Capitolo
4. Unione per il Mediterraneo (UM)
1. Circostanze Storiche
L’idea del presidente francese
Nicolas Sarkozy di riproporre l’Unione Mediterranea (UM), espressa durante la
campagna elettorale presidenziale in un discorso pronunciato a Tolone[1], riespone il dibattito
sulla centralità del Mediterraneo nella geopolitica della Francia e dell’Unione
europea[2].
Tale pensiero è inizialmente vago,
ma ambizioso[3],
considerato il fatto che il dialogo euro-mediterraneo immaginato dodici anni
prima col Processo di Barcellona non ha raggiunto i suoi obiettivi[4], ne conquistato traguardi
significativi. Dopo l’Appel de Rome[5], del dicembre 2007,
l’Unione Mediterranea è diventata Unione per il Mediterraneo, soprannominata
poi, dal Consiglio europeo del 13-14 marzo 2008, Processo di Barcellona: Unione
per il Mediterraneo. Quest’ultima qualificazione, che potrebbe sembrare una
semplice, quasi banale, trasposizione semantica, in realtà comprende dentro di
sé le motivazioni e riflessioni che hanno condotto ad essa.
L’insorgenza dell’idea dell’Unione
Mediterranea trova forza ed input nell’aggravarsi della marginalizzazione del
Mediterraneo, inteso qui come area strettamente geografica, nell’economia
mondiale, testimoniata dal fatto che la sua funzione è diventata periferica per
la riduzione del contributo dato agli scambi mondiali da parte dei Paesi del
sud e dell’est del bacino. Anche la diminuzione dei flussi degli investimenti,
la carenza del deposito di brevetti, l’irrisorietà dell’utilizzo di capitali rivolti
alla ricerca e sviluppo e la volubilità degli scambi intraregionali hanno concorso
ad acuirne la marginalità.
D’altra parte le azioni e strategie
politiche comunitarie connesse al Mediterraneo si erano dimostrate incapaci di
far fronte alla complessità dei dilemmi che già caratterizzavano quest’area[6] e che necessariamente si
ripercuotevano sulla solidità sociale e sugli assetti politici ed economici[7]. Essenzialmente, l’azione
dell’Unione nel bacino Mediterraneo è rimasta avvinghiata a delle pratiche
inadeguate ed a delle strategie desuete che avevano già attestato la loro sterilità
(soprattutto nel mercato e nel commercio), tanto che l’UE non è riuscita a divenire
la forza trainante capace di spingere le “carrozze” mediterranee allo stesso
modo del Giappone in Asia[8]. Infatti, oltre alla leggerezza
degli investimenti capitalistici diretti esteri europei nel Mediterraneo, le
politiche mediterranee dell’Unione non sono arrivate all’obbiettivo di
incoraggiare un vero complesso organizzato produttivo regionale[9]. Senza scordare che, al di
fuori delle esportazioni di gas e petrolio, i Paesi dell’area hanno un saldo
commerciale, nella bilancia commerciale, negativo radicato, e quasi patologico,
con l’Unione europea.
L’inefficace integrazione
produttiva, oltre ad essere un serio handicap per i Paesi mediterranei del sud
e dell’est, a causa della loro inadeguatezza nel dare alle produzioni un più
alto valore aggiunto ed un più elevato valore tecnologico, rappresenta anche un
mancato guadagno per la stessa Unione[10].
Sostanzialmente, ci sono interessi
in gioco biunivoci che solamente commercio non può soddisfare. Bisogna andare
più lontano, favorendo visioni ed idee che possano portare all’integrazione
produttiva e ad una vera connessione tra il Nord ed il Sud, fondato su degli
interessi reciproci e non su un rapporto di forza, superando i soli aspetti
economici[11].
In questo quadro severo e privo di sfumature, il Processo di Barcellona non è
riuscito ad essere all’altezza degli obbiettivi originariamente stabiliti. Difatti,
economicamente esso non ha accorciato gli scarti né il divario di ricchezza,
non ha reso in maggior misura attrattiva l’area per gli investimenti diretti
esteri e ha usufruito di un’erogazione finanziaria limitata e mal impiegata,
specie nella prima fase del MEDA. Politicamente non è stato sottoscritto alcun
documento di impegno di pace e stabilità, in difetto forte di un linguaggio
comune fra i partner del Nord e del Sud. La compartecipazione d’Israele al
partenariato euro-mediterraneo, insieme ad altri Paesi arabi (considerata dai
responsabili dell’UE come un’acquis aggiuntivo), non ha contrastato lo Stato
ebraico nel proseguire la colonizzazione dei territori palestinesi e arabi.
Culturalmente, il rapporto dell’Europa con gli ambienti arabi e turchi ha molto
sofferto della stigmatizzazione massificata dell’Islam, soprattutto dopo l’11
settembre 2001, e del dibattito identitario europeo, in particolar modo in
riferimento alle discussioni sul Progetto di Costituzione europea.
Nonostante ciò, il Partenariato
Euro-Mediterraneo ha consentito la rinascita e la presenza degli attori della
società civile, suscitato un coinvolgimento accademico considerevole, agevolato
il progresso di reti di Istituti (EuroMeSCo e FEMISE), sovvenzionato in parte
un’Accademia diplomatica mediterranea a Malta, fatto germogliare una grande
fondazione culturale euro-mediterranea, la “Anna Lindt”, supportato la
creazione, spesso spontanea, di centinaia di idee ed iniziative di centri di
ricerca, di Istituti euro-mediterranei (per esempio IEMED a Barcellona) o delle
Maisons de la Méditerranée (come quella di Marsiglia). Ciò ha permesso dibattiti
fecondi sia sul piano umano, che sul piano politico e ha, al contempo, interessato
l’Europa alle questioni del Mediterraneo.
Per di più, ragionevolmente, non si
può criticare solamente l’Unione europea dell’insuccesso e dei tentativi
velleitari del partenariato: i Paesi del Sud hanno spesso trascinato i piedi sulle
riforme interne e non hanno fatto nulla di rilevante per permettere la
promozione dell’integrazione sovra-regionale. Indubitabile che ci sia stato
l’accordo di Agadir[12], cui aderiscono il
Marocco, la Tunisia, l’Egitto e la Giordania, ma questi quattro Paesi non hanno
dei confini comuni e l’accordo resta vanaglorioso e ipotetico.
Studiando, poi, la “Politica di
Vicinato”, questa si disvela ancor più problematica[13] e fa sorgere ulteriori
questioni rispetto al partenariato euro-mediterraneo. Anzitutto per una <<bilateralizzazione>>
sovrabbondante, e sproporzionata, che pone l’integrazione commerciale ed
industriale regionale fuori portata, in secundis, a causa della chiusura di
tutte le possibilità di annessione, di altri paesi, e anche per
l’accavallamento delle altre iniziative in corso[14].
