nell’indifferenza[69]. La Dichiarazione di Parigi, che segna un passaggio fondante per l’Unione per il Mediterraneo, è una copia della Dichiarazione di Barcellona adottata nel 1995. Essa è stata firmata dai quarantatré rappresentanti degli Stati parte: oltre ai ventisette Paesi dell’UE e ai dieci Paesi del Maghreb e del Machrek che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo,(quali Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e l’Autorità Nazionale Palestinese), l’Unione per il Mediterraneo accoglie altri nuovi aderenti: il piccolo Stato europeo di Monaco, la Mauritania (in precedenza solo osservatrice nel processo di Barcellona) e soprattutto i Paesi mediterranei dei Balcani (la Croazia, la Bosnia Erzegovina, il Montenegro, l’Albania)[70] [71]. Il formato geopolitico è indubbiamente innovativo rispetto a quello che gli Stati membri dell’UE e i suoi partner mediterranei hanno costantemente adottato sin dal 1972. In effetti, le denominazioni di Euro-Med e Mediterraneo hanno sempre riguardato formati meno comprensivi, vale a dire limitati a quella parte dell’Europa che è organizzata come Unione Europea e a quella parte del bacino mediterraneo che è rappresentata dagli Stati del Nord Africa e del Vicino Oriente. A questo (che è stato il formato del PEM) l’UPM ha aggiunto una serie di Stati dell’Europa meridionale che sono mediterranei, che non fanno parte dell’UE, ma che potrebbero un giorno entrare a farne parte (come il Principato di Monaco e, soprattutto, gli Stati che si affacciano sul mare Adriatico e che costituiscono l’area dei Balcani occidentali). Di questo nuovo formato euro-mediterraneo sembra non dover fare più parte la Libia, che nel PEM ha partecipato come osservatore sin dalla fine degli anni 1990 e che, invece, ha rifiutato di entrare nell’UPM. Fa ora parte dell’UPM, per contro, la Mauritania che si trova ad avere due appigli, quello mediterraneo e quello sub-sahariano. In particolare, l’allargamento ai Balcani occidentali mette in discussione la vecchia rappresentazione geopolitica dei rapporti euro-mediterranei[72]. Da un lato, annulla la centralità del Nord Africa e del Vicino Oriente. Dall’altro, mette insieme due aree con caratteristiche molto diverse, a partire dalle dinamiche conflittuali che le attraversano. È un’unificazione che avviene nel nome di una un’ottica pan-mediterranea, nonché di una solidarietà pan-mediterranea. La Dichiarazione di Parigi ha ufficialmente lanciato il “Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo” e ne ha definite finalità e struttura istituzionale[73]. In essa viene stabilita anzitutto la filosofia generale di questo “nuovo partenariato multilaterale e rinforzato”. Per i firmatari si tratta soprattutto di una “ambizione strategica per il Mediterraneo”, che si traduce in “un impegno risoluto in favore della pace, della democrazia, della stabilità regionale e della sicurezza, attraverso la cooperazione e l’integrazione regionale”. In relazione a ciò sono richiamati:
- le misure pratiche miranti a prevenire la proliferazione nucleare e l’accumulo eccessivo di armi convenzionali;
- le misure miranti al rafforzamento della “democrazia e del pluralismo” e al “pieno rispetto dei diritti dell’uomo ivi compresi i diritti economici, sociali e culturali, civili e politici”[74]. A tal proposito viene preso in considerazione anche il rafforzamento del ruolo delle donne nella società, il rispetto delle minoranze e il dialogo culturale;
- il sostegno al processo di pace israelo-palestinese e ai negoziati tra la Siria ed Israele;
- la condanna del terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni. I firmatari si dicono “determinati a mettere integralmente in atto il Codice di condotta in materia di lotta contro il terrorismo[75]” e ad “agire sui fattori che favoriscono la propagazione del terrorismo” ricordando che essi “rifiutano totalmente di associare una religione o una cultura, qualunque essa sia, al terrorismo”[76].
Inoltre i Paesi firmatari si accordano sui principi generali che devono guidare l’azione collettiva, ovvero la migliore suddivisione delle responsabilità, la pertinenza dei progetti e una maggiore visibilità; il partenariato inglobante, fondato sul consensus; il coinvolgimento della società civile, delle autorità locali e regionali, nonché del settore privato. Per quel che concerne gli obiettivi principali, la Dichiarazione di Parigi afferma che il nuovo partenariato “si appoggerà sull’acquis di Barcellona”, sottolineando che “è arrivato il momento di infondere uno slancio nuovo e duraturo al Processo di Barcellona”, grazie a “sforzi accresciuti e a nuovi catalizzatori”, in particolare “la rivalutazione del livello politico delle relazioni dell’UE con i suoi partner mediterranei” (co-presidenza, vertici biennali tenuti alternativamente nei Paesi dell’UE e nei Paesi MED, il rafforzamento del ruolo dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea, riconoscimento del contributo della fondazione Anna Lindt). Un altro obiettivo è di fare dell’UPM un’unione di progetti. Per conseguenza saranno scelti primariamente i progetti suscettibili di rendere le relazioni UE-MED “più concrete e più visibili” (disinquinamento, autostrade marittime e terrestri, piano solare, università euro-mediterranee, sviluppo delle imprese)[77].
Analisi e riflessioni sulla Dichiarazione di Parigi
La Dichiarazione di Parigi riprende i principi enunciati e le proposte fatte nella Comunicazione della Commissione del maggio 2008[78]. Si fatica a reperirvi un qualunque apporto o correttivo proveniente dalla sponda sud del Mediterraneo. Forse se ne potrebbe rinvenire una traccia nel richiamo ai “diritti economici, sociali, culturali, civili e politici”, nella dissociazione tra “religione e terrorismo”, nella “facilitazione dell’immigrazione regolare”. Il Summit di Parigi non fa che elencare alcuni progetti, ma, in definitiva, sono i ministri degli Esteri ad essere incaricati di operare una prima selezione in occasione della riunione prevista prima della fine della presidenza francese al Consiglio europeo[79]. Nell’insieme, la lettura della Dichiarazione non apporta niente di fondamentalmente nuovo, a parte la menzione dei principi generali d’uguaglianza, di partecipazione, di appropriazione comune e l’insistenza su dei progetti concreti e visibili. Si ha la sensazione che la diplomazia francese si sia concentrata sulla realizzazione di un vertice col quale accontentare tutti, smussando gli angoli. Infatti la Dichiarazione condanna il terrorismo, al quale dedica tutto un paragrafo, ma non l’occupazione dei territori palestinesi. Certo i firmatari affermano di essere risoluti “a mettere fine alle occupazioni”, senza dire esplicitamente quali. La Dichiarazione dice di “sostenere” il processo di pace israelo-palestinese, ma omette di menzionare il Piano arabo di pace adottato nel Summit arabo di Beirut nel 2002[80] e reiterato in occasione del Summit di Riyad del 2007[81]. Per non scontentare la Turchia si ribadisce (come già enunciato nella Dichiarazione di Roma[82]) la dissociazione dell’appartenenza all’UPM dalla richiesta di adesione o dal processo di pre-adesione. D’altra parte la Dichiarazione dedica più paragrafi al Processo di Barcellona e alla necessità di appoggiarsi all’acquis di Barcellona. Si tratta soprattutto di non far apparire l’Unione per il Mediterraneo come un progetto “concorrente” o “nuovo”. Viceversa, nell’interpretazione dei consiglieri di Nicolas Sarkozy, in particolare di Henry Guaino, l’UPM pratica “una filosofia nuova che consiste nel sostituire una logica di progetti a una logica burocratica dove si dispone di un budget e ci si domanda come spenderlo”[83]. Sicché si può affermare che l’Unione per il Mediterraneo si fonda sull’acquis di Barcellona, ma è una filosofia nuova[84]. Per quel che concerne i finanziamenti, la Commissione ha fatto valere il suo punto di vista, perché, così come esplicitato nella Comunicazione, non è pronta a fornire dei contributi supplementari ai nuovi progetti, e sicuramente non “a detrimento delle dotazioni budgetarie bilaterali esistenti”. A cosa serve ricordare che il Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo è concepito come un “partenariato multilaterale mirante ad accrescere il potenziale di integrazione e di coesione regionale”, se nello stesso tempo si insiste sul mantenimento delle “dotazioni bilaterali esistenti”? Per quel che concerne la partecipazione, solo la Libia ha fatto defezione, dato che il Presidente Gheddafi ha affermato che l’UPM divide il mondo arabo e l’Africa. In realtà, il presidente libico non ha apprezzato l’allargamento del perimetro dell’UPM e la sua comunitarizzazione, poiché ciò significa, ai suoi occhi, che la Libia si trova costretta ad accettare l’acquis del Processo di Barcellona, senza esserne parte pregnante. A ciò bisogna aggiungere, naturalmente, l’avversione libica per tutto ciò che può sembrare come una normalizzazione delle relazioni con Israele attraverso la partecipazione ad un progetto comune.
Riguardo alla Siria si può dire che essa è uscita dall’ostracismo cui era stata condannata, ma la esagerata attenzione ad essa riservata, di certo, non è piaciuta né all’Egitto, né alla Giordania. Ma mentre il Presidente Mubarak ha tenuto ad essere presente al Summit di Parigi, essendo stato nominato co-presidente dell’UPM, il re di Giordania ha preferito delegare il suo primo ministro[85]. Quanto all’assenza del re del Marocco, essa è difficilmente spiegabile, dal momento che il Marocco è stato piuttosto favorevole all’Unione per il Mediterraneo[86]. Certamente la Turchia ha tenuto ad essere presente, ma solo dopo aver ricevuto ripetute assicurazioni, da parte dei diplomatici francesi ad Ankara, che il processo di pre-adesione è totalmente dissociato dal progetto Unione per il Mediterraneo. Israele, dal canto suo, raccoglie, dalla partecipazione al Summit, un progresso diplomatico, “senza tuttavia fare un gesto particolare nel quadro del processo di pace”[87]. Dalla parte europea, la Commissione è soddisfatta per aver “comunitarizzato” un’iniziativa francese. In questa “europeizzazione” del progetto, il ruolo della Germania è stato determinante[88]. La placida perseveranza della Merkel alla fine ha avuto ragione sulla ostinazione del presidente francese. Gli altri Paesi europei non rivieraschi sono stati meno reattivi nei confronti dell’UPM. Infatti, per i Paesi scandinavi, come per i Paesi PECO (Europa centrale ed orientale) le relazioni con i più vicini Stati, come la Russia, l’Ucraina e la Bielorussia, sono più importanti di quelle con i Paesi mediterranei[89].
In definitiva il Summit di Parigi ha superato come successo diplomatico il merito inizialmente attribuito al presidente francese. Ma è a partire da adesso che il vero lavoro comincia e il cammino non sarà facile; poiché c’è un reale rischio di confusione tra una “grande visione per il Mediterraneo” e i “grossi progetti mediterranei”, anche se nessuno mette in dubbio l’importanza delle autostrade del mare, dello sfruttamento delle energie rinnovabili o della salvaguardia dell’ambiente. Ora a troppo insistere sull’unione di progetti si può correre il rischio di dissociare lo spazio economico dallo spazio umano. Niente illustra meglio questo rischio della questione del controllo dell’immigrazione. Infatti, criminalizzando le forme irregolari di circolazione o la clandestinità e continuando a sollecitare i Paesi mediterranei per controllare tali flussi, il progetto di Unione per il Mediterraneo elude la questione umana. Peggio ancora, la trasforma in problema, sfuggendo così “al bisogno primario che è quello di gestire il Mediterraneo come uno spazio umano comune”[90]. In conseguenza il primo vero cantiere dell’UPM dovrebbe essere “la gestione della mobilità umana nel Mediterraneo”, come fa presente una lettera aperta[91] scritta da un gruppo di eminenti personalità. “Come parlare di Unione a delle popolazioni alle quali si impone di rimanere nei propri Paesi? Queste popolazioni hanno bisogno delle loro mobilità senza le quali l’integrazione regionale resterebbe una finzione”. Il progetto di rapporto della Commissione degli Affari esteri del Parlamento europeo, del 10 settembre 2008, torna su questa questione spinosa della mobilità, sottolineando la preoccupazione del Parlamento europeo “di fronte alla tendenza dominante fra gli Stati membri, che privilegiano una visione delle politiche mediterranee improntata alla sicurezza, in particolare nella gestione del fenomeno migratorio”[92].  Il secondo cantiere deve essere la risoluzione dei conflitti. L’integrazione regionale, tra vicini, esige che la regione si liberi di tutte le cause che costituiscono ostacolo al lavoro collettivo e alla circolazione dei beni, dei servizi, dei capitali e delle persone. L‟UE non può più accontentarsi delle sole promesse o di inviare delle forze di interposizione (come in Libano) o di polizia. Essa deve prendere le questioni di petto e convocare una conferenza di pace sul Vicino-Oriente, che appare ancora più urgente dopo che il sogno di Annapolis è svanito. I negoziati indiretti tra Israele e la Siria, la tregua tra Hamas e Israele e la tregua sul fronte libanese offrono al momento degli spiragli di opportunità. Bisogna scegliere il momento per porre fine ad un conflitto che non solo inquina la regione, ma interferisce nel rapporto tra l’Europa e gli arabi. Ne va della sicurezza della regione e di quella del Mediterraneo e dell’Europa[93]. La già citata lettera aperta afferma senza esitazione: “ciò che minaccia l’Europa, non sono i poveri, ma gli umiliati, gli esclusi dal diritto e dallo sviluppo”. L’accerchiamento di Gaza, il proseguimento del colonialismo in Cisgiordania e nelle Alture del Golan, e la costruzione di un muro di settecento chilometri che sventra la Palestina, non soltanto appannano l’immagine d’Israele nel mondo, ma gettano un velo di dubbio sulla coerenza, la credibilità e l’efficacia della politica estera comune della stessa Unione europea. La soluzione del conflitto arabo-israeliano non eliminerà per miracolo il fondamentalismo, il radicalismo e il terrorismo. Ma contribuirà sicuramente a ridurre il fascino dei movimenti radicali e la loro capacità di reclutamento, e a pacificare le relazioni tra arabi ed europei. Indirettamente, la soluzione di questo conflitto maggiore produrrebbe una bella dimostrazione che potrebbe innestare un circolo virtuoso e contribuire alla soluzione di altri problemi meno spinosi, come quello di Cipro e del Sahara Occidentale[94].
Per quel che concerne il cantiere riguardante l’educazione si può dire che esso è un ambito che riguarda soprattutto la responsabilità degli stessi Paesi del sud, dove a dire il vero dei progressi sono già registrati sia nel Maghreb che nel Machrek, tanto sul piano dei tassi di scolarizzazione, che su quello di alfabetizzazione degli adulti.
Ma la situazione tra i Paesi è diversa e occorrono degli sforzi supplementari[95] per ridurre il tasso di analfabetismo (soprattutto in Marocco e in Egitto), accrescere l’istruzione femminile, migliorare il livello dell’insegnamento e della ricerca e offrire una formazione che risponda ai bisogni del mercato. È a questo punto che il contributo dell’UPM si rende necessario. Non si tratta soltanto di creare un’Università euro-mediterranea, ma di moltiplicare i gemellaggi di scuole, di università, di laboratori, di centri specializzati di ricerca. È necessario facilitare la mobilità degli studenti, dei ricercatori e dei professori, la concessione di borse di studio, la promozione di programmi di scambi e la creazione di biblioteche specializzate. Queste proposte non vogliono costituire delle alternative ai grandi cantieri del Mediterraneo, ma piuttosto il “biocarburante” destinato a umanizzare i rapporti Nord-Sud per rispondere alle esigenze del vivere insieme. In questo modo l’UPM può aprire un nuovo capitolo nelle relazioni euro-mediterranee e anche euro-arabe.
Ma al di là del finanziamento dei progetti[96], è la volontà politica che bisogna inizialmente mobilitare per superare i rancori ereditati dal passato e porre fine alle lamentele del presente per costruire un avvenire comune.
Le giovani generazioni del sud del Mediterraneo, specialmente quelle arabe, non hanno conosciuto né il colonialismo, né le lotte di liberazione nazionale (a parte il caso dei palestinesi): esse reclamano apertura e comprensione, piuttosto che rimpianti e rivincite. Così, invece di sbarrare le frontiere ed erigere dei muri sempre più alti, è giunto il tempo di moltiplicare i passaggi e facilitare la mobilità. Questo è ciò che l’Unione per il Mediterraneo deve realizzare: “poiché la storia lo esige, la geografia lo impone, l’avvenire lo reclama”[97].
3-4 novembre 2008: Conferenza ministeriale di Marsiglia[98]
Fino all’ultimo minuto è stato incerto se la prima Conferenza dei quarantatré ministri degli Affari esteri parte dell’UPM si sarebbe tenuta. Infatti Israele si è opposta alla partecipazione della Lega degli Stati arabi a tutte le riunioni dell’Unione per il Mediterraneo ed inoltre la scelta del seggio per il Segretariato ha avvelenato l’atmosfera. Ma dato che alcuni Stati hanno avuto timore che la Conferenza non si tenesse per un paventato eventuale fallimento, si è finito per smussare gli angoli così da trovare un consenso su queste due questioni.