Oltre a tutto ciò, l’UM potrebbe trasformarsi
un’appendice meridionale della “Dimensione Nordica”, un’iniziativa regionale di
cooperazione tra strategie dell’UE e della Russia[15].
Ma gli Stati del sud che hanno firmato
tale politica, sembrano adoperarsi secondo le norme, e provano a massimizzare le
loro utilità, minimizzando i loro doveri ed annessi sacrifici, soprattutto sul
piano politico, specialmente interno. Per i fautori dell’Unione Mediterranea,
la Politica di vicinato è troppo dilatata e riguarda Stati tra loro esageratamente
diversi, che non sono assoggettati agli stessi obblighi e ai quali, perciò, non
sono richiesti gli identici compiti, che non supportano le stesse identità, che
non seguono conseguentemente gli stessi obiettivi e che non hanno le stesse mete.
L’intenzione francese non manca
perciò di progetti, dato che si tratta di agire complessivamente per ottimizzare
le aree di cooperazione, intorno a degli interessi condivisi, quando non
addirittura comuni, allo scopo di “tracciare le linee di un futuro comune
sostenibile”[16].
È doveroso, quindi, constatare se l’Unione Mediterranea, e il numero più scarso
degli Stati che ad essa aderiscono (almeno nel progetto iniziale), ponga
prospettive migliori in termini di lavoro connesso, di uniformità, di coordinamento
con gli altri progetti sia di impatto settoriale sia globale.
La proposta francese ha l’indubbia virtù
di aver incrementato moltissimo i dibattiti e stimolato tante reazioni, oltre
che, come vedremo, riflessioni che, anche se contrarie, sono servite a riproporre
la centralità del Mediterraneo, sottolineandone la rilevanza. Così, appunto,
l’Unione europea ha incominciato ad interrogarsi sulla relazione, sulla
coerenza e sull’adeguatezza delle strategie politiche mediterranee, a proseguire
verso una stima dei propri gesti e mancanze ed a reagire alle invocazioni che
costantemente le venivano poste[17].
L’UM così come proposta da Sarkozy,
forse anche al di là delle intenzioni, ha posto un dilemma non facile ai Paesi
europei. Da una parte l’accoppiata PEM/PEV è in linea con la coesione europea,
ma non offre soluzioni dinamiche e di alto profilo al governo delle relazioni
mediterranee.
Dall’altra, l’UM sembra una
soluzione più adatta, oltre che reattiva, e di alto profilo politico, ma espone
al rischio di mettere in questione “l’aggregazione europea”, come solitamente
immaginata. Sorge quindi la domanda, conseguentemente, se sia necessario distaccarsi
dall’area europea per avere una buona politica mediterranea. La risposta più
ovvia è no, ma questa non è una risposta risolutiva, se si guarda alla
debolezza della politica europea. A questa debolezza occorre tuttavia porre
rimedio e, in questa necessità, l’averlo fatto risiede uno dei meriti maggiori della
proposta francese[18].
Nonostante le prime reazioni
contrarie all’Unione Mediterranea[19], i responsabili delle
politiche nell’area mediterranea, in seno alla Commissione, sono ben coscienti dell’impellenza
di rendere più dinamiche le politiche in corso[20]. Nondimeno, è manifesta
la circostanza per cui alcuni Stati membri sono più interessati di altri all’attuazione
di tale Unione, perché coinvolti senza intermediazioni, in quanto
geograficamente limitrofi. Alcune reazioni, viceversa, riflettono sicuramente
delle perplessità riguardo alla pertinenza dell’idea stessa dell’Unione
Mediterranea, dal momento che essa non va a gravare sui soli Paesi
mediterranei, ma anche sugli altri. Non bisogna infatti dimenticare che sovvenzionare
le iniziative di tale progetto con i fondi dell’Unione europea richiede che
tutti i Paesi membri siano d’accordo. A questo proposito la replica della
Germania è illuminante. Il cancelliere tedesco, precisamente, Angela Merkel,
non ha mancato di essere contraria a tale programma e, alla conferenza di
Berlino del 5 dicembre 2007, ha apertamente dichiarato che, se la Francia vuole
appoggiare l’Unione mediterranea, la Germania invece sente di essere più vicina
all’Europa centrale ed orientale e che tale conflitto potrebbe diventare un
fattore esplosivo all’interno dell’Unione europea.
Tuttavia le Nazioni che hanno presentato
più dubbi sono stati i nuovi membri del centro e dell’est europeo, la cui apprensione
fondamentale è quella di irrobustire, prima ancora che nel Mediterraneo, le
loro democrazie e le loro economie. Essi difatti, oltre a dover affrontare, con
l’intento della riuscita, le conseguenze negative di anni di programmazione
economica (in quanto Stati satelliti, ex URSS), sono più subordinati ai
problemi dei loro vicini dell’est (particolarmente dell’Ucraina[21]). Nella Commissione e nel
Parlamento alcuni si interessano circa la pertinenza di un disegno dall’essenza
intergovernativa i cui spazi di intervento (ambiente, sicurezza, energia,
sviluppo umano, sociale, dialogo interculturale, etc.) non interessano più, solamente
o anche solo parzialmente, le iniziative politiche degli Stati, ma sono di
competenza dell’UE.
In particolare il Parlamento
europeo si preoccupa di puntualizzare come tale iniziativa non possa
prescindere dal Processo di Barcellona e debba anzi rinforzarlo ed
approfondirlo, dal momento che essa non è né contro il partenariato, né intende
sostituirlo[22].
L‟UM, peraltro, si è imposta nei dibattiti istituzionali e mediatici come
unione di progetti, riferendosi alla continuità col Processo di Barcellona, più
che ad un nuovo progetto di Unione. Essa si ispira agli inizi della costruzione
europea e si fonda sul metodo seguito dai padri fondatori del progetto europeo[23]: delle azioni concrete e
delle solidarietà costruite[24].
Al momento del lancio dell’idea
dell’Unione Mediterranea gli Stati europei del Mediterraneo evitano l’opposizione
frontale con la Francia, ma è chiaro che, anche se l’idea di una cooperazione
rinforzata può legittimamente sedurli[25], l’attivismo francese li
prende alla sprovvista e li infastidisce[26]. Affermano però di
sostenere il progetto, purché venga inscritto in un approccio “globalmente
euro-mediterraneo”, come affermato dal ministro degli Esteri spagnolo, Miguel
Angel Moratinos. Anche il Premier italiano, Romano Prodi, al riguardo dimostra la
stessa prudenza. Questo atteggiamento andrà via via cambiando, come si vedrà
successivamente con la Dichiarazione di Roma.
Non può dirsi che, almeno in un
primo momento, le reazioni siano state entusiastiche degli Stati mediterranei della
sponda SUD.
Rispetto agli altri Paesi del
Maghreb, il Marocco ricerca soprattutto uno “statuto differenziato” sia per la
sua prossimità geografica, che per la sua partecipazione in progetti comunitari
(il sistema Galileo[27], la partecipazione all’operazione
Althea[28] in Bosnia e la firma dell’accordo
“Cielo aperto”, etc.). Ma nell’attesa che venga riconosciuto al Marocco questo
ruolo, il ministro degli Esteri marocchino si dice favorevole all’Unione
Mediterranea, purché questa non intenda solo frenare l’immigrazione e lottare
contro il terrorismo per preservare soltanto la sicurezza dell’Europa.
L’Algeria si adegua e conforma al
suo Accordo di associazione con l’Unione Europea, intanto che la Tunisia prediligerebbe
un consolidamento della formula “5+5”[29] concernente al Mediterraneo
occidentale. Nel Machrek arabo si indugia perplessi quanto al valore aggiunto
dell’Unione Mediterranea e riguardo alla sua capacità di definire positivamente
i contrasti costitutivi che hanno compromesso il Processo di Barcellona. Ma ciò
non frena la possibilità del Presidente egiziano, Hosni Mubarak, di ritenere
quella dell’UM un’eccellente intenzione che è meritevole di essere vagliata[30]. La Turchia è più prudente:
non gradisce infatti che l’Unione mediterranea rappresenti nei suoi confronti solo
un’alternativa rispetto alla sua istanza di adesione. La Turchia è disposta a
giocare un ruolo di primo piano nell’architettura mediterranea, ma non al
prezzo di una “non adesione”. Concludendo, la posizione d’Israele, differentemente
da quanti si sono dimostrati dubbiosi, è palesemente favorevole, ma le motivazioni
addotte la dicono lunga sui suoi propositi. Infatti l’UM rappresenterebbe per
Israele un impulso in grado di normalizzare le sue relazioni con gli arabi
limitrofi, senza doversi rappacificarsi con essi, ovvero per questi versi “sciogliere”
il conflitto che li oppone.
Non tardano ad arrivare le reazioni
dei media e le riflessioni degli intellettuali.
Anche fra questi affiorano
posizioni differenti: alcuni palesano perplessità e sospetto, mentre altri individuano
nell’UM delle virtù.
Per il parere di Alexandre Adler[31], studioso e giornalista
francese, il Processo di Barcellona non è stato altro che un complesso
organizzato senza capacità propulsiva. L’Unione Mediterranea, piuttosto, darà una
svolta alla politica, in quanto gli Stati, dovendo farsi carico ciascuno delle
proprie incombenze, dovranno porre fine alle loro contese. Per di più, secondo Adler,
il nuovo funzionamento sottintende che l’universo musulmano dovrà accettare di fare
parte di spazi più vasti da avere in comune con i non musulmani. Pertanto anche
Israele e i suoi vicini, secondo la stessa logica, dovranno riconoscersi vicendevolmente.
Malauguratamente, però, la realtà
non è così agevole. Il programma del mercato comune in Europa non ha prevenuto
la risoluzione dei conflitti europei e la concordia franco-tedesca. Voler fare
l’opposto nel Vicino-Oriente significherebbe postulare che l’integrazione guida
alla pace, mentre in Europa è stata la pace a condurre all’integrazione. Più
cautamente, Jean-Claude Casanova[32], economista ed
intellettuale dal profilo liberale, francese, afferma che l’UM è un percorso
giusto ma difficoltoso: giusto perché fonderà il punto d’incontro delle tre
sorelle latine[33],
delle altre nazioni mediterranee dell’Europa e dei partner esterni e, dunque,
infonderà energia nuova; difficoltoso perché sarà imprescindibile persuadere
tutti i partner europei dell’utilità di tale pianificazione e indurre nei
turchi il pensiero che la decisione di Nicolas Sarkozy di respingere l’adesione
della Turchia non si basa su alcuna inimicizia verso gli Stati musulmani. Ancora
più importante ed affascinante risulta il punto di vista di Alvaro Vasconcelos[34], direttore del “Centro
dell’Unione Europea Occidentale” (UEO) a Parigi ed ex Segretario generale di
EuroMeSCo. Questi rivolge il pensiero sostanzialmente sul postulato di base del
Processo di Barcellona, secondo cui lo sviluppo dei Paesi terzi mediterranei porta
necessariamente alla loro solidità e possibilmente alla loro democratizzazione,
confermando che questa equazione è stata un fallimento. Quindi, continua, è
oramai indicato dare la preminenza alla democrazia. Nonostante le critiche rivolte
al processo di Barcellona, questo permane, secondo lui, il quadro più appropriato,
ferma restando l’urgenza di irrobustire il partenariato, per esempio attraverso
un “Piano Marshall” per il Mediterraneo[35] od in alternativa un’Unione
euro-mediterranea[36]. Quest’ultima idea, in
particolare, fondata su una prospettiva comune, può concretamente impegnare la
regione europea (che si fonda su dei valori che hanno concorso alla riuscita
dell’integrazione europea) verso un piano di lavoro di più ampio respiro, che,
però, dovrà in primis costruire la pace, in quanto questa è condizione
necessaria per il successo della spinta regionale e per l’approfondimento
democratico nell’area mediterranea. Quest’idea di pace, come presupposto del
progetto euro-mediterraneo, è ripresa da Pascal Boniface[37], il quale pensa che le
elaborazioni comuni hanno rinsaldato la pace e non l’hanno preceduta. In
effetti, questo ragionamento difficilmente può essere scartato, valutando come
sia necessario favorire lo sviluppo della pace prima di poterne apprezzare i
risultati.