Approfondimento della Dichiarazione di Marsiglia[99]
Lunga venti pagine, la Dichiarazione di Marsiglia si ispira molto alla Dichiarazione di Barcellona, ma essa pone l’accento su una migliore condivisione delle responsabilità, su una nuova architettura istituzionale, che riflette il principio di uguaglianza e di co-ownership, e sui progetti prioritari. Ma i ministri cominciano col proporre un’ennesima variazione nella denominazione; infatti dalla Conferenza di Marsiglia il progetto non si chiamerà più Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo, ma solamente Unione per il Mediterraneo. Per risolvere le questioni che inasprivano gli animi, da un lato viene scelta Barcellona come sede del Segretariato generale e dall’altro i ministri decidono che “la Lega degli Stati arabi parteciperà a tutte le riunioni, a tutti i livelli” dell’UPM.
Poi, la Dichiarazione approccia la questione israelo-palestinese. A questo riguardo i ministri “riaffermano la loro volontà di pervenire ad una soluzione giusta, globale e durevole del conflitto arabo-israeliano, conformemente ai termini di riferimento e ai principi enunciati in occasione della Conferenza di Madrid[100], ivi compreso lo scambio della terra contro la pace, e sulla base delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”. I ministri sottolineano ugualmente l’importanza dell’iniziativa di pace araba e riaffermano il loro sostegno agli sforzi miranti a favorire il progresso in tutti gli ambiti del processo di pace nel Vicino-Oriente. Inoltre essi “si felicitano del ruolo positivo giocato dall’UE nel processo di pace mediorientale” affermando il loro sostegno “alle trattative indirette tra Israele e la Siria, sotto gli auspici della Turchia” e compiacendosi “della stabilizzazione delle relazioni diplomatiche tra la Siria e il Libano”. Accostandosi alla delicata questione delle armi di distruzione di massa, la Dichiarazione sottolinea che le parti si sforzeranno di realizzare nel Vicino-Oriente una zona dove armi di distruzione di massa, armi nucleari, chimiche e biologiche e i loro vettori, che sono mutualmente ed effettivamente verificabili, siano assenti.
Schema istituzionale
Dopo queste considerazioni generali sulla pace in Medio Oriente e sul sostegno al processo di pace, la Dichiarazione di Marsiglia presenta la nuova architettura istituzionale dell’Unione per il Mediterraneo. L‟UPM è una classica organizzazione intergovernativa[101], guidata da una co-presidenza. Le decisioni sono prese all’unanimità da un vertice biennale di capi di Stato e di Governo[102] e, annualmente, da una conferenza dei ministri degli Esteri. Il lavoro dei capi di Stato e di Governo e dei ministri è preparato da una conferenza permanente di Alti Funzionari, assistiti da un Comitato permanente di rappresentanti nazionali che ha sede a Bruxelles. L’esecuzione delle politiche e dei progetti approvati dall’UPM compete a un Segretariato, destinato a godere di autorevolezza e autonomia.
Si tratta, perciò, di un organismo molto diverso dal PEM e dalle altre organizzazioni che lo hanno preceduto. Tutte queste organizzazioni, infatti, anche quando hanno integrato dimensioni intergovernative più o meno rilevanti, altro non sono state che l’attuazione di politiche dell’UE e non dei Governi.
Co-presidenza
Prevede un co-presidente del Sud del Mediterraneo, “scelto tramite consensus per un periodo non rinnovabile di due anni” e un co-presidente del Nord rappresentante l’UE, “conformemente alle disposizioni del Trattato che sono in vigore”. I due co-presidenti, Nicolas Sarkozy (Francia) e Hosni Mubarak (Egitto), convocheranno e “dirigeranno le riunioni dell’UPM”.
La co-presidenza dura due anni, ma al momento non è ancora molto chiaro se il co-presidente UE sarà quello che di sei mesi in sei mesi guida l’Unione europea oppure un presidente ad hoc in carica per due anni come quello non-UE. Il Presidente Sarkozy ha chiesto e ottenuto una deroga che gli permette di essere il co-presidente dell’UPM oltre il trascorso semestre di presidenza francese dell’UE. Questa decisione è stata però contestata dalla Repubblica Ceca (che avrà la presidenza UE nel primo semestre 2009[103]). Si è allora raggiunto uno strano compromesso in base al quale il co-presidente europeo dell’UPM sarà Sarkozy per due anni, affiancato però da quello dell’UE, che cambia ogni sei mesi[104]. In generale, il nesso con la presidenza UE rafforza la co-presidenza UE nell’UPM. È però anche vero che il cambiamento semestrale del co-presidente comunitario, mentre l’altro resta lo stesso, rischia di minare la coesione della co-presidenza e non favorisce il suo difficile lavoro di mediazione e negoziazione al vertice dell’UPM. La soluzione adottata a Marsiglia, una presidenza nazionale per due anni accompagnata da quella semestrale dell’UE, non soddisfa i requisiti di stabilità e coesione e, certamente, non contribuisce a rafforzare il membro europeo della co-presidenza UPM.
Alti Funzionari e Comitato permanente congiunto
Gli Alti Funzionari[105] sono incaricati di trattare tutti gli aspetti dell’iniziativa. Essi devono vagliare e valutare i progressi compiuti in tutti gli ambiti dell’Unione per il Mediterraneo, ivi comprese le questioni che erano state precedentemente trattate dal Comitato Euro-Mediterraneo. Gli Alti funzionari si dovranno riunire regolarmente allo scopo di preparare le riunioni ministeriali a cui sottoporre le proposte di progetto, nonché la programmazione di lavoro annuale. Inoltre avranno l’incarico “di approvare le linee direttrici e i criteri di valutazione che permettano di giudicare il valore dei progetti proposti”. Nelle loro proposte gli alti funzionari rispetteranno egualmente il principio secondo il quale ogni progetto deve: contribuire alla stabilità e alla pace nella regione euro-mediterranea; non attentare agli interessi legittimi di un membro dell’Unione per il Mediterraneo; tenere conto del principio di geometria variabile; rispettare la decisione dei Paesi membri interessati da un progetto in corso quando questo sia fonte di sviluppo. Il Comitato permanente congiunto, che rimpiazza il Comitato Euromed, tratterà soltanto le questioni di minore rilevanza che non sono affrontate dagli Alti Funzionari; ad esso però viene attribuito anche il compito di organizzare le riunioni ministeriali e i vertici biennali svolgendo in tal modo un ruolo rilevante nell’intero processo.
Segretariato congiunto
Il posto centrale in seno all’architettura istituzionale è occupato dal segretariato generale[106]. Esso dà slancio al processo per quel che riguarda l’identificazione, il seguito e la promozione dei nuovi progetti, così come la ricerca di finanziamenti[107] e di partner per la messa in opera. Inoltre assicura una concertazione operativa con tutte le strutture del processo, in particolare con le co-presidenze, elabora dei documenti di lavoro per le istanze di decisione ed ha una personalità giuridica distinta e uno statuto autonomo. Ma il mandato del Segretariato è di natura tecnica: raccoglie i progetti, informa il Comitato permanente e gli Alti Funzionari della loro messa in opera.
Per quel che concerne la composizione, oltre al Segretario generale, esso comprende cinque segretari generali aggiunti. Per il primo mandato i cinque segretari generali aggiunti saranno scelti tra Autorità palestinese, Israele, Malta, Grecia e Italia. Quanto al Segretario generale, questo sarà scelto da un Paese del sud[108]. Il segretariato sarà finanziato da una “sovvenzione di funzionamento ripartita in maniera equilibrata tra i partner euro-mediterranei, su una base volontaria, e dal budget comunitario”. Per quel che concerne la sede, il Paese d’accoglienza offrirà l’edificio, mentre, un accordo di sede tra il Paese ospite e il Segretariato, garantirà a quest’ultimo uno statuto autonomo.
Oltre a questi organi, la Dichiarazione di Marsiglia sottolinea la necessità di rafforzare la posizione dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea (APEM)[109] e prende in considerazione la proposta del Comitato delle regioni di creare un’assemblea regionale e locale euro-mediterranea (ARLEM)[110].
Ambiti di attuazione
Riguardo agli ambiti di cooperazione per il 2009 non viene lasciato da parte nessun settore importante[111], come il dialogo politico e la sicurezza, la sicurezza marittima, il partenariato economico e finanziario, l’energia, i trasporti, l’agricoltura, lo sviluppo urbano, l’acqua, l’ambiente, la società dell’informazione, il turismo, l’area di libero scambio, il dialogo economico, la cooperazione industriale, le statistiche, la cooperazione sociale, umana e culturale, la sanità, lo sviluppo umano, il dialogo tra le culture, la giustizia e il diritto, il rafforzamento del ruolo delle donne, Euromed giovani, la cooperazione con la società civile e gli attori locali, le migrazioni. La Dichiarazione ha permesso di trovare l’accordo su un primo elenco di sei grandi Progetti prioritari:
- lotta all’inquinamento del Mediterraneo, mirante a ripulire il Mediterraneo entro il 2020, un programma che già esisteva (“Horizon 2020”), per ristabilirne l’equilibrio ecologico, attraverso strategie per l’acqua, come verrà stabilito nelle linee guida alla Conferenza ministeriale sull’acqua, il 22 dicembre. La Strategia completa sarà presentata nel 2010[112] e riguardo ad essa sono stati presentati una serie di progetti da valutare;
- le autostrade di terra e di mare, funzionali a migliorare le relazioni tra gli Stati ed il commercio regionale. “Il Mediterraneo -recita la Dichiarazione di Parigi- non è un mare che separa, ma è un mare che unisce le popolazioni. Costituisce una grande via di comunicazione commerciale. Pertanto, conviene accordare un’attenzione particolare alla cooperazione nel campo della sicurezza marittima, in una prospettiva d’integrazione globale nella regione mediterranea”. La facilità e la sicurezza di accesso e di circolazione delle merci e delle persone su terra e su mare, sono essenziali per mantenere relazioni e rafforzare il commercio regionale. Lo sviluppo delle autostrade del mare, ivi incluso la connessione dei porti, in tutto il bacino mediterraneo, come la costruzione di autostrade costiere e la modernizzazione del collegamento ferroviario “trans-Maghreb”, permetteranno di accrescere il flusso e la libertà di circolazione delle persone e delle merci ed aumenteranno la sicurezza in mare. A tal riguardo sono stati presentati progetti pilota elaborati dagli esperti nel corso di due incontri (luglio e ottobre 2008). I progetti verranno valutati alla Conferenza Ministeriale.
- la protezione civile, il cui obiettivo è quello di sviluppare un programma di prevenzione e risposta ai disastri naturali nel bacino mediterraneo, collegandolo più strettamente con il Meccanismo di protezione civile europeo[113];
- lo sviluppo di energie alternative, tramite il piano mediterraneo per l’energia solare (Mediterranean Solar Plan, MSP), il cui scopo è lo sviluppo di fonti di energia alternative (in particolare solare), che, focalizzando l’attenzione sulla fattibilità, la concezione, la creazione e il relativo mercato, di un Piano solare mediterraneo (volto a ricoprire i deserti del Maghreb di pannelli solari), assicuri uno sviluppo sostenibile. Sono quindi stati definiti gli obiettivi e la struttura di tale piano ed è iniziata la raccolta di proposte di progetto, per cui sono stati discussi il finanziamento e le modalità di sviluppo;
- l’educazione e la ricerca: Università mediterranea. In quest’ambito si tende a contribuire alla comprensione reciproca tra i popoli attraverso lo sviluppo di un’area euro-mediterranea dell’educazione, della scienza e della ricerca. Pertanto viene promosso lo sviluppo di programmi post universitari, di ricerca e di scambio e la creazione di una Università euro-mediterranea (già prevista dalla Conferenza ministeriale euro-mediterranea del Cairo, luglio 2007) che è stata inaugurata in Slovenia (a Portoroz); scopo di tale creazione è mettere in piedi una rete di cooperazione per associare istituzioni partner e le Università esistenti della regione euro-mediterranea. È stata inoltre approvata l’iniziativa del Marocco per la creazione di una Università a vocazione euro-mediterranea a Fez e convocato un working group per l’educazione superiore che aiuterà la cooperazione nell’area. Inoltre il programma Erasmus Mundus (ovvero il programma europeo di cooperazione e mobilità diretto a rafforzare l’eccellenza e l’attrattiva dell’istruzione superiore europea nel mondo e a favorire la cooperazione con i Paesi terzi) entrerà in una nuova fase, per la quale sono stati previsti un bilancio più sostanzioso e un campo d’applicazione ampliato[114]
- l’iniziativa mediterranea per lo sviluppo del business ha lo scopo di assistere le organizzazioni che operano in appoggio alle piccole e medie imprese con strumenti finanziari e assistenza tecnica. A tal proposito tra i progetti vi è anche la proposta della creazione di un’Agenzia per lo sviluppo delle piccole e medie imprese e del microcredito nei Paesi mediterranei (una proposta italo-spagnola che ha già raccolto il consenso di diversi Stati del sud del Mediterraneo, come Algeria, Egitto, Marocco e Tunisia, che sono entrati nel gruppo di lavoro) così come del Nord[115].
Il metodo peri grandi progetti
Il primo pilastro dell’UPM sta dunque in una direzione politica condivisa tra gli Stati membri dell’UE e gli Stati non membri. Il secondo sta in un programma di pochi grandi progetti, concepiti per dare benefici rapidi e tangibili ai cittadini euro-mediterranei, al posto del programma onnicomprensivo, considerato troppo ambizioso e farraginoso dalla Commissione e dall’UE (come, per esempio, la realizzazione della deep integration). L’obiettivo è di dare all’UPM quella visibilità politica che è mancata al PEM[116].
Questo programma è di fatto aggiuntivo a quello della Commissione. Esso non si sostituisce a quest’ultimo né lo sopprime[117]. È attraverso la realizzazione dei progetti, reputati più immediatamente benefici per i cittadini euro-mediterranei, che l’UPM conta di dare un fondamento concreto alla solidarietà euro-mediterranea e alle sue prospettive di cooperazione politica. I criteri in base ai quali sono stati individuati i progetti prioritari non sono stati resi noti. Anche per questo motivo è difficile esprimersi sulla loro congruità. Non c’è dubbio che fra le prime liste indicative provenienti dal governo francese e la lista finale ci sono molte differenze dovute all’intervento della Commissione: alcuni dei principali progetti (come quello delle autostrade marittime e quello del disinquinamento del mare Mediterraneo) appaiono infatti come continuativi rispetto agli orientamenti già da tempo presenti nei “Programmi di lavoro” del PEM e costantemente perseguiti dalla Commissione. Se l’UPM funzionerà, questi progetti, che sono rimasti a un livello di attuazione insoddisfacente, potrebbero trovare la spinta che fino ad ora è loro mancata. Altri progetti sembrano scaturire da scelte nazionali che hanno trovato nell’UPM un canale per affermarsi. È questo il caso del progetto sull’energia solare, che riflette priorità di investimento soprattutto della Germania e della Spagna.
Nelle prime fasi del progetto di Unione Mediterranea, si è discusso molto di progetti di sviluppo dell’energia nucleare per usi civili in una prospettiva coerente con gli interessi della stessa Francia[118]. La scelta del solare potrebbe riflettere un compromesso politico fra Parigi, Berlino e Madrid. Altri progetti, come quello dell’università euro-mediterranea in Slovenia non suggeriscono una linea d’azione incisiva in materia di sviluppo regionale. Per avere un impatto significativo, i programmi nel settore dell’istruzione e della ricerca dovrebbero essere ben più vasti e penetranti. In generale, i grandi progetti dovrebbero essere inquadrati in una strategia complessiva di sviluppo. Il Rapporto Reiffers[119], per esempio, ha menzionato la necessità di cambiare i punti di partenza degli individui e delle imprese nei Paesi non-UE. In questo caso, i progetti dell’UPM tendono sì a questo obiettivo, ma in lassi di tempo assai diversi fra loro, sicché il loro impatto sarebbe lontano e debole. Dietro ai progetti approvati a Marsiglia non s’intravede una strategia organica. Se c’è, andrebbe resa nota, cosicché la si possa discutere pubblicamente. I progetti che l’UPM si appresta a realizzare potrebbero anche non avere particolari controindicazioni, ma sarebbe importante spiegarne meglio i benefici. Anche questo è un compito cui la leadership dell’UPM, una volta stabilita, dovrebbe attendere. Dal punto di vista pratico, è chiaro che le iniziative intraprese dalla Commissione o, più in generale, dall’UE non divengono automaticamente parte dell’agenda dell’UPM, come invece accadeva nel PEM. Esse dovranno essere filtrate dagli organi dell’UPM. Non c’è dubbio che la co-presidenza sarà investita di queste iniziative e il co-presidente europeo dovrà negoziarle con il suo collega. Dovranno, le stesse iniziative, essere filtrate dal Segretariato? A questa domanda non sembra esserci per ora una risposta precisa. D’altra parte, il ruolo del Segretariato dell’UPM è oggettivamente limitato dal fatto che fra i suoi finanziatori figurano, in modo non secondario, i fondi della Commissione e della Banca Europea per gli investimenti (BEI). Quando il progetto era stato lanciato si parlava di fonti private. Ma allora il progetto era francese e probabilmente si pensava, in un’ottica nazionale, a specifici progetti, diversi da quelli che sono stati poi approvati dal Vertice di Parigi e precisati dai ministri a Marsiglia, come per esempio allo sviluppo dell’energia nucleare per usi civili. Si profila perciò un dualismo, che potrebbe sfociare in competizioni corporative fra le varie istituzioni. Questo non sarebbe utile a nessuno e, perciò, la leadership euro-mediterranea è chiamata sia a trovare un equilibrio fra PEV e UPM, che a fare sì che il dualismo sia superato in un’ottica di cooperazione e sinergia.