2. Quadro Istituzionale e gerarchico,
funzioni, legittimità degli accordi
Le riserve e le critiche incontrate
dalla intenzione palesata dal presidente francese hanno condotto esperti e
politici ad immettere delle variazioni, cosicché l’Unione Mediterranea potesse
essere gradita e appoggiata operosamente da tutti gli Stati membri del nord e
del sud Europa. Sui chiarimenti e sui perfezionamenti che i responsabili
politici hanno allegato al progetto dell’Unione mediterranea vi sono numerosi
rapporti, presentati tra ottobre e dicembre del 2007. Di questi i più notevoli
sono: il Rapporto di un Gruppo di esperti inglobato dall’Istituto del
Mediterraneo sul progetto dell’Unione Mediterranea[38] ed il Rapporto
d’informazione, della Commissione parlamentare, “Come costruire l’Unione
Méditerranea” iscritto alla Presidenza dell’Assemblea nazionale francese[39]. Presieduto dal
Professore Jean-Louis Reiffers, questo Gruppo informale di alti esperti ha divulgato
il suo rapporto nell’ottobre 2007. Esso intende rispondere ad alcune contestazioni
ed apportare delle precisazioni al progetto di Unione mediterranea, attraverso
l’analisi e l’approfondimento di una decina di tematiche. Il Rapporto comprende
due ambiti: il primo analitico, il secondo propositivo. Per quel che concerne
l’analisi essa si bassa largamente sui rapporti annuali della rete FEMISE
finanziata dall’UE. Si tratta principalmente di un bilancio del Processo di
Barcellona e della Politica di Vicinato, di cui si evidenziano i limiti e anche
le incoerenze. Ma il Gruppo si guarda bene dal rigettare in blocco le politiche
europee, che definisce come dei “dispositivi centrali”. È quindi a livello
delle proposte, e non tramite l’analisi, che il Gruppo dell’Istituto del
Mediterraneo ha l’intenzione di procurare un contributo importante e provvedere
ad un correttivo rispetto al progetto iniziale del presidente francese. Così,
per calmierare le posizioni della Germania riguardo al prospetto dell’UM, il
Gruppo ritiene che la Germania debba esserne una delle promotrici. Ma c’è da
chiedersi perché non dare lo stessa attenta valutazione anche a tutti gli altri
Paesi europei, in modo da fare dell’UM un progetto europeo. Proprio questo ragionamento
è stato al centro delle discussioni informali tra Sarkozy e la Merkel, il 3
marzo 2008, sulle quali il presidente francese si è visto obbligato a fare
delle aperture, fino ad accettare che l’UM sia estesa all’insieme dei Paesi
dell’Unione europea. Di fatto, il progetto franco-tedesco sarà poi acconsentito
e ratificato dal Consiglio europeo del 13 marzo successivo. Sulla vicenda
turca, il rapporto propone che l’UM non venga esposta come un’alternativa alla
volontà di adesione della Turchia, rettificando, in tal modo, le prime proposte
di Sarkozy[40].
È sulla questione del legame dell’Unione Mediterranea con le altre politiche
europee che il rapporto si avviluppa in una serie di formulazioni complicate,
affermando che esso è un progetto che non può sostituire i dispositivi europei,
ma è semplicemente complementare ad essi, perché fondato su una “specifica
strategia politica comune”, imperniata su “un’economia relazionale”, ovvero su
tutto quello che non rientra nelle competenze esclusive dell’UE[41]. Pertanto il Gruppo,
senza interrogarsi sull’opportunità o meno di ammettere nell’UM Paesi ancora
oggi in conflitto e dimostrando di non avere appreso granché dal Processo di
Barcellona, decide di invitare tutti i Paesi rivieraschi, anche quelli in
conflitto (come quelli del Medio Oriente), con l’erronea convinzione che “la
soluzione dei conflitti non debba essere un prerequisito per partecipare all’UM”.
Sebbene sia risaputo quanto il deterioramento del conflitto arabo-israeliano
avesse condizionato il Processo di Barcellona. Per quel che concerne l’architettura
istituzionale, il Gruppo propende per una “Cooperazione rinforzata”, senza
arrivare in proposito ad una proposta definitiva. Lo stesso vale per la
definizione del perimetro: il Gruppo vuole che l’Unione Mediterranea sia
limitata ai Paesi rivieraschi, pur aprendola allo stesso tempo a tutti gli
Stati che desiderano aderirvi. La medesima imprecisione si ritrova per ciò che
concerne le risorse finanziarie da mobilitare. Il Gruppo ritiene che bisogna
bussare a tutte le porte (l’UE, i Paesi membri, i fondi arabi, le Istituzioni
internazionali); è in dubbio invece se creare un’istituzione finanziaria
specializzata o una Banca mediterranea. Il Gruppo sembra protendere per una
Banca Mediterranea, senza nulla specificare in anticipo sul mandato, sulla
struttura, sugli obiettivi e sulle sinergie con altre istituzioni finanziarie,
specialmente con la Banca europea degli investimenti. Nonostante il Rapporto,
per i suddetti motivi, non abbia risposto a tutte le domande, ha tuttavia il
merito di averle poste, di avere proposto alcune riflessioni e di avere aiutato
i politici a riformulare le proposte iniziali dell’Unione mediterranea.
La Valutazione della Commissione
parlamentare: Rapporto
Registrato alla presidenza dell’Assemblea
nazionale francese, il 5 dicembre 2007, il Rapporto della Commissione
parlamentare attinge molto dal rapporto del Gruppo dell’Istituto del
Mediterraneo. Così questo parla di un perimetro “a geometria variabile”[42] e “modulabile secondo i
progetti”, si riferisce prioritariamente ai Paesi rivieraschi, ma aggiunge che
l’UE e la Lega degli Stati arabi ne sono membri di diritto. È la prima volta
che la Lega degli Stati arabi viene menzionata. Il rapporto della Commissione,
al pari del rapporto dell’Istituto del Mediterraneo, prevede la stessa
architettura istituzionale. Ma quello che per quest’ultimo è l’Alto
Commissariato[43]
qui diventa il G-MED[44]. Anche il rapporto della
Commissione prevede delle Agenzie specializzate, ma omette il dispositivo audit
(ovvero lo strumento permanente di valutazione dei risultati) e propende per un’Assemblea
Parlamentare del Mediterraneo. Il rapporto propone naturalmente di non
duplicare le Istituzioni esistenti e di mantenere un legame con l’Unione
europea; arriva addirittura a proporre “una Carta di partenariato tra l’UM e l’UE”,
i cui assi principali sarebbero: la partecipazione di diritto dell’Unione
europea alle istanze dell’UM, il rispetto dell’acquis di Barcellona e l’affermazione
che l’appartenenza all’UM non è un’alternativa all’adesione. Per quel che
concerne i progetti prioritari, il rapporto della Commissione sottolinea l’importanza
di “progetti concreti che rispondano ai bisogni e alle attese delle
popolazioni”. Ma qualunque sia il progetto, bisogna prevedere un meccanismo di
co-decisione, il coinvolgimento di ciascun membro su base volontaristica e
aprire il processo alla società civile. Fra i progetti che sembrano meritare un’attenzione
particolare, il rapporto predilige: la gestione dell’acqua, l’ambiente e lo
scambio di conoscenze. Per il finanziamento, la Commissione parlamentare
suggerisce la creazione di “un gruppo d’investimenti finanziari” (GIEMED).
Secondo la Commissione obiettivo finale dell’UM è “preservare il Mediterraneo
come bene pubblico comune” e assicurare la prosperità e la sicurezza delle sue
popolazioni. Insomma, i principali correttivi apportati dalla Commissione
parlamentare alla proposta iniziale di Sarkozy portano alla necessaria
preservazione dell’acquis di Barcellona, al coinvolgimento dell’Unione europea
e della Lega Araba come membri di diritto e allo scollegamento tra l’appartenenza
all’Unione mediterranea e l’adesione della Turchia all’UE. Poche invece le
novità per quel che concerne il perimetro geografico, la priorità dei progetti,
i meccanismi di finanziamento, i possibili legami con lo strumento di vicinato,
il Fondo Euro-Mediterraneo d’Investimento e Partenariato (FEMIP) e la Banca
europea d’investimento (BEI).