 Riflessione sulla Dichiarazione di Marsiglia
La Dichiarazione di Marsiglia è interessante per l’avvio dell’Unione per il Mediterraneo e sotto questo aspetto è rimarchevole il lavoro dell’ambasciatore Serge Telle[120], incaricato del partenariato al Quai d’Orsai, ovvero al Ministero degli Esteri francese. Egli non ha risparmiato alcuno sforzo pur di assicurare il successo della Conferenza di Marsiglia. Il suo compito è stato ostacolato dall’ostruzionismo israeliano e dalle rivalità tra i Paesi per la definizione della sede del Segretariato. In principio Israele si è opposto alla partecipazione della Lega Araba alle riunioni dell’UPM. Del resto è ben nota l’ostilità di Israele verso l’attuale segretario generale della Lega, Amr Moussa[121], accusato di essere un arabista anti israeliano. Ciò che teme Israele è di trovarsi sempre sotto accusa. Ma c‟è da chiedersi come uno Stato che non rispetta le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite possa non esserlo. Del resto sulla questione della partecipazione della Lega degli Stati arabi, l‟Egitto, in quanto co-presidente, e gli altri Paesi arabi hanno mostrato grande fermezza, in quanto un partner non può esercitare il suo diritto di veto alla partecipazione della Lega degli Stati arabi nella misura in cui la maggior parte dei Paesi del sud-est mediterraneo sono arabi e nella misura in cui l‟UPM avrà bisogno del finanziamento di altri Paesi arabi non rivieraschi, come i Paesi del Golfo. I ministri europei e gli altri partner hanno aderito a questo punto di vista. Anche se alla fine Israele ha dovuto cedere, non esce completamente sconfitto dalla Conferenza di Marsiglia. Infatti un israeliano sarà scelto come segretario generale aggiunto. Ma, per un motivo di equilibrio, anche un palestinese siederà come segretario generale aggiunto. Per i tre altri segretari aggiunti saranno scelti un italiano, un greco e un maltese. In questo modo i ministri riuniti a Marsiglia hanno voluto distribuire i ruoli e coinvolgere nel nuovo progetto la maggior parte degli Stati europei del Mediterraneo. Alcuni hanno visto in questa scelta una specie di premio di consolazione. Ma dal momento che i principali Paesi interessati dai problemi e dalle dinamiche mediterranee sono anzitutto i Paesi rivieraschi, non può condividersi tale posizione. Anche se, forse, sarebbe stato giudizioso scegliere almeno un segretario aggiunto tra i Paesi europei non rivieraschi. Inoltre dal momento che i segretari generali aggiunti saranno incaricati di stilare dei dossier tematici, c’è il rischio evidente di doversi contrapporre per riuscire a rientrare in una ristretta cerchia di nomination politiche. Questa è la cosa peggiore che possa capitare perché, in fin dei conti ciò che importa è la competenza e non la nazionalità. Un segretario aggiunto maltese per esempio non siederà al Segretariato per difendere solo gli interessi di Malta. Si suppone che una volta nominato egli si metta a servizio dell’Unione per il Mediterraneo e non al servizio del suo Paese d’origine. Pertanto è opinione comune che i ministri euro-mediterranei debbano essere molto attenti a tali rischi in quanto è in gioco la credibilità di tutto il dispositivo. La scelta del Segretario generale è altrettanto spinosa. Si sa già che dovrà essere del sud, ma le opzioni possibili non sono numerose. Il Marocco presiede già la fondazione Anna Lindt[122]. L’Algeria non è ufficialmente candidata, ma avrebbe il diritto di pretenderlo. L’Egitto occupa la co-presidenza. Per la Giordania non si può parlare propriamente di un Paese rivierasco. Un segretario libanese o siriano non sarebbe sostenuto perché i due Paesi mostrano nei riguardi di Israele una notoria ostilità a causa della prosecuzione dell’occupazione. Quanto a Israele e alla Autorità palestinese, come detto sopra, questi hanno già ottenuto ciascuno un posto di segretario generale aggiunto. Restano allora la Turchia e la Tunisia. Ma la prima ha come obiettivo prioritario l’adesione. La seconda non ha ancora digerito il rifiuto di stabilire la sede del Segretariato a Tunisi, cosa che considera come un disconoscimento, tenuto conto che essa è stata la prima ad aver sottoscritto l’Accordo di Associazione e probabilmente la prima della classe in termini di modernizzazione economica.La scelta del Segretario generale e dei segretari generali aggiunti si farà nel corso del 2010. Mentre superata è ormai la questione della sede, che sarà stabilita a Barcellona, in particolare nel Palazzo Pedralbes. La candidatura di Barcellona si è imposta dopo il ritiro di quello di La Valletta, a Malta, e le obiezioni formulate, al Nord come al Sud alla candidatura di Tunisi. Avendo troncato le questioni spinose della partecipazione, dell’architettura istituzionale e del seggio, la Conferenza ministeriale di Marsiglia ha messo l’UPM sui binari. Il treno può ormai mettersi in marcia. Verso dove, a quale velocità, con quali passeggeri e con quale tipo di carburante saranno le principali questioni che si porranno nei mesi a venire.
Co-governance mediterranea nel quadro dell’Unione per il Mediterraneo: aspetto fondamentale
Si potrebbe pensare che data la maggiore eterogeneità dei partecipanti all’UPM, considerando che ne fanno parte Paesi del nord, del sud e dell’est del Mediterraneo, tale progetto sia destinato ad arenarsi come già le precedenti iniziative rivolte al Mediterraneo. Ma è proprio tale diversità geografica, culturale, storica che fa dell’UPM un’organizzazione internazionale sui generis, appunto perché fondata sulla co-governance. Infatti è proprio tramite quest’ampia partecipazione, anche così diversa, che si può sperare in una maggiore integrazione dell’area mediterranea, funzionale alla realizzazione di progetti comuni che realmente appiani le discrepanze e promuova uno sviluppo finalmente costante. Invero la partecipazione dei Paesi del Maghreb a progetti più ristretti rispetto all’Unione per il Mediterraneo -come il “Mediterraneo occidentale” (la famosa formula 5+5), il “Forum del Mediterraneo” (costituito da quattro di questi Paesi senza la Libia), il “Dialogo Mediterraneo della NATO”[123] (a cui non partecipa la Libia), l’Unione del Maghreb Arabo (UMA)- o dei Paesi mediterranei ad iniziative più ampie -come il Processo di Barcellona (in cui la Libia partecipa solo come osservatore) e la Politica di Vicinato (cui non partecipano la Mauritania, che fa parte del gruppo ACP, e la Libia)- non ha consentito finora di poter risolvere questioni come quella del Sahara Occidentale (che inasprisce il clima maghrebino dagli anni ‘70) o come quella israelo-palestinese; senza dimenticare le relazioni tese tra l’Algeria e il Marocco (la frontiera tra questi due Paesi è chiusa da diciotto anni) e la sorda rivalità per la leadership regionale. Ma tutte queste questioni, per importanti che siano, non hanno lo stesso potenziale distruttivo e la stessa risonanza del conflitto arabo-israeliano. Per la longevità del conflitto tra Israele e i suoi vicini, per la sua violenza stessa, per i suoi straripamenti fuori dai confini regionali, per le sue ricadute internazionali, per la sua natura e per la strumentalizzazione che ne fanno gli Stati locali e gli attori esterni, come i gruppuscoli radicali, questo conflitto costituisce una fonte permanente d’instabilità nella regione e di tensione internazionale. La soluzione del conflitto arabo-israeliano faciliterebbe sicuramente la cooperazione regionale e renderebbe più agevole l’effettiva inclusione di tutti i Paesi partner. Diverso è certamente il caso del Sahara Occidentale, per il quale, con un po’ di realismo e di buon senso, si può certamente trovare la via d’uscita. Senza voler minimizzare i conflitti intra-maghrebini è evidente quanto sia necessario che si faccia uno strenuo lavoro per dare coesione al Maghreb e ai suoi vicini del Machrek[124]. Ciò diviene ancor più necessario allorché la mondializzazione in corso esige di rompere con i metodi solitari e le strategie nazionali fredde ed egoiste, così da fare del Mediterraneo meridionale ed orientale parte pregnante e non parte soccombente delle evoluzioni del mondo.
La co-governance mediterranea è quindi necessaria anche in ragione delle nuove prospettive della mondializzazione economica[125], che favorisce la politica dei blocchi. Ed è la stessa UPM che crea dei blocchi regionali di integrazione, allo stesso modo delle esperienze fatte dal continente americano (tra Canada, Stati Uniti e Messico) o dal continente asiatico (tra Cina, Giappone e Corea). L’idea consiste nello sfruttare la prossimità geografica, l’integrazione e la complementarietà nella realizzazione di progetti comuni, scegliendo lo sviluppo di blocchi integrati. L’Europa ha bisogno dei Paesi del sud e dell’est del Mediterraneo per potersi sviluppare e, viceversa, i Paesi mediterranei necessitano di un’azione congiunta per crescere e far crescere la regione. “Il Mediterraneo, Nord e Sud, sta formando un’unica entità economica: l’Europa deve farne un punto di forza”[126]. Oggi più che mai, in questo periodo di crisi, è necessario promuovere una forte integrazione economica che venga però da uno spazio coeso nel quale sia possibile svilupparsi, non solo economicamente, ma anche democraticamente, pacificamente, in un valorizzante scambio culturale. La co-governance mediterranea è infine necessaria anche in ragione delle minacce transnazionali, come il terrorismo, la migrazione incontrollata[127] e i rischi ambientali, che tendono a gettare confusione sulla pace e sulla stabilità nel Mediterraneo. Tutti devono sentirsi coinvolti da queste minacce e problemi, tutti devono tentare di porvi rimedio attraverso la partecipazione e la concertazione. Questi problemi, nella visione dell’Unione per il Mediterraneo, non possono essere per loro natura affrontati solamente nei Summit, perché essi sono vissuti quotidianamente da tutti i popoli mediterranei nella vita di tutti i giorni. La loro risoluzione deve consistere in pochi ma efficaci progetti[128] che possano facilmente raggiungere le aree e i soggetti cui sono rivolti. Politici e popolazioni devono essere associati per regolare dei problemi multidimensionali, complessi e urgenti, che per di più si evolvono rapidamente. Infatti nel caso in cui anche l’Unione per il Mediterraneo non riuscisse a realizzare i suoi obiettivi (l’integrazione economica, sociale, politica e culturale, e la normalizzazione dei rapporti tra i partner) il Mediterraneo si fratturerebbe moltiplicando i rischi di marginalizzazione economica e di deriva politica. È dunque necessario un reale ed effettivo impegno di tutte le parti in causa, così da rendere tale iniziativa un “gioco a somma positiva”.
3.       Prerogative ed obbiettivi

Nessuna persona di buon senso può rifiutare i principi del progetto dell’Unione per il Mediterraneo, dal momento che essa realizza una vecchia aspirazione dei popoli. La condivisione delle decisioni e la partecipazione degli Stati del sud Mediterraneo, in condizioni di parità con gli Stati dell’UE, costituiscono uno dei principali tratti distintivi dell’UPM rispetto al PEM. Starebbe qui anzi il valore aggiunto dell’UPM rispetto al PEM e, più in generale, alle esperienze precedenti. L’UPM deve poter assicurare una partecipazione più attiva e consapevole dei partner non-UE e, di riflesso, una maggiore efficacia e visibilità della cooperazione euro-mediterranea[129]. Il contesto della mondializzazione, pur con tutte le sue minacce e le sue incertezze, porta con sé le possibilità di un mondo comune, in particolare per i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Non c’è un’altra via, a meno di non volere altro che l’isolamento ed il conflitto. La ricerca di un nuovo assetto regionale ed internazionale meno ingiusto e di una nuova civiltà esige un’analisi oggettiva ed una certa capacità di immaginare il futuro. Le condizioni per aprire nuove prospettive non sono date in anticipo. Ragione di più per operare insieme, considerando i traguardi e i fallimenti delle esperienze precedenti in questo settore, al fine di non accentuare ulteriormente i dubbi e le divergenze. Il progetto dell’Unione per il Mediterraneo ha il merito di dare l’occasione di lasciar decantare le questioni di fondo legate alle relazioni tra i popoli della regione. La diagnosi è eloquente. La situazione resta preoccupante. Bisogna incontrarsi, discutere con sincerità per far fronte, in modo coerente, alle sfide comuni. La partecipazione del Nord, del Sud e dell’Est del Mediterraneo contribuisce alla messa in atto di questo progetto. Tuttavia, il cammino di un’Unione sarà lungo. Sulle sponde meridionali ed orientali, malgrado l’eterogeneità dei Paesi che fanno parte di quest’area, le possibilità di riuscita e gli sforzi di modernizzazione dipendono da una serie di problemi da affrontare, poiché il livello di sviluppo è palesemente asimmetrico rispetto a quello dei Paesi europei; la debolezza della consuetudine al buon governo ed il carattere arcaico di alcuni regimi creano seri problemi; le insufficienze in materia di cooperazione e d’integrazione regionale e sub-regionale indeboliscono le basi del nuovo progetto. Inoltre le fonti di reddito sono soprattutto legate alle ricchezze del sottosuolo o dipendenti da fattori aleatori; l’analfabetismo, la crisi dei sistemi educativi e l’assenza di controllo demografico pongono problemi di fondo; la fuga dei cervelli, l’immigrazione clandestina e l’esodo dalle campagne in direzione delle città accentuano l’impoverimento e la frammentazione sociale; la debolezza dei rapporti tra lo Stato e la società, e delle relazioni del dialogo Nord-Sud, suscita reazioni negative.
Da un lato i popoli di quest’area mostrano una tendenza al ripiegamento su se stessi ed al culto del passato, nella strumentalizzazione della “religione-rifugio”, e dall’altro un’imitazione cieca e alienante di un modello occidentale in crisi. Relativamente al Nord, la diagnosi è caratterizzata, allo stesso modo, da altrettanti punti contraddittori, come: l’indebolimento degli aiuti destinati al Sud, pari a meno dello 0,2% dei rispettivi bilanci e un ammontare degli investimenti inferiore al 2% rispetto al volume globale degli investimenti esteri (tre volte meno di quanto promesso, dieci volte meno di quanto sarebbe auspicabile); una politica di discriminazione nei confronti delle popolazioni originarie del Sud o provenienti dalle aree svantaggiate, e una strategia di esclusione dei nuovi migranti; un’islamofobia caratterizzata da sconfinamenti nella xenofobia e da deliri mediatici che amplificano le derive dei gruppi estremisti e le contraddizioni dei sistemi del Sud; l’impotenza rispetto ai principali conflitti, come il dramma israelo-palestinese che tiene in ostaggio ogni progetto di partenariato; sul piano storico, il rifiuto di riconoscere i fatti e i misfatti della storia della colonizzazione europea; le misure eccessivamente restrittive in materia di mobilità e di circolazione delle persone; le contraddizioni di un sistema dominante fondato sulla triade laicismo oltranzista, scientismo disumanizzante, e capitalismo selvaggio, tre tendenze ormai giunte in un vicolo cieco. Oggi che la centralità e la dimensione strategica del Mediterraneo sono riconosciute, non ci si può limitare a progetti tecnici, come quelli scelti dalla Commissione dell’Unione Europea, che sembrano ridurre l’ideale dell’UPM ai temi della lotta all’inquinamento marino ed alle autostrade. Malgrado l’interesse che hanno questi settori, ciò è emblematico del persistere dell’unilateralismo, che può svuotare questo grande progetto del suo contenuto.
D’altra parte è innegabile che anche i Paesi dal Maghreb al Machrek, da Israele alla Turchia e all’Autorità Nazionale Palestinese, nonché i Paesi mediterranei dei Balcani, dovrebbero fare un grande sforzo di buona volontà, per mettere da parte ciascuno i propri egoismi a favore della realizzazione di un progetto comune che alla fine appagherebbe tutti.
È auspicabile, dunque, che l’UPM sia un effettivo partenariato tra gli Stati membri dell’UE e gli altri Paesi dell’area mediterranea[130]. La coerenza e la visibilità di una tale Unione sarebbero molto più grandi. Non vi sarebbe più alcuna apprensione, né quella relativa alla normalizzazione prematura dei rapporti con Israele, né quella che mira a scongiurare l’adesione della Turchia all’UE, né infine quella che mira ad una riorganizzazione all’interno di una regione geostrategica a vantaggio degli interessi economici e di sicurezza di una sola parte. In ogni caso, la priorità deve essere data alla democratizzazione ed all’umanizzazione delle relazioni Nord-Sud, per rispondere alle esigenze della convivenza. La storia delle due sponde del Mediterraneo è ad una svolta decisiva: il riavvicinamento tra le due rive[131], che assumerà certamente il ruolo di missione costruttiva, se vi saranno le condizioni.

Riflessioni ed analisi dopo un anno dalla nascita dell’Unione per il mediterraneo
Il 13 luglio 2009 è stato il primo anniversario dell’Unione per il Mediterraneo che, come detto sopra, è stata costituita nel 2008 a Parigi nel quadro di una riunione di capi di Stato e di Governo. Messa poi più o meno a punto dalla Conferenza dei ministri degli Esteri, svoltasi a Marsiglia nel novembre 2008, l’UPM è stata però subito dopo bloccata dai Paesi arabi in risposta all’intervento di Israele a Gaza del dicembre 2008 / gennaio 2009 (per l’offensiva scatenata da Israele con l’operazione “Piombo fuso”[132]). Solo alla fine del giugno scorso, sono emersi sia pur esitanti tentativi e segnali di sblocco. L’iniziativa è venuta dalla Spagna, che nella seconda metà di giugno ha organizzato, su invito del ministro degli Esteri, Moratinos, una riunione informale degli Alti Funzionari dell’UPM a Barcellona, nel palazzo di Pedralbes (destinato dal governo spagnolo a essere la sede del Segretariato dell’UPM), allo scopo di cominciare a discutere lo statuto del Segretariato: un passo essenziale per il suo funzionamento effettivo. Anche grazie all’Egitto, e all’azione del Presidente Mubarak, l’Unione ha potuto essere rianimata, dal momento che in seguito all’intervento militare israeliano, gli altri Paesi arabi si erano fermamente rifiutati di sedersi allo stesso tavolo con il rappresentante di Gerusalemme. Il ragionamento portato avanti dalla diplomazia egiziana è stato semplice: poiché il boicottaggio dell’UPM non ha portato alcun effetto negativo ad Israele, la cosa “politicamente più corretta” era quella di utilizzare tale Unione come una tribuna per denunciare le azioni di Gerusalemme. A latere di questa riunione, gli Alti Funzionari arabi hanno approvato il principio di uno sblocco delle riunioni tecniche, anche in presenza di Israele, lasciando però impregiudicata la loro astensione da riunioni politiche.
In effetti, il 25 2009 giugno si è tenuta a Parigi una riunione ministeriale informale sullo sviluppo sostenibile. Il 7 luglio (sempre dello stesso anno) si sono poi avute, a Bruxelles, una riunione ministeriale economica e finanziaria e una degli Alti Funzionari. Mentre la riunione dei ministri ha affrontato i temi economico-finanziari all’ordine del giorno (gli effetti della crisi globale, i progetti previsti dalla UPM e i finanziamenti che questi progetti iniziano a ricevere), gli Alti Funzionari hanno avuto uno scambio di idee sul concreto avvio delle attività istituzionali dell’UPM. Questa seconda riunione è stata preceduta da una riunione separata degli Alti Funzionari arabi in cui nessuno ha obiettato allo sblocco. Continua tuttavia a prevalere l’idea di partecipare alle riunioni tecniche e ai progetti economico-finanziari, ma non alle riunioni politiche.
Il sentimento diffuso negli ambienti europei è che il processo è di fatto sbloccato. Tuttavia, da parte araba manca ancora chiarezza e determinazione e la ripresa, anche se c’è, appare limitata. Una successiva riunione degli Alti Funzionari si è tenuta il 16 luglio 2009. Ė difficile però, al di là delle formule diplomatiche, che la dimensione politica dell’UPM venga veramente sbloccata.
Da parte araba ci sono posizioni diverse. Però, la propensione a lavorare sul solo versante economico-finanziario e sui grandi progetti, spogliando di fatto l’UPM dei suoi obiettivi politici, tende ad essere un’interpretazione di fondo dell’UPM più che una posizione congiunturale. Mentre l’anno precedente i governi arabi avevano accolto l’iniziativa con unanime soddisfazione, gli umori sono ora cambiati, non solo fra i Paesi del Levante, ma anche fra quelli del Maghreb: nell’enfatizzare l’aspetto economico i partner arabi sono sostanzialmente tutti d’accordo. D’altra parte, mentre la natura intergovernativa dell’UPM è stata presentata dai suoi fautori come il superamento della situazione di ineguaglianza politica che comprometteva il funzionamento del Partenariato Euro-Mediterraneo, è chiaro che proprio questo più compiuto status politico, che l’UPM ha dato agli arabi, non poteva che portarli a una posizione meno compiacente rispetto alla coabitazione con Israele. Coabitavano per buona educazione finché erano ospiti della casa UE. Ora che sono a casa propria, immediatamente di fronte alle proprie opinioni pubbliche, è più difficile farlo. Perciò, prima o poi doveva accadere. L’iniziativa israeliana di Gaza lo ha fatto accadere forse prima di quanto ci si potesse aspettare.
È auspicabile a questo punto che i Paesi arabi riprendano un dialogo politico con gli europei nell’UPM. A una ripresa dei rapporti economici, invece, gli arabi sono effettivamente interessati e l’UPM si presta bene a rispondere a questo interesse. Si può, in conclusione, ritenere che l’UPM inizierà a funzionare, dal momento che il Segretariato è stato stabilito a Barcellona. In questo, d’altra parte, gli arabi hanno in Europa buoni alleati interessati a sviluppare i grandi progetti economici previsti dall’UPM, a cominciare dalla BEI e dagli enormi interessi governativi e privati europei. Accanto alla dimensione mediterranea dell’UPM, si deve considerare quella europea, nella quale i contrasti politici si palesano forse più che nell’altra. La co-presidenza europea dell’UPM mette, in effetti, in rilievo un quadro di competizione intracomunitaria che investe sia gli equilibri istituzionali dell’UE, sia le sempre latenti divisioni fra orientamenti mediterranei ed est-europei. Con la pretesa di Sarkozy di tenere la co-presidenza europea dell’UPM oltre il semestre di presidenza francese si è aperta una sorta di guerricciola, per alcuni aspetti ridicola, per altri un po’ pericolosa. La Francia ha voluto affermare una supremazia sulla politica mediterranea senza riguardo per la coesione e la coerenza della politica europea. La presidenza ceca, succeduta a quella francese nel primo semestre di quest’anno, ha finto di protestare ma ha accettato la pretesa francese in cambio dell’appoggio di Parigi ai progetti di Partenariato Orientale (Eastern Partnership). Con ciò si è insinuata nella già debole compagine della politica estera europea una tendenza concreta a dare a ciascuno il suo: ai Paesi del sud Europa il vicinato mediterraneo e a quelli del Centro Europa il vicinato est-europeo. Insomma, una buona prospettiva di frammentazione dell’UE.
La presidenza svedese[133], in corso dal 1° luglio, sembrava non volesse fare compromessi, ma è addivenuta all’accordo secondo cui le riunioni politiche saranno presiedute dal presidente svedese dell’UE e quelle economico-finanziarie dal presidente francese, condividendo in tal modo il ruolo di co-presidente dell’UPM. Così, la riunione sullo sviluppo sostenibile, sopra accennata, è stata presieduta da Christine Lagarde[134] per la Francia e da Youssef Boutros-Ghali[135] per l’Egitto, mentre le riunioni degli Alti Funzionari sono state presiedute dalla Svezia.
Contro quest’anomalia ha protestato il Belgio, che prenderà la presidenza UE nel secondo semestre del 2010, e quindi, in teoria, la co-presidenza dell’UPM, avvertendo che non accetterà decurtazioni delle sue prerogative. Posto che nel giugno 2010 il biennio di co-presidenza UPM, che la Francia si è preso, scadrà, ci si può chiedere contro chi il Belgio sta mettendo le mani avanti. La risposta sembra essere la Spagna. Questo Paese detiene la Presidenza dell’UE in questo primo semestre[136] e, a quanto si dice, prenderà il posto della Francia nella co-presidenza dell’UPM, ma bisognerà vedere se riuscirà ad ottenere l’appoggio affinché il biennio di co-presidenza sia ripetuto, stavolta a suo favore. In effetti, non c’è dubbio che nella fase attuale si è formato un asse fra Francia e Spagna nel quadro della politica dell’UPM. Questo asse tende a suggerire che, in ambito UE, il Mediterraneo deve andare ai mediterranei, un’idea rafforzata dai cinque segretari congiunti, tutti mediterranei, che affiancheranno il Segretario generale dell’UPM, che per statuto deve essere del sud Mediterraneo.
Ci si pongono a questo punto due questioni. Da un lato circa l’influenza che avrà la co-presidenza europea dell’UPM, così strutturata, sulla coesione comunitaria; dall’altro riguardo all’idea di tenere l’UPM distinta rispetto al quadro istituzionale e alle regole che orientano i vari rapporti tra l’UE e i suoi vicini. È chiaro che tutto questo non faccia bene alla coesione europea. Oltretutto, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009, la presidenza UE cambierà i suoi caratteri. Inoltre, l’epopea della co-presidenza dell’UPM nasconde un contrasto tra coloro che vogliono consolidare e riaffermare il carattere intergovernativo dell’UPM (tenendo fuori UE e Commissione dal processo decisionale euro-mediterraneo) e coloro che invece ritengono utile un rientro della Commissione in questo processo. Su questo punto la Commissione ha stanziato, in occasione dell’anniversario dell’UPM, altri 72 milioni di euro oltre i 28 che aveva già accantonato l’anno scorso per la realizzazione dei progetti dell’UPM; in questo modo la Commissione si assicurerebbe un posto di “consulente” nel Segretariato, almeno per i progetti che contribuisce a finanziare. Così, la Commissione tornerebbe ad avere un’influenza sulle decisioni economiche euro-mediterranee. Ma toglierle questa influenza è stato esattamente uno degli obiettivi dell’UPM, che ha voluto rimettere nelle mani dei Governi, specialmente di quelli sud-mediterranei, decisioni che, nell’ambito del Partenariato Euro-Mediterraneo, la Commissione avrebbe loro sottratto[137]. Francia e Spagna sembrano intenzionati a mantenere fermo questo punto e quindi a mantenere l’UPM come organizzazione intergovernativa, distinta e diacronica rispetto al quadro generale dei rapporti di vicinato dell’UE, probabilmente, perché ritengono che ciò assicurerà all’UPM quel destino politico che è mancato al Partenariato di Barcellona[138]. Ma la chiave di volta della politica euro-mediterranea sta soprattutto nella soluzione del problema palestinese, di cui gli Stati dell’area continuano ad essere ostaggio. Invece, almeno per ora, il destino solo economico che i partner arabi intendono dare all’UPM non sembra essere in sintonia con le preoccupazioni e gli obiettivi di Spagna e Francia.
È proprio a causa dell’impasse che caratterizza i negoziati di pace nel conflitto israelo-palestinese, oltreché per lo scontro interno all’UE sorto per la gestione della presidenza e per le assegnazioni dei segretariati, che la Conferenza Ministeriale che si sarebbe dovuta tenere ad Istanbul intorno al 25 novembre 2009 è stata annullata[139]. Mentre appare difficile respingere l’attuale richiesta dei partner arabi di porre l’accento sui rapporti economici, occorre concentrare la propria attenzione sulle riforme politiche e sul rispetto dei diritti umani. In caso contrario si rischia di assecondare e rafforzare i regimi autoritari esistenti. Inoltre, è necessario elaborare una posizione europea nei confronti del problema palestinese. Infatti l’UPM può e deve intervenire attraverso la realizzazione di progetti comuni che possano rendere più coesa l’area e per questa via provare a normalizzare i rapporti isrelo-palestinesi e promuovere la democrazia e la pace; se si vogliono dei rapporti euro-mediterranei fruttuosi, ci si deve piuttosto preoccupare di rafforzare la politica estera dell’UE e darle nuove direzioni, altrimenti come il Partenariato (più del Partenariato), l’UPM resterà ostaggio della questione palestinese.

La Conferenza di Napoli: l’occasione per vagliare progressi e risultati dell’Unione per il Mediterraneo
Venerdì 6 novembre 2009, presso l’aula delle Mura Greche di palazzo Corigliano, sede dell’Università L’Orientale di Napoli si è tenuta la Conferenza “L’Unione per il Mediterraneo: un anno dopo”. L’incontro è stato organizzato[140] con l’intento di fare il punto della situazione, ad un anno dal summit di Marsiglia (3-4 novembre 2008), dei progressi fatti dall’Unione per il Mediterraneo.
Durante i lavori, per il Governo italiano, è intervenuta Stefania Craxi (sottosegretario agli Affari esteri) che ha annunciato alcune novità riguardanti l’UPM, quale la formalizzazione da parte del Governo italiano della richiesta di un segretariato aggiunto per l’Italia con poteri finanziari e compiti riguardanti lo studio di fattibilità dei progetti3[141].
La novità più interessante è stata l’annuncio dell’avvio di una strategia di City Diplomacy euro-mediterranea. La City Diplomacy, riguarda la cooperazione a livello locale fra città ed aree metropolitane per lo sviluppo urbano[142]. Il sottosegretario Craxi ha concluso annunciando che il Ministero degli Affari esteri organizzerà nel 2010 la prima edizione della Biennale del Mediterraneo[143].
Dopo altri contributi, si è aperta una la tavola rotonda coordinata da Roberto Aliboni dell’Istituto Affari Internazionali di Roma. Tema della tavola rotonda: “Lo spazio euro-mediterraneo: la dimensione economica”.
Tra gli argomenti affrontati, è stato ribadito in primo luogo che, l’UPM poggia su relazioni intergovernative e sul principio di cogestione, evidente nella scelta della doppia presidenza, la cui struttura, però, tende a marginalizzare la Commissione[144].
L’inefficacia del PEM è attribuita a due ordini di problemi: da un lato economici, dal momento che troppo poco si è investito rispetto ai grandi obiettivi che ci si era posti; dall’altro politici, dei quali il conflitto mediorientale è il nodo irrisolto e per la cui soluzione è necessaria da parte dell’UE una presa di posizione unitaria e che sia a sostegno di quelle realtà presenti nella società civile israeliana e palestinese che cercano di costruire i presupposti per una pace giusta e durevole. Durante il dibattito è emerso che il fallimento del PEM è stato dovuto anche all’asimmetria del partenariato, forse troppo sbilanciato in favore dell’UE che, troppo impegnata ad occuparsi della liberalizzazione della circolazione di beni e capitali, non ha saputo rispondere alla necessità di liberalizzare e gestire anche la circolazione delle persone.
Si avverte che se l’economia tende a prevalere sulla politica l’UPM non sarà nient’altro che “un label”, ovvero solo un marchio dietro al quale però non c’è nulla di consistente[145].
A sole due ore dall’apertura dei lavori, l’Assemblea un po’ assopita, è stata scossa da uno dei partecipanti[146] che ha raccontato della sperimentazione di un laboratorio teatrale al quale hanno partecipato ragazzi israeliani e palestinesi. Ha riferito della loro difficoltà nel costruire uno spettacolo nel quale ognuno doveva mettersi nei panni dell’altro. Alla fine lo spettacolo è stato messo in scena grazie alla volontà dei partecipanti di superare certi tabù. Quella stessa volontà che è mancata a livello diplomatico.
Un altro dubbio ha riguardato il finanziamento dell’UPM. Una delle novità del partenariato sarebbe dovuta risiedere nella sua capacità di muovere l’interesse dei capitali privati. Tale capacità ha finora però lasciato a desiderare. Inoltre, la zona di libero scambio si farà, la Tunisia è già entrata nell’ambito PEM/PEV, e come il Marocco vuole ottenere uno status avancé che le permetta dei rapporti privilegiati con l‟UE[147].
In un altro intervento il mondo arabo è stato definito una “regione senza regionalismo”: nonostante il mondo arabo, dal Medio Oriente al Marocco, abbia numerosi tratti comuni (lingua, religione, cultura, etc.), la regione resta una realtà disomogenea nella quale i diversi Stati non riescono a darsi regole comuni e ad avviare un processo di integrazione regionale. Prova di questa incapacità sono gli stessi trattati stipulati che spesso si sovrappongono o addirittura confliggono, ma che in ogni caso rimangono inattuati. Sarebbe dunque necessario, ai fini di una migliore integrazione economica interna della sponda Sud, riprodurre un processo di integrazione regionale analogo a quello realizzatosi in Europa[148].