Dichiarazione di Roma e l’Unione
per il Mediterraneo[45]
Qualche giorno dopo la
presentazione del Rapporto della Commissione parlamentare, la diplomazia
francese giunge a riunire i capi di Stato e di Governo di Francia, Italia e
Spagna[46] in un Summit tripartito,
tenuto a Roma il 20 dicembre 2007. Per i tre Paesi “l’Unione per il
Mediterraneo (UPM) avrà come vocazione [quella] di riunire l’Europa e l’Africa
attorno ai Paesi rivieraschi del Mediterraneo” e di istituire con questi Paesi
“un partenariato fondato sull’uguaglianza”. Il valore aggiunto dell’Unione per
il Mediterraneo consisterà nel dare “uno slancio politico” alla cooperazione
mediterranea e assicurare la mobilitazione “della società civile, delle
collettività locali, delle associazioni e delle ONG”. Secondo i firmatari della
Dichiarazione di Roma, l’UPM dovrà avere come interesse primario quello di
essere “il cuore e il motore della cooperazione nel Mediterraneo e per il
Mediterraneo”. A questo fine, essi convengono sull’opportunità di organizzare
una riunione dei Paesi rivieraschi, il 13 luglio 2008, cui segua, il giorno
dopo, un Summit di tutti i Paesi rivieraschi con i ventisette Paesi dell’UE, al
fine di fissare “i principi e l’organizzazione dell’UPM”. In attesa del Summit,
i capi di Stato e di Governo francese, italiano e spagnolo si impegnano ad
“identificare gli ambiti prioritari di cooperazione, i progetti più
appropriati”, lo studio della loro fattibilità e delle fonti di finanziamento,
e di “prendere in considerazione la lista dei Paesi che intendono impegnarsi in
ogni progetto concreto”. Nella Dichiarazione di Roma, i firmatari si
preoccupano di presentare l’Unione per il Mediterraneo come un “complemento”
delle altre procedure di cooperazione e di dialogo destinato “a dare loro un
impulso supplementare” fermo restando che “il Processo di Barcellona e la
Politica di Vicinato rimarranno centrali”. La Dichiarazione di Roma si conclude
con l’assicurazione che l’UPM non interferirà né nel processo di
stabilizzazione per i Paesi interessati, né nel processo di negoziazione in
corso tra l’UE, la Croazia e la Turchia. Essenzialmente, la Dichiarazione di
Roma poggia sul Rapporto dell’Istituto del Mediterraneo e su quello della
Commissione parlamentare francese. Ma vi si trovano certo sfumature che
denotano la presa in considerazione di obiezioni spagnole ed italiane. La prima
sfumatura concerne la denominazione del progetto: ormai si parla di Unione per
il Mediterraneo e non di Unione Mediterranea. Questa è un idea cara al ministro
degli esteri spagnolo, Moratinos[47]. La modifica è meno
banale di quanto non appaia a prima vista, perché essa solleva un’ambiguità:
non si tratta di una unione politica del Mediterraneo, del resto oggi
impossibile da prendere in considerazione, ma di uno sforzo unificato per la
pace, la prosperità e il dialogo nel Mediterraneo. La seconda sfumatura
riguarda i promotori del progetto. Infatti, fino alla Dichiarazione di Roma, il
progetto di Unione Mediterranea appariva chiaramente come “un’idea francese”.
Con la Dichiarazione di Roma, l’UPM diventa un’iniziativa comune di Francia,
Italia e Spagna. Ma essa è lontana dall’acquietare i timori e i sospetti di
altri Paesi europei[48], come la Germania. Questa
infatti considera di essere essa stessa un Paese mediterraneo, nella misura del
volume degli scambi con i Paesi del Sud e del peso della sua popolazione
immigrata d’origine mediterranea, specialmente turca. La terza sfumatura, già
presente nel rapporto dell’Istituto del Mediterraneo e in quello dell’Assemblea
nazionale francese, riguarda la Turchia. La Dichiarazione di Roma scollega l’UPM
dal progetto di adesione: la Turchia cioè potrà sia partecipare all’Unione per
il Mediterraneo che mantenere la richiesta di adesione all’Unione europea; si
tratta infatti di un procedere parallelo e non mutualmente esclusivo dei due
progetti. Prendendo una posizione contraria all’adesione della Turchia, il
presidente francese ha suscitato una levata di scudi e inasprito gli
interlocutori turchi[49]. Scindendo le due
questioni, si elimina un ostacolo e si favorisce il coinvolgimento della
Turchia nell’UPM. La Dichiarazione di Roma tende a rassicurare tutti, ma non è
riuscita a garantire un decollo facile all’Unione per il Mediterraneo. Persiste
ancora una grande incertezza riguardo agli obiettivi, alle strutture, al
finanziamento e ai partecipanti.
L’Unione per il Mediterraneo vagliata
dal Consiglio Europeo
Si potrebbe erroneamente pensare
che, dopo le aspre trattative franco-tedesche, per le concessioni fatte dal
presidente francese alla cancelliera tedesca, il progetto di Unione
Mediterranea occupi un posto di primo piano nelle conclusioni del Consiglio
europeo del 13-14 marzo 2008[50]. Tuttavia non soltanto
esso occupa il solo Annesso 1 e consta appena di cinque righe, ma inoltre si
presenta con una nuova denominazione, Processo di Barcellona: Unione per il
Mediterraneo. Ecco in extenso il paragrafo ad esso dedicato:
“Il Consiglio europeo ha approvato
il principio di un’Unione per il Mediterraneo che comprenderà gli Stati membri
dell’UE e gli Stati costieri mediterranei non appartenenti all’UE[51]. Ha invitato la
Commissione a presentare al Consiglio le proposte necessarie per definire le
modalità di quello che si chiamerà Processo di Barcellona: Unione per il
Mediterraneo, in vista del vertice che si terrà a Parigi il 13 luglio 2008”. Così
l’UE ha avuto l’ultima parola: l’Unione per il Mediterraneo non sarà che un
rilancio del Processo di Barcellona. Ciò che è stato presentato come “una
grande visione” ed “un’esperienza originale ed unica”[52], per uscire dai sentieri
già percorsi dalla politica comunitaria “troppo incentrati sul commercio”, è
stato trasformato in un progetto edulcorato. Probabilmente il presidente
francese non ha potuto non sottoscrivere questo compromesso per non indirizzare
l’UE e i suoi grandi Stati contro il progetto. Ma il passaggio da Unione per il
Mediterraneo a Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo è più che una
semplice trasposizione semantica. Esso reintegra il progetto nella dimensione
europea[53], pone il problema della
condivisione del fardello finanziario al momento della costituzione di nuove
Istituzioni, ma d’altra parte rende più complicato l’aspetto decisionale dal
momento che prevede una presidenza bicefala, un comitato permanente e un
segretariato. Mentre inizialmente si è sostenuta l’idea di un “quadro
alleggerito”, che fosse più ristretto della Politica di vicinato, con i suoi quarantatré
membri, e più efficace del Processo di Barcellona, che ne conta trentanove
(dopo l’integrazione della Mauritania e dell’Albania nel 2007), ci si ritrova
adesso con un progetto che comprende potenzialmente quarantatré Paesi: i
ventisette Paesi dell’UE, dieci Paesi arabi, Israele e i cinque Paesi del
Mediterraneo orientale e adriatico. Ne risulta dunque sia una Politica di
vicinato bis, che un Barcellona plus.