Sono poi stati ricordati i progressi del programma ENPI CBC (per la Cooperazione Transfrontaliera nel Mediterraneo nel quadro dello Strumento Europeo di Vicinato e Partenariato per il periodo 2007 - 2013) con la relativa dotazione di 170 milioni di euro e con l’adozione della pratica di co-ownership relativamente alle sue quattro priorità: sviluppo locale; protezione ambientale e sviluppo delle energie rinnovabili; mobilità (di merci, capitali e persone); dialogo interculturale e religioso[149]. Per concludere, alla Conferenza sono stati riaffermati tre elementi chiave per la costruzione di un partenariato efficace. In primo luogo è stata ribadita la volontà di cooperare per costruire un’area di pace, stabilità e benessere. Si è affermata la necessità di un’assunzione di piena e di reciproca responsabilità da parte dei Governi che partecipano all’Unione per il Mediterraneo, affinché questo funzioni, ed infine è stata evidenziata la necessità d’investimenti concreti ed adatti a mettere in pratica progetti ed obiettivi.

4.       Epilogo
L’Unione per il Mediterraneo ha dato ad oggi dei risultati alquanto modesti. Le ambizioni iniziali contrastano contro la realtà dei fatti. Il secondo Vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’UpM è stato più volte rinviato sino all’ultima volta in cui non si è neanche indicata una data orientativa a causa dell’opposizione dei paesi meridionali a incontrarsi e proseguire la cooperazione con la UE fin quando perdurerà l’attuale situazione nei territori palestinesi. Questo è solo l’ultimo di una serie di blocchi che sembrano aver messo una pesante ipoteca sulla riuscita e sul futuro stesso dell’UpM. Se infatti il puntare su una cooperazione essenzialmente basata su settori non tecnico economici come l’inquinamento marino o le infrastrutture sembrava la soluzione migliore per far progredire le relazioni aggirando l’ostacolo costituito dal conflitto israelo-palestinese, nella messa in pratica tale idea è sembrava impossibile da realizzare. Grazie alla struttura intergovernativa i governi della sponda meridionale sono liberi di esprimere i loro interessi senza alcuna mediazione poiché si è notevolmente ridotto il peso della Commissione europea. Questo ha però portato come conseguenza la possibilità di paralizzare completamente ogni processo dell’UpM come è accaduto nel 2008 quando la co-presidenza egiziana ha bloccato le attività per protesta contro l’attacco di Gaza[150]. Da questa prima crisi si uscì solo dopo un anno e mezzo quando finalmente si riuscì anche ad eleggere Barcellona quale sede del Segretariato. Non si può tuttavia soltanto attribuire a ciò le ragioni della crisi in cui versa l’UpM. Anche all’interno degli stessi stati membri della UE la situazione non è delle migliori con il riaccadersi dei problemi di scarsa coesione. La Francia ha, nonostante l’avvenuta europeizzazione del suo progetto, preteso di gestire l’UpM come fosse ancora una sua iniziativa bilaterale, fatto questo testimoniato anche dal diniego più volte manifestato a lasciare la presidenza dell’UpM alla scadenza del semestre. Questo ha portato al riaccendersi delle tensioni tra gli stati mediterranei e no mediterranei e a frammentare l’unità dell’azione europea. Di riflesso anche il ruolo di mediazione che l copresidenza e la UE potevano esercitare per tentare di sbloccare l’impasse nel quale versare l’UpM è miseramente fallito. Un ulteriore problema è costituito dai finanziamenti necessari al funzionamento del meccanismo e alla esecuzione dei progetti selezionati. I fondi messi a disposizione dalla Commissione non sono molti e infatti lo scorso 15 novembre è stato approvato un bilancio di 6,5 milioni di Euro la cui metà sarà elargita dalla commissione ma l’altra metà doveva essere coperta dagli stati partecipanti, di questi solo le due copresidenze e la Spagna hanno annunciato la loro contribuzione. Nei mesi scorsi la situazione anziché migliorare è ulteriormente peggiorata con il diffondersi a macchia d’olio di proteste in tutta l’area, Tunisia ed Egitto in particolar modo, e che non sembrano di immediata soluzione. Il Segretario generale si è dimesso lo scorso 26 gennaio limitandosi a dire in un comunicato apparso sul sito del Segretariato di Barcellona che le condizioni erano cambiate[151]. Nonostante ciò vi è però la urgente necessità di rilanciare le relazioni e la cooperazione euromediterranea e il bisogno che la UE decida definitivamente come rinforzare la propria presenza e ruolo nell’area. Ciò può avvenire a pare della scrivente solo attraverso una scelta ponderata e condivisa tra tutti i membri di uno dei due approcci proposti di recente ossia o perseguendo l’approccio tecnico regionale proposto dall’UpM oppure quello bilaterale e completo proposto dalla PEV. Occorre insomma che al contrario di quanto avviene al momento all’interno dell’Unione ci si concentri meno sul concettuale e ci si concentri di più sui progetti concreti che possano essere realizzati senza perdersi ulteriormente su un grande disegno dall’avvenire tutta via sempre più incerto. L’UPM non è solo bei propositi. Infatti, mentre i negoziati tra i membri dell’Unione per il Mediterraneo sono vicini a una conclusione in merito alla struttura e al programma di lavoro definitivi, iniziano ad arrivare segnali incoraggianti. Il nuovo anno si apre con un segnale positivo per l’Unione per il Mediterraneo, nata a Parigi nel luglio del 2008 e mai decollata: la nomina dell’ambasciatore giordano, Ahamad Khalaf Masadeh, come Segretario generale, con l’avvio ufficiale dell’attività a febbraio. Una decisione di fatto presa al Vertice svolto il 5 gennaio scorso al Cairo, tra Francia ed Egitto (co-presidenti dell’UPM), Spagna (che detiene la presidenza di turno dell’UE), Tunisia e Giordania, che formalmente arriva per acclamazione in una riunione a Bruxelles di Alti Funzionari dell’UPM, il 12 gennaio scorso. Dopo di che è stata fatta circolare una nota tra i quarantatré ministri degli Esteri che fanno parte dell’Unione per il Mediterraneo, per eventuali commenti sulla candidatura da comunicare entro 15 giorni. Di fatto, il 27 gennaio scorso, il giordano Ahmad Masadeh è stato nominato ufficialmente segretario generale dell’Unione per il Mediterraneo. È quanto ha annunciato il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner. “La designazione del Segretario generale -afferma in una nota- costituisce un passo decisivo nella costruzione istituzionale dell’Unione per il Mediterraneo”. Per l’UPM, aggiunge il capo del Quai d‟Orsay, si tratta adesso di “recuperare i ritardi dovuti essenzialmente alle ripercussioni degli eventi politici dello scorso anno in Medio Oriente”. La designazione di Ahmad Khalaf Masadeh, fino ad oggi ambasciatore giordano presso l’Unione europea e la Nato a Bruxelles, era stata decisa per acclamazione nella riunione di Alti Funzionari dell’UPM che si è tenuta nella capitale belga. Ora è arrivata la conferma definitiva da parte dei quarantatré ministri degli Esteri dell’UPM, che dovevano ratificare la nomina in un processo che si è concluso due giorni prima della nomina ufficiale. La nomina del Segretario generale, che avrà come sede Barcellona, consentirà la preparazione del secondo vertice dell’Unione per il Mediterraneo, previsto a giugno nella città catalana, nel quadro della presidenza di turno spagnola dell’Unione europea[152]. Dopo il rinvio della riunione dei ministri degli Esteri dell’UPM ad Istanbul nel novembre scorso, alla fine è stato questo lo stratagemma trovato per evitare il faccia a faccia fra arabi e israeliani e portare ugualmente a casa il risultato. Il cammino dell’Unione per il Mediterraneo, infatti, ha incontrato da subito le stesse difficoltà della cooperazione euro-mediterranea lanciata a Barcellona nel 1995. Arenata poco dopo la nascita a causa dell’offensiva israeliana a Gaza con l’operazione “Piombo fuso”, l’Unione per il Mediterraneo ha ripreso a giugno 2009 le riunioni a livello ministeriale, prima sui temi dello sviluppo sostenibile, poi sulla crisi economica, sul ruolo delle donne e, infine, sull’area di libero scambio. Il giordano Masadeh, il più giovane ambasciatore che il Paese abbia mai avuto, di fatto non ha visto concorrenti. Nel dicembre scorso, alcuni diplomatici avevano fatto sapere di un possibile candidato alternativo da parte della Tunisia, il cui nome però non è mai emerso.
“Oggi abbiamo fatto la storia”, ha commentato Masadeh nel corso della riunione. La sua avventura dovrebbe cominciare a febbraio, quando la tabella di marcia prevede il lancio ufficiale dei lavori del segretariato[153]. Per un avvio effettivo dell’UPM manca ancora però un altro tassello decisivo, quello dell’approvazione dello statuto. Due sono ancora i nodi da sciogliere: il numero dei vicesegretari, che oscilla tra cinque e sei (Italia, Malta, Israele, Autorità Nazionale Palestinese, Grecia e probabilmente Turchia), ma anche sui portafogli da assegnare loro. Nella riunione di Alti Funzionari a Bruxelles un accordo su questi punti sembra ancora lontano e il prossimo incontro è fissato a febbraio. Una volta avviato, il Segretariato dovrà occuparsi dei progetti promossi nell’ambito dell’Unione per il Mediterraneo, come il Piano solare, la lotta all’inquinamento del mare, una protezione civile comune, il sostegno alle piccole e medie imprese e l’Università del Mediterraneo.
Il primo compito per Masadeh sarà spinoso: preparare il secondo vertice dell’Unione per il Mediterraneo[154].
Dal canto suo la Spagna punta a stabilire una stretta collaborazione con la Giordania, per dare impulso all’agenda mediterranea. È quanto ha sottolineato il Premier spagnolo e Presidente di turno dell’UE, Josè Luis Rodriguez Zapatero, nell’incontro avuto 28 gennaio 2009, al palazzo della Moncloa, con re Abdallah II di Giordania[155]. Il capo dell’esecutivo socialista, informano fonti ufficiali in una nota, si è congratulato con re Abdallah per la recente nomina di Masadeh al Segretariato generale dell’UPM e lo ha ringraziato per l’importante e positivo ruolo svolto da Amman nello sviluppo delle relazioni fra l‟UE e i vicini della sponda Sud del Mediterraneo. Una collaborazione che Madrid auspica possa essere approfondita in vista del vertice dei capi di Stato e di Governo dell’Unione per il Mediterraneo previsto per il prossimo giugno a Barcellona. E, dal momento che l’attuale Programma di Azione Unione Europea-Giordania scade nel giugno prossimo, quando la Spagna sarà ancora alla presidenza dell’UE, Zapatero si è impegnato a presentare una bozza del nuovo Piano d’Azione entro il semestre, che contemplerà la proposta giordana di negoziato per uno Statuto Avanzato fra il Paese e l’Unione Europea, sul tipo di quello esistente col Marocco. Ma è stata la situazione in Medio Oriente l’argomento centrale dei colloqui. Il premier spagnolo non ha nascosto un cauto ottimismo, con la convinzione che “esistono le condizioni per fare un passo definitivo verso la pace” nella regione. Ed ha ribadito il sostegno della Spagna alla ripresa dei negoziati in Medio Oriente per il riconoscimento di un eventuale Stato palestinese, per concretizzare così la soluzione dei due Stati per due popoli.
Il re Abdallah II ha concordato con Zapatero sull’importanza della riconciliazione nazionale palestinese e sulla necessità di coinvolgere altri attori determinanti nel processo di pace per favorire la creazione dello Stato palestinese e garantire la sicurezza dello Stato di Israele[156].
L’incontro a Madrid è stato anche l’occasione, per Zapatero e re Abdallah, per ribadire il buono stato delle relazioni bilaterali[157]. Un altro segnale positivo è l’istituzione dell’Assemblea regionale e locale euro-mediterranea (ARLEM) la cui prima riunione di fatto si è tenuta il 21 gennaio 2010 a Barcellona, ospitata dal Governo autonomo di Catalogna, durante il semestre di presidenza spagnola dell‟UE[158]. “L’Unione europea ha bisogno del sostegno di tutti i suoi partner, compreso quello delle autorità locali e regionali, se si vuole raggiungere l’obiettivo di rilanciare il processo di Barcellona”, ha dichiarato Luc Van den Brande, presidente del Comitato delle Regioni dell‟UE[159], nel corso di un incontro, tenutosi il 1° dicembre 2009, cui hanno partecipato rappresentanti dell’Unione per il Mediterraneo, delle istituzioni europee e autorità locali e regionali delle tre sponde del Mediterraneo. “Questo forum -ha proseguito Van den Brande- permetterà di assicurare visibilità e seguito ai progetti avviati dall‟UE e dai suoi Paesi partner del Mediterraneo meridionale e orientale” e “darà ulteriore impulso al dialogo euro-mediterraneo, strumento per promuovere la democrazia locale nella regione e per contribuire allo scambio delle migliori prassi”. Dopo avere illustrato i caratteri di larga rappresentatività dell’ARLEM, Luc Van den Brande rileva che “la presenza del COPPEM (Comitato per il partenariato euro-mediterraneo con sede a Palermo) si è rivelata essenziale e il suo sincero supporto risolutivo”.
“Lavoreremo nel 2010 -conclude- per portare le nostre richieste di fronte al consesso istituzionale dell’UPM e dell’UE e già abbiamo cominciato a farlo a Barcellona chiedendo alla presidenza spagnola dell’UE di allargare ai Paesi mediterranei la programmata riunione sulla politica regionale dell’UE, una politica che, prima o poi, deve guardare a sud - e per facilitare l’incontro degli attori regionali e locali delle tre rive sui grandi progetti. Il dato di fatto è che i quarantatré Governi dell’UPM contano oggi anche sul nostro appoggio, l’appoggio delle autorità regionali e locali, per il successo di un dialogo che è complesso ma che vale la pena edificare insieme”[160]. La riunione costitutiva[161] ha visto l’elezione dei due co-presidenti dell’Assemblea, il Presidente della Regione di Taza-Al Hoceima (Marocco), l‟on. Mohamed Boudra, e il Governatore di Qalyubiya (Egitto), sua Eccellenza Adly Hussein, ai vertici dell‟ARLEM[162]. Il presidente espresso dai Paesi europei è Luc Van den Brande, il quale in tale occasione ha affermato: “La nostra convinzione è che l’Unione per il Mediterraneo non debba cadere nella trappola di Barcellona, limitandosi alla diplomazia classica. Alla luce di questa considerazione, offriamo il contributo del nostro impegno sul campo, orientato verso la realizzazione di progetti concreti grazie all’apporto degli enti regionali e locali che lavorano giorno per giorno per migliorare la qualità della vita dei nostri concittadini. Il nostro obiettivo è offrire al dialogo euro-mediterraneo un’ulteriore opportunità di giungere finalmente alla realizzazione delle iniziative proposte a Parigi nel 2008”. Egli ha aggiunto che “la struttura da conferire all’ARLEM è quella di un organo orientato verso il territorio e in grado di funzionare indipendentemente dalla realtà politica internazionale. […] L‟ARLEM nasce oggi come struttura autonoma, ma con lo scopo di servire l’UPM. Per questo chiediamo che, non appena l’Unione per il Mediterraneo avrà messo a punto la sua struttura interna e la sua organizzazione, l’ARLEM possa contribuire ai suoi lavori in qualità di osservatore, e ciò già a partire dal Vertice di Barcellona che si terrà nel giugno 2010”. I segnali positivi registrati sembrano essere un chiaro indicatore dei futuri sviluppi di un’aggregazione che, a differenza delle esperienze precedenti, sembra avere tutte le carte in regola per portare ai risultati sperati.



[1] Primo discorso del futuro presidente francese Sarkozy sull’Unione mediterranea del 7 febbraio 2007, in http://video.libero.it/app/play?id=0e3dd3c239710ceec07fe3a00751e0d6
[2] Il presidente francese Sarkozy ha proposto di unire i Paesi rivieraschi del Mediterraneo già nel corso della campagna elettorale presidenziale, ma è stato il discorso tenuto a Tangeri il 23 ottobre 2007, durante la visita in Marocco, che ha imposto il progetto all’attenzione, sia dell’Unione Europea, che degli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La proposta di Sarkozy voleva in origine creare una comunità aperta a tutti i Paesi del bacino del Mediterraneo (i Paesi dell’Europa del sud e i Paesi mediterranei dell’Africa del nord), ispirata al modello dell’Unione Europea, con l’obiettivo di dare vita a un nuovo organismo internazionale volto alla cooperazione tra le due sponde del Mare Nostrum.
[3] “Lofty but vague”, commenta K. BENNHOLD, nell’articolo Mediterranean Union Plan: lofty but vague, in International Herald Tribune, del 25 ottobre 2007,
[4] Non è certo la prima volta che l’esigenza di rivedere i meccanismi della coesione europea emerge in Francia, che tradizionalmente coltiva ambizioni sulla proiezione internazionale dell’Europa superiori a quelli degli altri Paesi dell’Europa del Sud. È però una novità la proposta di istituire una solidarietà intra-mediterranea, cioè fuori del contesto europeo, per affrontare questo problema. È invece interesse degli altri Paesi UE dell’Europa meridionale e, in generale, dei Paesi membri dell’UE che l’iniziativa francese resti ancorata al contesto europeo.
[5] Dichiarazione di Roma per l’Unione per il Mediterraneo di Francia, Italia e Spagna, del 20 Dicembre 2007 (cfr. http://www.governoitaliano.it/Presidente/Comunicati/testo_int.asp?d=37838).