La Comunicazione della Commissione
Europea sul “Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”[54]
Il Consiglio europeo del 13-14
marzo 2008 ha incaricato la Commissione di presentare delle proposte in vista
di definire le modalità della messa in opera di ciò che ormai si chiama
“Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”. La Commissione ha reso
pubblico l’ultimo rifacimento della sua comunicazione nel maggio 2008, come
base di discussione fino al Summit del 13 luglio. La comunicazione corregge le
proposte iniziali francesi su una serie di questioni, prendendo in
considerazione tre elementi d’orientamento generale della diplomazia francese:
dare un impulso politico rinnovato ad un più alto livello (summit euro-
mediterranei con cadenza regolare), una revisione del funzionamento su base
paritaria (co-decisione ed uguaglianza) ed infine il lancio di un progetto
concreto. C’è da chiedersi dunque qual è la diagnosi fatta dalla Commissione e
come definisce le modalità di questo nuovo progetto. Sin dal principio, la
Comunicazione ricorda la centralità del Processo di Barcellona: “in quanto
partenariato comprendente trentanove Governi e più di settecento milioni di
abitanti, ha offerto terreno fertile per un impegno e uno sviluppo costanti”. È
“l’unica area nella quale l’insieme dei partner si impegnano in un dialogo
costruttivo”, anche se, riconosce la Comunicazione, “la persistenza del
conflitto mediorientale ha sottoposto il partenariato a dura prova”. Il
partenariato, prosegue la comunicazione, ha permesso di far avanzare le riforme
politiche e la democrazia partecipata, ma questo obiettivo “è stato oscurato
dagli avvenimenti mondiali e regionali”. Malgrado ciò, c’è un aspetto non
trascurabile, la società civile “occupa un posto ormai più centrale nel
processo”, così come il dialogo interculturale, di cui la fondazione Anna Lindt
per il dialogo delle culture è la più netta espressione. Con un registro
diverso, la Comunicazione ricorda che l’UE resta il principale partner dei
Paesi mediterranei. La progressiva liberalizzazione ha dato un colpo di frusta
agli scambi e, sul piano macroeconomico e per quel che concerne gli indicatori
di sviluppo umano, sono stati constatati dei miglioramenti. Certo la questione
delle esportazioni agricole è ancora problematica, così come la lentezza della
liberalizzazione dei servizi. Quanto alla debole attrattiva della regione per
gli investimenti, questa potrebbe essere spiegata, secondo la Commissione, da
una gestione economica insufficiente, da cui deriva una crescita limitata, e
dalle conseguenze della crescita demografica. “L’effetto combinato di queste
lacune” non ha permesso di diminuire lo scarto di prosperità tra l‟UE e i suoi
partner. In questo stato di cose “la mancata presa di responsabilità da parte
dei partner mediterranei” e “l‟assenza di equilibrio istituzionale” tra l’UE e
i suoi partner “è fonte di preoccupazioni condivise”. Dopo queste blande
costatazioni, la Commissione si dice cosciente della mancanza di visibilità del
Processo di Barcellona e sottolinea l’importanza di un accresciuto impegno e di
nuovi catalizzatori per “trasformare gli obiettivi di Barcellona in concrete
realtà”. Insistendo sulla validità del quadro del Processo di Barcellona,
“spina dorsale delle relazioni euro-mediterranee”, la Commissione prospetta che
il nuovo progetto sarà “un partenariato multilaterale” imperniato su dei
progetti regionali e transnazionali, e comprendente tutti i Paesi dell’Unione
Europea e tutti i Paesi rivieraschi. Questo nuovo progetto completerà le
relazioni bilaterali e imprimerà un nuovo slancio al Processo di Barcellona. Il
Summit del 13 luglio sarà un momento molto importante per “una dichiarazione
politica” e per la presentazione di una breve lista di progetti-faro. Sugli
aspetti istituzionali la Commissione apporta delle precisazioni opportune ad un
progetto, fino a questo momento, rimasto sfumato.
a) Co-presidenza
Al riguardo sembra che la questione
raccolga il sostegno generale perché essa “aumenterà e migliorerà l’equilibrio
e la partecipazione di ognuno alla cooperazione”. Essa verrà esercitata sull’insieme
del partenariato. “Per la parte europea la presidenza dovrà essere compatibile
con le disposizioni che regolano la rappresentanza esterna dell’UE”; il che
significa che la Francia potrà assumere la presidenza per la parte Europea fino
alla fine del 2008. Dopo questa data, fin dall’entrata in vigore del Trattato
di Lisbona[55],
la presidenza per la parte europea verrà esercitata dal Presidente del
Consiglio europeo e dal Presidente della Commissione (a livello dei capi di
Stato e di Governo) e dall’Alto Rappresentante (a livello dei ministri degli
Esteri). Per la parte dei Paesi Mediterranei, la presidenza si farà per
consensus, con una durata del mandato fissata in due anni.
b) Comitato permanente congiunto
(CPC)
Per migliorare la gestione generale
del progetto la Commissione propone un Comitato permanente congiunto, con sede
a Bruxelles, e costituito dai rappresentanti permanenti delle differenti figure
coinvolte, presenti a Bruxelles. Questo comitato dovrà preparare le riunioni
degli alti funzionari e del Comitato euro-mediterraneo, assistere i
co-presidenti nella preparazione dei summit e servire da meccanismo di reazione
rapida.
c) Segretariato
La Commissione ritiene che il ruolo
del Segretariato consisterà essenzialmente nel formulare delle proposte di
iniziative congiunte e nell’assicurare l’attuazione delle decisioni prese. Il
segretariato “potrebbe avere una personalità giuridica distinta e uno statuto
autonomo. Sarà composto da funzionari distaccati fra i partecipanti al
processo”. Sarà presieduto da un Segretario generale e da un Segretario
generale aggiunto. Il Segretario generale designerà i membri del segretariato
secondo i criteri di competenza e di equilibrio geografico. La sede del
segretariato è ancora da definire.
Metodo di Identificazione e
Selezione dei progetti
I progetti scelti dovranno favorire
la coesione e l’integrazione regionale e sviluppare le interconnessioni tra le
infrastrutture. Dovranno, secondo la Commissione, costituire dei “progetti
visibili e pertinenti per i cittadini della regione”. Per la selezione gli
elementi da tenere in considerazione riguarderanno: il carattere regionale,
sub-regionale e transnazionale; la misura, la pertinenza e l’interesse; lo
sviluppo equilibrato e duraturo, così come l’integrazione, la coesione e le
interconnessioni regionali; nonché la fattibilità finanziaria. I progetti che
la Commissione ritiene essere prioritari riguardano le autostrade del mare, il
disinquinamento del mar Mediterraneo, la protezione civile e il piano solare
mediterraneo.
Il finanziamento della struttura
amministrativo-burocratica
La Commissione anticipa che “le
priorità fissate nel Programma indicativo nazionale e alcune potenziali
contribuzioni comunitarie ai nuovi progetti regionali non intaccheranno le
dotazioni budgetarie bilaterali provenienti dallo strumento europeo di vicinato
e partenariato o dallo strumento di pre-adesione”. Bisogna trovare dei mezzi
finanziari supplementari per finanziare i nuovi progetti regionali. L’UE prenderà
in considerazione solo “alcuni progetti rispondenti agli obiettivi dei
programmi regionali”. Conseguentemente il finanziamento supplementare dovrà
essere dato dal settore privato, dai contributi dei partner mediterranei, dalle
Istituzioni internazionali, dalla BEI, dalla FEMIP (soprattutto) e dagli
investimenti nel quadro della politica di vicinato.
Valutazione della Comunicazione
della Commissione
Benché un comunicato dell’Eliseo
abbia affermato che le autorità francesi approvano la diagnosi della Commissione,
non vi è dubbio che la Comunicazione susciti dei malumori. Insistendo
pesantemente sul quadro di Barcellona, la Commissione svuota l’iniziativa
francese della sua “forza simbolica” e la riduce ad una semplice
“riattualizzazione del Processo di Barcellona”. Allo stesso modo, finché l’origine
dell’Unione Mediterranea si supponeva riflettere un nuovo attivismo francese
nel Mediterraneo, la Commissione ha ritenuto opportuno ridurre l’ambizione
francese ad un semplice complemento. Così il nuovo progetto coinvolgerà “tutti
gli Stati” dell’UE e gli Stati rivieraschi”. Per quel che concerne i
finanziamenti, l’Unione europea non investirà nei nuovi progetti altre risorse,
per non danneggiare gli impegni già presi nei programmi indicativi regionali.
Certo, alcuni progetti “rispondenti ai programmi regionali dell’UE” potranno
essere presi in considerazione. Ma c’è da chiedersi chi assicurerà poi
effettivamente il proseguimento di un progetto che beneficia di diverse fonti
di finanziamento[56].
Forse bisognerebbe attingere ad una sola fonte. Ma le varie proposte in merito,
più che completarsi, si scontrano tra loro: c’è chi ipotizza una Banca di
sviluppo per il Mediterraneo, chi una BEI mediterranea, chi, semplicemente,
delle agenzie di consiglio, di garanzia e di apporto di fondi propri[57]. Infine, se bisogna
ricorrere al settore privato, ai fondi dei Paesi del Golfo, ai contributi degli
Stati mediterranei, alla BEI e alle istituzioni internazionali per assicurare i
finanziamenti dei progetti scelti, ci si può domandare quale sarà il ruolo dell’Unione
europea, chi dovrà assumere l’audit finanziario e se si potrà impedire agli
americani, ai cinesi o ai russi di contribuire ai finanziamenti. D’altra parte
i progetti considerati prioritari dalla Commissione, non recuperano tutti
quelli identificati dai consiglieri di Sarkozy[58]. Ma bisogna dire, a
discarico della Commissione, che non si trattava di un elenco esaustivo.
Inoltre, data la preoccupazione della Commissione di impedire la divisione dell’UE,
essa ha intaccato e ridimensionato il progetto iniziale. Alla fine, ciò che
essa propone assomiglia molto poco all’idea iniziale di Sakozy sull’Unione
Mediterranea. Sicché l’Unione europea, dietro spinta della Germania, è riuscita
magistralmente a dimensionarne l’ambito d’applicazione. Due giorni dopo la
pubblicazione della Comunicazione, Juan Manuel Barroso, Presidente in carica
della Commissione, afferma che “il Mediterraneo è senza dubbio la regione più
critica per l’avvenire dell’Europa […]. La Francia deve dunque giocare il suo
ruolo europeo, senza arroganza, senza egemonia, senza ritenere prioritario il
suo interesse nazionale”[59]. Per quel concerne l’architettura
istituzionale, si comprende agevolmente che la co-presidenza dalla parte
mediterranea sia scelta tramite consensus, poiché una co-presidenza a rotazione
sarebbe impossibile dato il contesto attuale dei Paesi in stato di conflitto. Riguardo
alla sede del Segretariato, il Parlamento europeo, con la sua Risoluzione del 5
giugno 2008[60],
indica che esso “dovrebbe essere integrato nei servizi della Commissione e
potrebbe comprendere dei funzionari distaccati fra tutti i partecipanti al
processo”. Al sud questa proposta non viene condivisa e certi Paesi del Maghreb
hanno già proposto la loro candidatura per accoglierne la sede. Ma qualora
questa opzione venga accolta, forse Paesi come la Tunisia, il Marocco o l’Algeria
difficilmente accetterebbero che dei funzionari israeliani vadano a lavorare in
un Segretariato posto in uno di questi Paesi maghrebini. Un altro problema che
si pone è: se bisogna integrare il progetto d’Unione per il Mediterraneo nel
quadro di Barcellona, come trattare i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, che,
pur invitati al Summit di Parigi, non sono membri del Processo di Barcellona
(Croazia, Montenegro, Bosnia e Libia)? La Commissione non risolve la questione
che, invece, in sede di Parlamento europeo viene affrontata, invitando i Paesi
che non ne fanno parte a fare loro l’acquis di Barcellona, in modo da
perseguire gli stessi obiettivi e assicurando che, come ramo dell’autorità
budgetaria dell’Unione, è disposto “a collaborare alla messa in piedi di un
quadro istituzionale del Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”.