[6] Dal 2004 la politica mediterranea dell’Unione europea ha un carattere dualistico: da una parte, la Politica europea di vicinato, a carattere bilaterale, che si occupa essenzialmente delle materie comprese nel secondo pilastro della Dichiarazione di Barcellona (le relazioni economiche), materie prevalentemente gestite dalla Commissione; dall’altra, il Partenariato Euro-Mediterraneo, a carattere collettivo, che rimane competente per le materie politiche e di sicurezza e le relazioni socio-culturali (primo e secondo pilastro), di cui si occupano prevalentemente i Governi.
[7] Infatti l’Unione, già da una quindicina d’anni, aveva rivolto la sua attenzione ad altre problematiche a causa della fine del sistema bipolare, della riunificazione della Germania e della preparazione per l’allargamento ad est.
[8] Il peso dei Paesi in via di sviluppo nel contesto regionale sud asiatico si attesta attorno al 23%, contro il solo 12% delle regioni Med. Quanto agli investimenti diretti destinati al Mediterraneo, questi superano appena l‟1% del totale degli IDE europei, contro il 17% degli IDE degli Stati Uniti destinati all’America centrale e latina e più del 20% degli IDE giapponesi diretti alla periferia asiatica. Cfr. P. BEKOUCHE, Comparer Euromed aux autres régions Nord-Sud, in Géoéconomie, n. 42, Paris, 2007
[9] I pochi scambi intrasettoriali testimoniano un basso livello d’integrazione economica.
[10] Infatti, il ritardo d’integrazione economica e produttiva tra l’UE e la sua periferia mediterranea si traduce in una perdita media per l’Unione stimata dagli economisti tra lo 0,4 e lo 0,6 in termini percentuali del PIL globale (cfr. P. BEKOUCHE, Comparer Euromed).
[11] J. L. GUIGOU, La reconnexion des Nord et des Sud: l‟émergence de la région méditerranéenne (ou la théorie des quartiers d‟orange), in Géoéconomie

[13] B. KHADER, L‟anneau des amis: la nouvelle politique européenne de Voisinage, in Géostratégiques, n. 17, Paris, été 2007
[14] Y. BADR EDDINE, Politique de voisinage: cimetière des illusions perdues, in Perspectives du Maghreb, n. 8, décembre 2006
[15] Alla Dimensione Nordica partecipano l‟UE, la Russia, l‟Islanda e la Norvegia. I vari organi in cui si articola questa forma di cooperazione regionale hanno invece composizioni differenti: Consiglio degli Stati del Mar Baltico: Commissione Europea, Finlandia, Russia, Germania, Norvegia, Danimarca, Lituania, Polonia, Estonia, Svezia, Lettonia, Islanda; Consiglio Euro-Artico di Barents: Russia, Norvegia, Svezia, Finlandia; Consiglio Artico: Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia, Islanda, Russia, Canada, Stati Uniti. La Dimensione Nordica si differenzia dall‟UM, prima di tutto, perché ha un basso profilo politico; in secondo luogo, perché fonda la sua autonomia su un programma che, essendo aggiuntivo e complementare rispetto a quelli dell‟UE, provvede da sé al suo finanziamento ed esecuzione. Va notato invece che, se in un primo momento l‟UM è sembrata voler fondare i suoi progetti su finanziamenti interamente o prevalentemente privati, nelle versioni più recenti è comparso un elenco di fonti convenzionali, a cominciare da quelle comunitarie, il che indica che l‟UM avrebbe in definitiva una scarsa autonomia
[16] P. LOROT, éditorial d‟un numéro spécial de la revue Géoéconomie, consacré à l‟Union méditerranéenne, Paris, Institut Choiseul, n. 42, 2007
[17] Come mai i dirigenti arabi hanno fatto defezione in occasione del Summit del decimo anniversario del Processo di Barcellona? Perché tali politiche non sono servite a ridurre lo scarto di ricchezza tra i partner, a stimolare delle vere riforme politiche? Perché la degradazione della situazione in Palestina ha contaminato il Processo di Barcellona, quando l‟Unione europea puntava, al contrario, sulle ricadute positive del Partenariato sul processo di pace israelo-palestinese? Perché la politica di vicinato è vista dai Paesi mediterranei come una semplice compensazione rispetto all‟adesione? Ed in che modo questa bilateralizzazione eccessiva su cui si fonda la PEV può contribuire ad una dinamica regionale produttiva? Cfr. B. KHADER, L‟Europe pour la Méditerranée
[18] L’Alto Funzionario italiano nel PEM, il Ministro Plenipotenziario al Ministero Esteri, Direzione Generale Mediterraneo e Medio Oriente, Cosimo Risi, ha notato che “Occorre riaprire il cantiere del restauro e del rinnovo [del PEM]. Se va in questa direzione, benvenuta sia l’‟idea di Unione mediterranea” (cfr. C. RISI, Il Partenariato euro-mediterraneo non realizza le sue ambizioni? E allora che fare? in Quaderni di Relazioni Internazionali, ISPI, n. 5, ottobre 2007).
[19] Infatti, Michel Rocard, ex Primo ministro e deputato europeo, ha rifiutato, come spiega in una dichiarazione fatta il 7 settembre 2007, la missione sull’Unione Mediterranea, che il Presidente Sarkozy intendeva affidargli, ritenendo che “questa missione rischiava di diventare un conflitto indomabile e che, in tutti i casi avrebbe paralizzato le istituzioni europee”. Questa reazione è indicativa delle riserve europee sulla proposta francese.
[20] Del resto, la Commissaria incaricata delle relazioni esterne, Benita Ferrero Waldner, ha convocato a questo scopo, il 3 settembre 2007, la prima riunione tra i ministri dei sedici Paesi coinvolti nella Politica di vicinato. Ad una domanda sull’Unione Mediterranea la Commissaria ha risposto che “tutti i progetti che entrano in tale dinamica e che possono essere supportati dall’Unione, sono i benvenuti” (cfr. l’intervista distribuita alla Conferenza di Malta, organizzata dal MEDAC, il 27-28 ottobre 2007). In un’altra dichiarazione la Commissaria sottolinea come sia favorevole “a tutto quello che può rinforzare la cooperazione [negli ambiti in cui opera l’Unione], anche se alcuni Stati sono più interessati di altri”, riferendosi in particolar modo alla “marcia” solitaria del presidente francese. Sul punto cfr. www.Europa.eu.int/relationsextérieures
[21] La situazione dell’Ucraina riguarda il rapporto che essa ha con la Russia. Quest’ultima, sebbene non si sia opposta ufficialmente all’indipendenza dell’Ucraina, non vuole che tale indipendenza abbia un riconoscimento internazionale. Infatti, mentre gli ucraini vorrebbero poter aderire all’Unione Europea e entrare a far parte dell’Alleanza Nord Atlantica, così da avere un riconoscimento internazionale della propria indipendenza, la Russia si oppone al fatto che la NATO arrivi fino alle sue soglie. Il problema è poi anche di ordine etnico, considerato che circa il 20% della popolazione ucraina è russa. Tale scontro danneggerebbe sicuramente la pace e la sicurezza mondiali.
[22] Le perplessità dell’Unione Europea sono state almeno in parte fugate dalla precisazione del ministro degli Esteri francese Kouchner e dell’ambasciatore Le Roy che il progetto di Unione Mediterranea non intende abolire il Processo di Barcellona, ma coesistere con esso e approfondirne il senso.
[23] I padri fondatori della Comunità Economica Europea, ovvero dell’odierna Unione Europea, sono il francese Jean Monnet, il franco-tedesco Robert Schuman, gli italiani Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi, il belga Paul-Henri Spaak, il tedesco Konrad Adenauer.
[24] L’idea dell’integrazione europea è nata per far sì che non si verificassero mai più i massacri e le distruzioni delle Guerre mondiali, in particolare della Seconda.
[25] In particolare l’Italia ha assoluto interesse a giocare un ruolo di primo piano in tale iniziativa politica, che può concorrere alla ridefinizione della questione del Mezzogiorno, offrendo una cornice nuova e promettente, lo sviluppo dell’intera area mediterranea, ad uno dei più drammatici problemi del nostro Paese.
[26] È evidente, infatti che l‟ intenzione generale di tale progetto è quella di bilanciare a Sud l’espansione verso Est che ha recentemente conosciuto l’Europa, e che ha certamente indebolito il ruolo della Francia, la quale si ritiene invece in grado di esercitare un ruolo autorevole nel Mediterraneo.
[27] Il Galileo Positioning System è un sistema satellitare globale di navigazione civile sviluppato in Europa come alternativa al Global Positioning System (NAVSTAR GPS), controllato dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.
[28] L'operazione Althea è sicuramente una dei più importanti interventi di tipo militare della UE; essa è stata intrapresa per continuare l’operazione di stabilizzazione della Bosnia Erzegovina.
[29] Tra i cinque Paesi del Mediterraneo occidentale che fanno parte dell’UMA (Unione del Maghreb Arabo) e i cinque Paesi dell’Europa mediterranea occidentale (Portogallo, Spagna, Francia, Italia e Malta).
[30] A. SIMSEK, Debate over Mediterranean Union Heats up in Europe, in Southern European Times, 13 agosto 2007
[31] Le Figaro, 16 luglio 2007.
[32] 185J.-C. CASANOVA, L‟Union méditerranéenne: un chemin juste et difficile, in ttp://info.club.Corsica.com/Casanova
[33] Italia, Francia e Spagna.
[34] A. VASCONCELOS, Une Union euro-méditerranéenne, in MED 2007, Barcellona, IEMED-Cidop, 2007
[35] Proposta del ministro degli Esteri portoghese Luis Amado.
[36] Proposta del ministro degli Affari esteri spagnolo Miguel Ángel Moratinos.
[37] P. BONIFACE, Le projet méditerranéen face au problème israélo-palestinien, in Réalités, 1-7 novembre 2007,
[38] INSTITUT DE LA MÈDITERRANÉE, Rapport du Groupe d‟experts réuni par l‟Institut de la Mèditerranée sur le projet d’Union Méditerranèenne, Marseille, octobre 2007; sul punto www.iemed.org/aindex.php
[39] http://www.assemblee-nationale.fr/13/rap-info/i0449.asp
[40] Nel discorso di Tolone del 7 febbraio 2007 il futuro presidente francese afferma, infatti, che l’Unione Mediterranea offrirà un ruolo importante alla Turchia che “non ha un suo ruolo nell’Unione europea perché non è un Paese europeo […]” ma “un grande Paese mediterraneo, con il quale l’Europa mediterranea può fare avanzare l’unità del Mediterraneo”.
[41] In particolare negli ambiti della formazione, dell’educazione, della cultura, o in quei settori che non sono sufficientemente trattati dall’UE, come le infrastrutture, l’ambiente, l’equilibrio sociale e territoriale e la gestione dell’acqua.
[42] Tale definizione è ripresa da quella data dal presidente francese, nel discorso tenuto a Tangeri, nel Palazzo Reale di Marshan, il 24 ottobre 2007.
[43] Una struttura intergovernativa che funzioni in co-decisione secondo una Carta che precisa i valori condivisi e gli obiettivi da raggiungere.
[44] Il G-Med, ricalca il format delle riunioni del G8 e dovrà riunire i rappresentanti dei Paesi che hanno risposto positivamente all’invito del Presidente Sarkozy. Anche degli Stati non rivieraschi del Mediterraneo saranno ammessi a partecipare a queste riunioni. Perciò il G-Med del giugno 2008 potrebbe consistere in due distinte riunioni, una con i soli Paesi rivieraschi del Mediterraneo e l’altra allargata agli Stati non rivieraschi, senza relegarli allo status di osservatori. In tal modo l’Unione mediterranea a geometria variabile sarà la somma di questi due insiemi. Una riunione del G-Med si terrà una volta l’anno, alternativamente al nord e al sud del Mediterraneo (http://www.assemblee-nationale.fr/13/rap-info/i0449.asp#P402_61654).
[45] Dichiarazione di Roma per l’Unione per il Mediterraneo di Francia, Italia e Spagna
[46] Rispettivamente il presidente francese, Sarkozy, il presidente del Consiglio italiano, Prodi, e il primo ministro spagnolo, Zapatero.
[47] Da un lato, il ministro degli Esteri spagnolo ha affermato “dobbiamo fare l’Unione per il Mediterraneo non l’Unione Mediterranea”, il che adombra l’obiettivo di elevare il profilo politico del PEM; dall’altro la formula “Barcelona Plus” usata da Madrid prefigura un programma di riforma e rinvigorimento del PEM. Per i francesi la soluzione sta per l’appunto nell’UM, che dovrebbe perseguire un’agenda più concentrata ed efficace di quella del PEM.
[48] I Paesi membri dell’Unione Europea che oggi si preoccupano del potenziale impatto negativo dell’UM sui rapporti all’interno dell’UE hanno ragione a mettere in opera strategie volte a evitare che l’iniziativa francese si riduca a un puro schema sub-regionale e ad assicurarne la complementarietà con le politiche dell’UE. Ma la Dichiarazione di Roma sembra sufficientemente chiara a tale riguardo: “L’Unione non intende sostituirsi alle procedure di cooperazione e dialogo in cui già sono associati i Paesi del Mediterraneo […]. Il Processo di Barcellona e la Politica Europea di Vicinato manterranno quindi la loro centralità in seno al partenariato tra l’Unione Europea ed i partner del Mediterraneo”. Tuttavia, i Paesi membri dell’Unione Europea dovrebbero anche rispondere alla legittima critica da cui in definitiva nasce l’UM: la frammentazione introdotta dalla PEV e la blanda conferenza diplomatica cui è ridotto il PEM sono una buona politica mediterranea?
[49] All’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, Sarkozy continua a dichiararsi contrario, sebbene subito dopo la proposta dell’Unione mediterranea è emerso chiaramente che esiste a tal proposito una certa dialettica interna in Francia; infatti il ministro degli Esteri, Kouchner, si è dichiarato assai meno ostile ad una piena adesione della Turchia, e dato che finora la Francia non ha mostrato un’effettiva volontà di bloccare il procedere dei negoziati di adesione (che è poi la cosa veramente essenziale), l’adesione della Turchia all’Unione Europea è comunque da configurare come la conclusione di un processo, e non un dato acquisito stabilmente sin da oggi. D’altro canto la Turchia non è disposta ad accettare surrogati ad una piena adesione alla UE ed inoltre tale adesione è in genere ben vista dai Paesi arabi, che, nel caso contrario, potrebbero trovare poco incoraggiante una preclusione così marcata nei confronti di un Paese islamico.
[50] http://register.consilium.europa.eu/pdf/it/08/st07/st07652-re01.it08.pdf
[51] La proposta si presenta come un compromesso tra l’ambizioso progetto francese e la visione di Roma e Madrid, più legata alla collaborazione con le istituzioni e i progetti già avviati dall’Unione europea, visione sostenuta anche dalla Germania che sottolinea il rischio che iniziative di cooperazione regionale senza tutti i Paesi membri dell’Unione europea potrebbero portare ad uno sfaldamento dell’Unione Europea nel suo nucleo centrale.
[52] Discorso del Presidente della Repubblica Francese sul tema dell’Unione del Mediterraneo, Palazzo Reale Marshan, Tangeri, martedì 23 ottobre 2007.
[53] Ma come può essere “europeizzata” l’UM, vale a dire resa complementare alla politica europea? La risposta più ovvia è che la si realizzi attraverso cooperazioni rafforzate nel quadro dell’UE (ovvero con procedure consistenti nel realizzare una più forte cooperazione tra alcuni Stati membri dell’Unione europea in determinati temi, come giustizia, difesa, gestione economica etc.; si tratta di procedure istituzionalizzate con il Trattato di Amsterdam e poi modificate dal Trattato di Nizza). Questo suggerimento viene da più parti, fra l’altro, anche dal Rapporto dell’Istituto del Mediterraneo di Marsiglia. Il fatto che l’iniziativa miri ad alcuni obiettivi specifici facilita l’applicazione del modello della cooperazione rafforzata, sia che questi obiettivi vengano scelti fra quelli che il PEM e la PEV non perseguono, sia che si punti ad attuare, con piani appositi, obiettivi che le politiche comunitarie perseguono solo con scarsa efficacia o che non interessano la generalità dei membri dell’UE. Al contrario, perseguire tali obiettivi attraverso una struttura politica basata sui capi di Stato e di Governo non sembra istituzionalmente compatibile con l’UE. Occorre anche aggiungere che, mentre il PEM consente di associare da subito i Paesi balcanico-adriatici - Paesi che un giorno potrebbero divenire membri, ma che intanto non lo sono - la cooperazione rafforzata è un meccanismo UE che non consente la diretta partecipazione di Paesi non membri. Dunque, ne resterebbe frustrata l’apparente intenzione del progetto francese di includere i Paesi del Mediterraneo del Sud. Un’altra via per assicurare la complementarietà dell’UM con l’UE potrebbe essere quella di trasformarlo in un consolidamento o rafforzamento dei due schemi sub-regionali oggi esistenti, il Gruppo dei 5+5 (cfr. nota 182) e il Forum euro-mediterraneo per il dialogo e la cooperazione (cui partecipano Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna, da parte europea, e Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Turchia, come Paesi non europei). I contorni di queste due formazioni sono più o meno ben definiti dal punto di vista sub-regionale (più nettamente il 5+5, meno il Forum), ma entrambe hanno una copertura mediterranea circoscritta in quanto escludono gran parte del Levante, o meglio le sue componenti più problematiche. Nelle prime formulazioni, specie durante la campagna per le elezioni presidenziali, l’UM sembrava, in effetti, un progetto essenzialmente rivolto al Maghreb e volto a evitare che, come accaduto al PEM, gli sforzi di cooperazione s’infrangessero sullo scoglio, rivelatosi insuperabile, del conflitto arabo-israeliano. Le formulazioni più recenti sembrano invece riferirsi all’insieme del bacino mediterraneo e, quindi, includere il Levante. Ovviamente, se la volontà è di includere l’insieme del Mediterraneo, la trasformazione del 5+5 o del Forum o di entrambi nell’UM non sarebbe fattibile. Ad ogni modo, mentre oggi nessun Paese dell’Europa del nord ha in mente di diventare membro dei 5+5 o del Forum, se queste formazioni si traducessero in un’UM ad alto profilo politico, i Paesi del nord Europa potrebbero cambiare idea e, se fosse loro offerto solo lo status di osservatori, il carattere alternativo dell’UM alla sfera euro-mediterranea tornerebbe ad emergere. La risposta francese può anche essere una ricetta efficace per far uscire la politica mediterranea dall’indubbia crisi in cui si trova, ma occorre tenere ben presenti e dare soluzione adeguata ai due problemi politici che essa solleva. Da una parte, c’è la necessità di svilupparla in modo da renderla complementare con la politica mediterranea dell’UE. Dall’altra, occorre tener presente il fatto che l’iniziativa dell’UM deriva dall’allargamento. Tecnicamente, ha a che fare col Mediterraneo ma, politicamente, riguarda l’Unione Europea e il suo destino. Che la si veda da una prospettiva o dall’altra, è vitale che sia preservata la coesione interna dell’UE in quanto bene pubblico europeo.
[54] Cfr. COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITIES, Communication from the Commission to the Council and the European Parliament. Barcelona Process: Union for the Mediterranean, COM (2008) 319/4, del 20 maggio 2008.
[55] Il Trattato di Lisbona (noto anche come Trattato di riforma) è, però, entrato ufficialmente in vigore il 1° dicembre 2009, undici mesi dopo dalla data inizialmente prevista (il 1° gennaio 2009). L’intesa è arrivata dopo due anni di “periodo di riflessione” ed è stata preceduta dalla Dichiarazione di Berlino del 25 marzo 2007, in occasione dei 50 anni dell’Europa unita. La presidenza francese per la parte europea, che sarebbe dovuta rimanere fino all’inizio di dicembre del 2009, permane tutt’ora: infatti presidenti congiunti dell’Unione per il Mediterraneo sono ancora Nicolas Sarkozy (Francia) e Hosni Mubarak (Egitto).
[56] C‟è da chiedersi cioè se non ci sia il rischio di quello che Hervé de Charette chiama “aggrovigliamento delle procedure”. Cfr. H. DE CHARETTE, Union pour la Méditerranée: le Sud doit se faire entendre, in Arabies, Giugno 2008
[57] Tale la proposta italo-spagnola di creazione di un’agenzia per le piccole e medie imprese e per le piccole e medie industrie in modo da aiutarle ad investire sulle coste meridionali.
[58] Come le questioni dell‟acqua, della sicurezza, dell‟approvvigionamento energetico, del trasporto terrestre, della formazione professionale e degli scambi universitari.
[59] La Croix, 22 maggio 2008 (cfr. http://www.la-croix.com/archives/).
[60] http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&reference=P6-TA-2007- 0538&language=IT
[61] E. SOLERI LECHA, Barcelone Process: Union for the Mediterranean, documento di lavoro n. 28, Barcellona, Cidop, 2008
[62] Riunito a Tripoli il 9 giugno 2008, per trattare la questione dell‟Unione Mediterranea.
[63] Citato da Le Figaro, 10 giugno 2008, e da El Pays: El magreb da la espalda a Sarkozy, 12 giugno 2008.
[64] La Conferenza di Annapolis è stata una conferenza di pace per il Medio Oriente tenutasi il 27 novembre 2007, presso la United States Naval Academy di Annapolis negli Stati Uniti. La conferenza ha espresso per la prima volta una soluzione tra i due Stati per risolvere di comune accordo il conflitto israelo-palestinese. Essa si è conclusa con il rilascio di una dichiarazione congiunta di tutte le parti (vi hanno infatti partecipato 50 delegazioni, compresi i siriani ed i sauditi). Tuttavia, gli avvenimenti successivi hanno dimostrato l’evanescenza di tale progetto. http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/esteri/medio-oriente-37/nessun-accordo/nessun-accordo.html
[65] Le Nouvel Observateur, 7 giugno 2008 (http://tempsreel.nouvelobs.com/debats/politique/).
[66] Maggio 1948-maggio 2008.
[67] Riunita il 16 giugno del 2008.
[68] M. CHAFIQ MESBAH, UPM, utopie ou réalité: un point de vue algérien, in Défense Nationale et Sécurité Collective: Union pour la Méditerranée, Paris, Cerem, 2008,
[69] Al di là dei punti oscuri, resta il fatto che il progetto francese è importante, ed è certamente destinato ad avere sviluppi. Nel 2008, dopo la Slovenia, la Francia avrà la Presidenza del Consiglio Europeo, ed in quel contesto sarà convocata a Marsiglia una nuova riunione dei Ministri degli Esteri euro-mediterranei, nell’ambito della quale la Francia cercherà sicuramente di dare alla propria politica mediterranea una definizione più precisa
[70] In realtà la Dichiarazione è stata adottata anche con la partecipazione di osservatori dell’ONU, dell’Assemblea parlamentare euro-mediterraea (APEM), del Consiglio di cooperazione degli Stati arabi del golfo (CCG), della Lega degli Stati arabi, dell’Unione Africana, dell’Unione del Maghreb arabo (UMA), dell’Organizzazione della Conferenza islamica, della Banca africana di sviluppo, della Banca europea per gli investimenti, della Banca Mondiale, dell’Alleanza delle civilizzazioni e della Fondazione euro-mediterranea Anna Lindt per il dialogo delle culture.
[71] Albania e Mauritania sono entrate nel PEM nel primo semestre del 2008, appena poco prima che al PEM si sostituisse l’UPM, testimoniando una tendenza all’ampliamento verso il Mediterraneo indipendente dall’iniziativa francese, esclusivamente mediterranea, che si è poi trasformata nell’iniziativa europea dell’UPM.
[72] La configurazione geopolitica dell’UPM è dunque sostanzialmente diversa da quella del PEM. Lo spazio geopolitico euro-mediterraneo, prevalso fino al vertice di Parigi del luglio 2008, rifletteva alcune scelte politiche di fondo: innanzitutto, un rapporto prioritario dei Paesi dell’UE con i Paesi arabi del Mediterraneo piuttosto che con l’insieme dei Paesi arabi; conseguentemente, si è scelto di includere sia arabi che israeliani, scommettendo su una risoluzione del conflitto israelo-palestinese e arabo-israeliano, grazie anche al ruolo che l’UE avrebbe potuto svolgere come fattore di pace e sviluppo a lungo termine. Il PEM ha perciò rappresentato il canale della politica europea nei confronti del conflitto arabo-israeliano e dell’area orientale ad esso più immediatamente interessata, il Nord Africa e il Vicino Oriente, ma anche del più vasto Medio Oriente e del mondo arabo-musulmano.
[73] Sebbene l’accordo sull’implementazione di quest’ultima sia stato in parte rinviato alla successiva Conferenza dei ministri degli Esteri euro-mediterranei
[74] A livello internazionale i diritti umani e le libertà fondamentali trovano riconoscimento nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata nel 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ma già nel preambolo dello statuto si trovava un esplicito richiamo alla salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali). Mentre la Dichiarazione aveva efficacia meramente propositiva, con il Patto sui diritti civili e politici e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali, entrambi del 1966, gli Stati parti delle Nazioni Unite decidono di vincolarsi a livello pattizio per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Nel sistema dell’Unione Europea i diritti umani hanno assunto un rilievo crescente. Con il Trattato di Amsterdam del 1997 essi sono stati posti a fondamento dell’Unione (tramite la modifica dell’articolo 6 del Trattato di Maastricht). La Carta dei diritti fondamentali dell’UE, sottoscritta a Nizza nel dicembre 2000, pur non avendo formale valenza giuridica, è un ulteriore, significativo passo in avanti. Essa riconosce i principi delle Nazioni Unite, ivi compresi i Patti, nonché i diritti contemplati nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Col Trattato di Lisbona la Carta diviene un vero e proprio catalogo dei diritti e delle garanzie vincolanti del diritto comunitario (il testo dell’articolo 6 viene infatti modificato dal Trattato di Lisbona: [“Articolo6 - 1. L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta -delle Nazioni Unite- che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni. 2. L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati. 3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”]). Con essa l’Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche. I diritti in essa riconosciuti sono validi e cogenti erga omnes, laddove con il Trattato di Maastricht quei principi erano stati richiamati con mero valore programmatico nei confronti dei soli Stati membri. Tuttavia già negli anni novanta, l’UE aveva inserito la clausola del rispetto dei diritti umani nei trattati coi Paesi terzi, allo scopo di condizionarne l’applicazione al rispetto dei diritti umani e dei principi democratici da parte dei contraenti, con una evoluzione tale che lascia sperare una più efficace azione di condizionamento anche su quei Paesi dove i diritti umani vengono ancora oggi disconosciuti.
[75] Adottato dall‟Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). http://www.osce.org/publications/sg/2007/04/24112_835_it.pdf
[76] Tale precisazione è stata necessaria in quanto il primo approccio europeo, nel rapporto con i Paesi partner mediterranei riguardo la lotta al terrorismo, faceva riferimento ad un fenomeno “legato a un estremismo violento di matrice religiosa” (cfr. J. SOLANA, Un’Europa sicura, cit., p. 3) e “perpetrato da Al Qaeda e da estremisti che si ispirano a questa organizzazione” (cfr. COUNCIL OF THE EUROPEAN UNION, The European Union Strategy for Combating Radicalisation and Recruitment to Terrorism, doc. 14781/1/05, 24 novembre 2005, p. 2 ;e CONSEIL DE L‟UNION EUROPÉENNE, Note de la présidence et du coordinateur de la lutte contre le terrorisme au Coreper. Stratégie de l‟Union européenne visant à lutter contre le terrorisme. Bruxelles, 14469/1/05, 22 novembre 2005). Già dalla Politica di Vicinato l‟accento circa le “sfide alla sicurezza” viene posto sulla necessità di “ sviluppare un lessico non emotivo, per dibattere tali questioni senza che si venga a creare un collegamento tra Islam e terrorismo” (cfr. COUNCIL OF THE EUROPEAN UNION, The European Union Strategy, cit.,).
[77] Tutti i progetti saranno a geometria variabile, gestiti dai soli Paesi interessati a prendervi parte. Per tutti i progetti rimane dunque aperta la questione finanziaria: il loro buon esito dipenderà dalla capacità di promuovere e combinare finanziamenti di diversa provenienza visto che non sono previsti nuovi finanziamenti comunitari specificamente destinati al Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo. Si tratterà di predisporre per ogni progetto (in genere attraverso una Conferenza di lancio) un mix di risorse finanziarie: dagli aiuti bilaterali ai crediti delle banche di sviluppo internazionali e regionali, al contributo dei fondi sovrani dei Paesi del Golfo (l’emiro del Qatar ha partecipato al Vertice di Parigi in quanto presidente di turno del Consiglio di cooperazione del Golfo), ai fondi comunitari (se i progetti saranno eleggibili ai programmi già decisi da Bruxelles) e agli investimenti privati.
[78] Parte Seconda- Capitolo Primo “Analisi della Comunicazione della Commissione Europea sul Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”.
[79] Che si è tenuta il 3-4 novembre 2008 a Marsiglia
[80] http://www.repubblica.it/online/mondo/terriquarantacinque/scheda/scheda.html
[81] http://archiviostorico.corriere.it/2007/marzo/29/vertice_arabo_Riad_approva_piano_co_9_070329034.shtml
[82] Parte Seconda- Capitolo Primo “La Dichiarazione di Roma e l‟Unione per il Mediterraneo”.
[83] H. GUAINO, cité par Libération, 12 juillet 2008
[84] R. ALIBONI, Union for the Mediterranean: building on the Barcelona acquis, ISS, Paris, 2008
[85] Nader Dahabi
[86] C’è da chiedersi se tale assenza sia legata a dispute intermaghrebine o alla presenza del presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, per la questione del Sahara Occidentale (questione rimasta irrisolta dagli anni „70, quando si levò un’ondata di ribellione contro il tentativo, da parte del Marocco, di annettere il territorio in seguito al ritiro della Spagna. Il Marocco ha da allora saputo mantenere il controllo con la forza delle armi, ma il Fronte Polisario, che aveva trovato rifugio in Algeria, rimane comunque una forza con cui il confronto è obbligato. Da allora, il Parlamento Europeo ha adottato numerose risoluzioni o dichiarazioni aventi più o meno lo stesso contenuto, ma non sempre facendo riferimento esplicito al diritto di autodeterminazione del popolo Saharawi -vedi ad esempio la risoluzione P6_TA-2005-0414). Ma non ci sono elementi che permettano di confermare l’una o l’altra ipotesi.
[87] N. NOUGAYRÈDE et G. PARIS, Le pari proche-oriental de la France, in Le Monde, 2008
[88] R. GILLESPIE, A “Union for the Mediterranean” or for the EU?, in Mediterranean politics 2008, 2008
[89] La Polonia è concentrata sull’Ucraina, i Paesi baltici sulla vicina Russia, i bulgari e i romeni sul Mar Nero e il Caucaso. Invece la Slovenia, che ha da poco concluso la presidenza del Consiglio europeo (gennaio-giugno 2008), si mostra più interessata essendo stata scelta come sede per una “Università euro-mediterranea”.
[90] A. BENSSAD, Pour les Européens s‟agit-il de s‟ouvrir au Sud ou de le contenir?, in Le Monde, 2008.
[91] Il testo della lettera è stato redatto da AKRAM BELKAID e ERIK ORSENNA e firmato da una ventina di personalità (fra cui Romano Prodi, ex Presidente della Commissione, Chris Patten, ex commissario e Fathallah Oualalou, ex ministro marocchino) in Le Monde, 11 luglio 2008.
[92] Rapporteur: P. NAPOLETANO, Projet de Rapport sur les relations entre l‟Union européenne et les pays éditterranéens (2008/2231[INI]). http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-/EP//NONSGML+COMPARL+PE-412.142+01+DOC+PDF+V0//FR&language=FR
[93] F. RIZZI, Un mare di conflitti: i presupposti di una politica europea del Mediterraneo, in Bullettin européen 2007
[94] D. BECHEV e N. KALYPSO, The Union for the Mediterranean: a genuine breakthrough or more the same?, in The International Spectator, 2008
[95] UNITED NATIONS and THE ARAB LEAGUE, The millennium development goals in the Arab Region 2007: a youth lens, Beyruth, ESCWA, 2007
[96] L’approccio è infatti prevalentemente di tipo funzionalista con l‟obiettivo di costituire un polo economico e socio-culturale, in grado di fare concorrenza al gigante asiatico (grazie a partenariati concreti che coinvolgano anche fondi privati) con l‟auspicio che l‟Europa riuscirà a far sì che i capitali del Golfo finiscano nel Mediterraneo, piuttosto che emigrare altrove (Usa, Giappone, etc.).
[97] B. KHADER, L‟Europe pour la Méditerranée,
[98] 266http://www.eu2008.fr/PFUE/lang/it/accueil/PFUE-11_2008/PFUE-03.11.2008/Euromed_affaires_etrangeres.html
[99] Déclaration Finale, Marseille, 3-4 novembre 2008 in http://www.eu2008.fr/webdav/site/PFUE/shared/import/1103_ministerielle_Euromed/Declaration_finale_Union_mediterranee_FR.pdf
[100] La Conferenza di Madrid è stata ospitata dal governo della Spagna e co-sponsorizzato da Stati Uniti e dall‟URSS. È stata convocata il 30 ottobre 1991 ed è durata per tre giorni. Si è trattato di un tentativo da parte della comunità internazionale di avviare un processo di pace attraverso negoziati riguardanti Israele e i palestinesi, nonché Paesi arabi come la Siria, il Libano e la Giordania.
[101] R. BALFOUR, The transformation of the Union of the Mediterranean, in Mediterranean politics 2009
[102] I partecipanti hanno convenuto di organizzare un vertice ogni due anni, alternativamente nell‟Unione europea e in uno dei Paesi partner.
[103] Con Mirek Topolánek (gennaio-maggio 2009) e con Jan Fischer (maggio-giugno 2009) sempre per la Repubblica Ceca.
[104] Ma dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009, il nuovo presidente rimarrà in carica per due anni e mezzo. La nuova figura sostituirà l’attuale sistema della presidenza di turno, secondo il quale gli Stati membri presiedono ciascuno l’UE per sei mesi, così da dare maggiore stabilità alla presidenza. Il primo Presidente del Consiglio europeo, a partire dal 1º dicembre 2009, che inaugura il nuovo sistema è il belga Herman Van Rompuy.
[105] Tali figure erano già presenti nel Processo di Barcellona. Anzi, l’integrazione più rilevante di elementi intergovernativi si è avuta nel PEM, proprio con la conferenza degli Alti Funzionari incaricati di portare avanti un “dialogo politico” e di animare il primo pilastro della Dichiarazione di Barcellona (l’edificazione di un’area di pace e sicurezza). Malgrado gli Alti funzionari costituissero una presenza importante, il PEM nel suo insieme è stato però una politica dell’UE coordinata dalla Presidenza UE di turno e dal segretariato della Commissione. L‟UPM non fa che rinazionalizzare in via formale il dialogo politico degli Alti Funzionari, che di fatto avevano perso il loro orientamento multilaterale e comunitario.
[106] Sulle funzioni del Segretariato inizialmente c’è un conflitto di attribuzioni, in particolare con la Commissione Europea (fino ad oggi l’unica a gestire concretamente il Processo di Barcellona). È probabile che in definitiva la Commissione europea (che era il Segretariato del processo di Barcellona) resterà il Segretariato del processo precedente; e le vecchie strutture continueranno ad occuparsi delle materie di competenza del Partenariato Euro-Mediterraneo. Invece, delle nuove attività (i grandi progetti comuni, trasversali e regionali, nel campo dell’ambiente, dell’energia, dei trasporti e dell’istruzione, etc.) si occuperà il Segretariato congiunto dell’Unione per il Mediterraneo.
[107] L’UPM potrà finanziare i suoi progetti attraverso diverse fonti, dalla partecipazione del settore privato al prelievo dal budget europeo, dal contributo dei partner o di Paesi terzi o dalla Banca europea di investimento.
[108] In quanto era stato deciso che la nazionalità del Segretario generale si sarebbe decisa in base alla scelta fatta riguardo alla sede del Segretariato congiunto permanente (del nord se la sede fosse stata scelta in un Paese del sud e viceversa); tra le possibili sedi erano in lizza Barcellona, Malta, Marsiglia, Rabat e Tunisi. Dato che è stata scelta Barcellona come sede del segretariato, la nazionalità del Segretario sarà di uno dei Paesi del sud.
[109] Anche la Dichiarazione di Parigi, si raccomandava di rafforzare il ruolo dell’Assemblea parlamentare euromediterranea (APEM). Tale concetto verrà ribadito nel Progetto di parere della commissione per gli affari costituzionali destinato alla commissione per gli Affari esteri sulle relazioni fra l’Unione europea e i Paesi mediterranei (2008/2231[INI]) Relatore: Í. MÉNDEZ DE VIGO, del 15 settembre 2008. (Sul punto cfr. http://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2004_2009/documents/pa/742/742155/742155it.pdf). È previsto che l’APEM si riunirà il 13 e il 14 marzo prossimi ad Amman, in Giordania, per discutere del processo di pace mediorientale. In questo senso se la sua posizione verrà rinforzata nell’ambito dell’UPM, la sua azione potrà di certo essere più incisiva.
[110] La prima riunione ufficiale dell’Assemblea regionale e locale euro-mediterranea (ARLEM) di fatto si terrà il 21 gennaio 2010 a Barcellona
[111] N. JAZRA BANDARRA, Quelle Union pour la Méditerranée?, in Revue du Marché commun et de l‟Union européenne 2008, n. 519, giugno 2008
[112] http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/09/1113&amp;format=HTML
[113] Istituito dal Consiglio dell‟Unione Europea nel 2001 (Decisione 792 del 23 ottobre) e aggiornato nel 2007 (Decisione 779 dell’8 novembre), cfr. http://www.protezionecivile.it/cms/view.php?cms_pk=14180&dir_pk=395#mic
[114] Nel periodo 2009-2013 l’Unione europea aumenterà il suo sostegno agli studenti e ai professori migliori provenienti da Paesi terzi, offrendo loro borse di studio per partecipare a programmi congiunti in Europa. Inoltre, l’Unione europea estenderà Erasmus Mundus agli studi di dottorato e fornirà un maggiore aiuto finanziario agli studenti europei. Il bilancio previsto per il programma Erasmus Mundus nel periodo 2009-2013 ammonta, orientativamente, a 950 milioni di euro, un aumento considerevole rispetto allo stanziamento globale destinato ai partenariati nell’ambito di Erasmus Mundus e delle finestre di cooperazione esterna Erasmus Mundus per il periodo 2004-2008.
[115] Dato che diversi Stati membri della Unione europea hanno espresso il timore che l’uso del termine Agenzia facesse pensare ad un futuro finanziamento comunitario, la Dichiarazione del Vertice definisce il progetto “Iniziativa per lo sviluppo imprenditoriale nel Mediterraneo” e sottolinea che i contributi dei Governi avverranno su base volontaria.
[116] A questo proposito la Dichirazione di Marsiglia dice:“the Heads of State and Government agreed to build on and reinforce the successful elements of the Barcelona Process by upgrading their relations, incorporating more co-ownership in their multilateral cooperation framework and delivering concrete benefits for the citizens of the region”.
[117] Il Rapporto Reiffers già da molto tempo ha sottolineato questo punto: “... il ne s‟agit pas d‟une action de substitution, mais [...] au contraire l‟action engagée [dall‟UE nell‟EMP] doit être poursuivie et approfondie” , cfr. INSTITUT DE LA MÉDITERRANÉE, Rapport du Groupe d‟experts réuni par l‟Institut de la Méditerranée sur le projet d‟Union Méditerranéenne, Marseilles, octobre 2007
[118] H. DE CHARETTE, Nicolas Sarkozy et la politique étrangère de la France: entre changement et continuité, in La revue internazionale et stratégique 2008, n. 70, estate 2008
[119] INSTITUT DE LA MÉDITERRANÉE, Rapport du Groupe d‟experts réuni par l’Institut de la Méditerranée sur le projet d’Union Méditerranéenne
[120] 290Cfr. Serge Telle est nommé directeur adjoint du cabinet de Bernard Kouchner, ministre des Affaires étrangères, dirigé par PHILIPPE ETIENNE, in Les Echos, 12 luglio 2007, in http://archives.lesechos.fr/archives/2007/lesechos.fr/07/12/300186980.htm
[121] http://it.euronews.net/2008/07/12/intervista-a-amr-moussa-segretario-della-lega-araba/
[122] Nella persona di André Azoulay
[123] Sino ad oggi, il Dialogo Mediterraneo della NATO è stato innanzitutto politico, utilizzato per promuovere una maggiore comprensione delle politiche e delle attività della NATO nei Paesi del Dialogo, mentre simultaneamente si valutavano le loro esigenze di sicurezza. Di conseguenza, lo scambio di informazioni ha costituito l’elemento centrale del Dialogo mediante il Gruppo per la cooperazione nel Mediterraneo, un foro creato nel Vertice di Madrid dall’Alleanza Nord Atlantica (1997). Tramite questo, gli alleati intrattengono regolari discussioni politiche con ciascun singolo partner del Dialogo, la cosiddetta composizione a 19+1, o con tutti e sette i paesi del Dialogo (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia) la cosiddetta composizione a 19+7.
[124] Tuttavia, a seguito della guerra a Gaza è riemersa la contrapposizione fra i membri arabi dell’UPM e Israele che impedisce in questo momento all’organizzazione di avviare concretamente la propria attività
[125] C. SAINT-PROT ed Z. EL TIBI, Quelle Union pour quelle Méditerranée?, Observatoire d‟études géopolitiques (OEG), Paris, 2008
[126] http://www.euromed-capital.com/spip.php?rubrique124
[127] La migrazione incontrollata costituisce un problema non solo per i Paesi di accoglienza (perché indipendentemente dalle politiche più o meno restrittive nei confronti di tali flussi si pongono problemi di accoglienza e di integrazione), ma anche per i Paesi d’origine, in termini di depauperamento di risorse umane
[128] D. SCHMID, La Turquie et l’Union pour la Méditerranée: un partenariat calculé, in Politique étrangère, 2008
[129] D. BECHEV e N. KALYPSO, The Union for the Mediterranean
[130] Basti pensare a come il dialogo euro-arabo è stato messo in cantiere e oramai, da un certo tempo, dimenticato
[131] D. BILLION, L‟Union pour la Méditerranée: une opportunità pour renforcer la coopération entre les rives de la Méditerranée. Entretien avec Alain Le Roy, in La revue internazionale et stratégique 2008, n. 70, estate 2008
[132] L’operazione Piombo fuso è stata una campagna militare lanciata dalle Forze armate israeliane. L’operazione militare si è protratta dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009. Obiettivo dichiarato dell’intervento israeliano è stato quello di neutralizzare Hamas che, a partire dal 2001, ha bersagliato i centri urbani nel sud di Israele, costretto a un ritmo di vita scandito da sirene di allarme e corse nei rifugi sotterranei (obbligatori per legge). Da parte israeliana l’azione militare è descritta anche come una risposta all’intensificarsi del lancio di razzi da parte di Hamas contro obiettivi civili, non appena scaduta la tregua di sei mesi, ottenuta il 19 giugno 2008 dopo un lungo lavoro di mediazione da parte dell’Egitto. Da parte palestinese, per altro, il lancio di razzi contro il territorio israeliano è stato motivato dalla violazioni della tregua di parte israeliana, violazioni che nel periodo della tregua hanno portato all’uccisione di 19 palestinesi, la maggior parte dei quali durante gli attacchi aerei israeliani dell’inizio di novembre.
[133] Con Fredrik Reinfeldt (luglio-dicembre 2009).
[134] Ministro dell‟Economia, dell‟Industria e dell‟Impiego francese
[135] Ministro delle Finanze egiziano.
[136] José Luis Rodríguez Zapatero (gennaio-giugno 2010).
[137] E. BARBÉ IZUEL, La Unión por el Mediterráneo de la europeización de la política exterior a la descomunitarización de la política mediterránea, in Revista de Derecho Comunitario Europeo 2009, v. 13, n. 32, gennaio/aprile 2009
[138] D.BECHEV e N. KALYPSO, The Union for the Mediterranean
[139] L’Assemblea parlamentare Euro-Mediterranea (APEM) “ha espresso preoccupazione per il rinvio della Conferenza dei Ministri degli Esteri, programmata per il 24 e 25 novembre 2009 a Istanbul, e ha raccomandato di produrre il massimo impegno affinché si ricreino le condizioni politiche e diplomatiche per la piena ripresa delle attività da parte del ramo esecutivo dell’Unione per il Mediterraneo (UPM) a livello di Conferenza EuroMed dei Ministri degli Esteri”, cfr. Dichiarazione dell’Ufficio di Presidenza sull’Unione per il Mediterraneo dell’APEM, il Cairo, 20 novembre 2009.
[140] Dal Ministro Cosimo Risi (Consigliere diplomatico del Presidente della Regione Campania Antonio Bassolino) e dal vice Presidente della Regione Campania Antonio Valiante.
[141] Il 20 novembre scorso il Sottosegretario Craxi è stata a Tunisi per presenziare alla cerimonia per il 25º anniversario del passaggio del gasdotto Transmed in Tunisia. La questione della sicurezza energetica riveste un’importanza prioritaria nell’agenda delle nostre relazioni con i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente, anche nell’ambito del rilancio del processo euro-mediterraneo avvenuto grazie all’iniziativa dell’Unione per il Mediterraneo
[142] Tale concetto è stato affrontato al Meeting delle Città del Mediterraneo, tenutosi a Reggio Calabria il 20 ottobre 2009 (a cui il sottosegretario aveva partecipato), dai sindaci delle città costiere del Mediterraneo che avevano accettato l’invito dell’Alto Rappresentante del Segretario Generale dell’ONU per l’Alleanza delle Civiltà, Jorge Sampaio. In tale occasione i sindaci hanno accolto l’invito a sviluppare una serie di azioni di City Diplomacy finalizzate a costruire una rete euro-mediterranea di città interculturali. Tali proposte verranno incluse nella strategia regionale dell’Alliance of Cities per i Paesi euro-mediterranei che sarà approvata nella primavera del 2010 nel corso di una conferenza ospitata dal Governo egiziano.
[143] http://www.bjcem.org/
[144] Rosa Balfour, analista politico dell‟European Policy Centre di Bruxelles
[145] Lofti Boumghar, segretario generale dell‟INESG, Institut National pour les Etudes de Stratégie Globale di Algeri. Nel suo intervento ha poi lanciato una proposta di un partenariato più limitato, una Alliance de la Méditerrané Occidentale che preserverebbe il partenariato dai problemi politici e diplomatici legati alla questione palestinese.
[146] Francesca Maria Corrao, docente di Lingua e Letteratura araba dell‟Università degli Studi di Napoli L‟Orientale.
[147] Ahmed Driss, direttore del Centre d‟Etudes Méditerranéennes Internationales di Tunisi ha concluso proponendo un‟ipotesi di partenariato che ricorda quella dell‟algerino Boumghar e cioè di una Alleanza del Mediterraneo Occidentale sul modello del gruppo “5+5” con l‟inclusione dell‟Egitto. Questo riferimento riecheggia la proposta di Bichara Khader di costituire all‟interno dell‟UPM un partenariato più ristretto, un Partenariato regionale privilegiato (PRP), comprendente gli otto Paesi rivieraschi dell‟UE (Spagna, Francia, Italia, Grecia, Cipro, Malta, Portogallo e Slovenia, nonché la Turchia come Paese candidato all‟adesione, e il Principato di Monaco) e i cinque Paesi dell‟Unione del Maghreb Arabo più l‟Egitto. Sul punto cfr. B. KHADER, L‟Europe pour la Méditerranée
[148] Piero Pennetta, professore di Organizzazione Internazionale dell‟Università degli Studi di Salerno
[149] Dott.ssa Anna Maria Catte, direttore dell‟Ufficio dell‟autorità di gestione comune del programma operativo ENPI CBC - Bacino del Mediterraneo di Cagliari.
[150] Talbot, La crisi dell’UpM e il futuro della cooperazione Euro-mediterranea, in “ISPI commentary”, 2010
[151] Le secrétaire général de l'Union pour la Méditerranée démissionne, 26 gennaio 2001
[152] www.ansamed.info/it/news/MI01.XAM09303.html
[153] Di fatto però la riunione in agenda per il 9 febbraio scorso a Bruxelles non ha avuto il via libera degli Alti funzionari dell‟Unione per il Mediterraneo. La riunione, che deve decidere sullo statuto del Segretariato, spiegano fonti diplomatiche, slitta alla prossima riunione degli Alti funzionari, prevista a marzo a Barcellona, in cui, lo statuto verrà approvato con procedura scritta dai ministri degli Esteri dei quarantatre Paesi dell'Unione. Ad oggi, rimane in sospeso la questione dei vicesegretari e dei portafogli da assegnare, che andrà risolta prima dell‟appuntamento di Barcellona. Tra un mese, nella città catalana gli alti funzionari avranno quindi il compito di approvare formalmente lo statuto, oltre che di determinare alcuni aspetti del funzionamento interno del segretariato, come organigramma, procedure e budget. Incerti rimangono i tempi della nomina dei vicesegretari, che spetta formalmente al segretario generale
[154] http://www.ansamed.info/it/top/MI11.XAM19071.html
[155] Dopo il pranzo con i monarchi spagnoli e i principi delle Asturie, nella residenza reale della Zarzuela.
[156] http://www.ansamed.info/it/top/MI11.XAM17542.html
[157] Il premier spagnolo ha sottolineato la leadership mondiale delle imprese iberiche in settori come le energie rinnovabili e i trasporti, i cui progetti possono usufruire dei finanziamenti alle concessioni spagnole.
[158] A cui hanno partecipato oltre settanta rappresentanti eletti regionali e locali, provenienti da trenta Paesi delle tre rive del Mediterraneo.
[159] L‟Assemblea che riunisce i rappresentanti regionali e locali europei
[160] http://www.agrigentoweb.it/mediterraneo-riconosciuto-a-regioni-e-autonomie-locali-ruolo-chiave_37451/
[161] Alla quale oltre a Van den Brande hanno partecipato Ángel Lossada Torres-Quevedo e Hamdi Sanad Loza, rispettivamente segretari di Stato spagnolo ed egiziano, e il presidente della Catalogna José Montilla.
[162] Ai lavori dell‟ARLEM ha preso parte una delegazione del Coppem (Comitato Permanente per il Partenariato Euro-Mediterraneo delle Autorità locali e delle Regioni) formata dal vice Presidente della Regione siciliana, Michele Cimino, dal Segretario generale; Carmelo Motta, e dal responsabile progetti, Michele Raimondi.