È necessario però, come premessa,
verificare con i Paesi interessati la loro disponibilità in tal senso. Si vede
bene che, a dispetto delle precisazioni fornite dalla Comunicazione, molte
questioni restano in sospeso, in particolare la presenza nella nuova struttura
di membri che non sono parte pregnante nel Processo di Barcellona, cosa che non
mancherà di creare seri problemi istituzionali e finanziari[61]. Ma è opinione comune che
l’accumulo del deficit nel Mediterraneo non consente altri ritardi, anche se la
strada da percorrere non sarà facile. Molte reazioni provenienti da fonti
diverse contribuiscono ad incupire il clima. Da parte europea, certi Paesi
ritengono che il rinnovato interesse verso lo spazio mediterraneo rischia di
sviare l’attenzione dai problemi dell’est europeo. Infatti, Paesi come la
Polonia e la Svezia propongono un progetto mirante al rafforzamento dei legami
con i Paesi dell’Est e del Caucaso (Ucraina, Moldavia, Georgia, Armenia e
Azerbaijan). Da parte araba, la reazione libica stupisce per la sua durezza.
All’apertura di un mini-summit dei Paesi maghrebini con la Siria[62], il presidente libico, Mu’ammar
Gheddafi, si lancia in un’aspra diatriba affermando che come “membri della Lega
Araba e anche dell’Unione Africana” tali Paesi non correranno, in nessun caso,
il rischio di perdere il loro prestigio e che non tollereranno di essere
trattati come degli affamati […] a cui gettare un osso[63]. Ciò che probabilmente
esaspera di più il presidente libico, e che lo porta a così taglienti
affermazioni, è il recupero del progetto francese da parte dell’UE, in nome
della solidarietà e della coesione. Infatti, inizialmente la Libia non ha
guardato negativamente l’iniziativa francese, dal momento che questa le offriva
un “nuovo quadro”, in un perimetro limitato, cosa che poteva rappresentare per
essa un duplice vantaggio: la Libia non si sarebbe sentita costretta ad
accettare l’acquis di Barcellona e avrebbe potuto sperare di giocare un ruolo
importante in un progetto limitato ai rivieraschi. Il nuovo quadro invece le
impone, come suggerito dal Parlamento europeo, d’accettare l’acquis di
Barcellona e sfuma il suo possibile ruolo in uno spazio allargato. La Tunisia
rimane favorevole al progetto e spera di accogliere la sede del nuovo
segretariato. Questa accoglienza è tanto più entusiastica dal momento che la
partecipazione non è legata ad alcuna condizione di ordine politico. Anche il
Marocco dice di appoggiare il nuovo progetto, ma fondamentalmente ciò che
importa ai Paesi maghrebini è uno Statuto avanzato con l’Unione europea in
quanto tale (obiettivo raggiunto nell’ottobre del 2008). L’Egitto, tiepido all’inizio,
appare più entusiasta dopo che Sarkozy fa intravedere la possibilità, per il
Presidente Mubarak, di occupare il posto di co-presidente per la parte dei
Paesi del sud. Quanto alla Siria, essa vede il nuovo progetto solo come un
mezzo per accrescere la sua rispettabilità internazionale, in un momento in cui
gli Stati Uniti la elencano tra il gruppo dei Paesi costituenti “l’Asse del
male”. A dire il vero, malgrado le posizioni ufficiali mostrate, c’è un disagio
fra tutti i Paesi arabi che si esplica attraverso lo stupore davanti a tante
iniziative europee e soprattutto attraverso il sentimento che questo nuovo
progetto, come altri in precedenza, li forzi a normalizzare le loro relazioni
con Israele, prima della riconciliazione. Preoccupati di gestire il sentimento
popolare, soprattutto dopo il fallimento del sogno di Annapolis[64] e dal momento che la
colonizzazione israeliana prosegue, alcuni dirigenti preannunciano che essi
rifiuteranno ciò che il giornale Le Nouvel Observateur definisce “coreografia
del Summit che darà l’impressione di una normalizzazione delle loro relazioni
con Israele”[65].
Il ministro degli esteri algerino afferma che “non è l’UPM che deve favorire la
normalizzazione tra Israele e i Paesi arabi […]. Il processo di normalizzazione
deve discendere da un altro tipo di dibattito”. Detta da un ministro algerino l’affermazione
può sembrare strana dal momento che l’Algeria partecipa dal 1995 al Processo di
Barcellona così come Israele. In realtà ciò che colpisce fortemente i Paesi
arabi è vedere i media europei, soprattutto francesi, festeggiare il
sessantesimo anniversario della creazione dello Stato d’Israele[66], dato che questa
creazione ha significato, dal punto di vista arabo, la dé-existence palestinese
e la catastrofe di tutto un popolo. Inoltre, il progetto di un rilancio dei
legami tra l’UE ed Israele, al centro delle discussioni della Commissione mista
UE-Israele[67],
non può cadere in un momento peggiore.
Gli arabi, così come molte
personalità europee, considerano il progetto inopportuno quanto a tempismo ed
erroneo quanto al principio. Essi, dunque, sono più freddi nei confronti dell’Unione
per il Mediterraneo proprio perché percepiscono la Francia come il principale
assertore delle relazioni rinforzate tra l’Unione europea ed Israele. In
particolare, una frase della Risoluzione del Parlamento europeo sembra avere
risvegliato i loro sospetti: “il Paese che assicura la presidenza dovrà
invitare ai summit e alle riunioni ministeriali tutti i Paesi partecipanti al
Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”. È evidente in questa
affermazione la partecipazione anche d’Israele. Tutto ciò sembra confermare
agli occhi di alcuni Paesi arabi che l’integrazione d’Israele in ogni progetto
mediterraneo prevale su ogni altra considerazione. Il fatto che i canali
ufficiali e i media europei non abbiano cessato di ricordare che Israele “è la
sola democrazia nella regione”, mentre definiscono dei dirigenti arabi, anche
qualificati, come “bizzarri”, “strampalati” e “corrotti”, non fa che aggravare
un profondo malinteso. I pareri dei giornalisti e degli intellettuali arabi
rimangono divisi rispetto all’insieme dei progetti. Senza ottimismo esagerato,
senza franca adesione, ma anche senza rigetto totale, secondo certi intellettuali
arabi qualunque progetto euro-mediterraneo deve fondarsi sull’appropriazione
comune, reale e non virtuale e sul co-sviluppo. Ciò presuppone la fine delle
politiche obsolete che guardano ai Paesi del Sud come a degli “ausiliari di
polizia che hanno l’incarico della protezione delle risorse energetiche, del
mantenimento […] di un forzoso mercato per i prodotti finiti europei e del
controllo di popolazioni potenzialmente candidate all’emigrazione[68].
Altrettanto fondamentale è la
preoccupazione di numerosi intellettuali arabi quanto al possibile
affievolimento dei principi di buon governo e di democrazia nel nuovo progetto,
in nome della realpolitik o sotto l’effetto dell’urgenza. Del resto, nella sua
visita in Tunisia, Sarkozy afferma che nessuno può ergersi a censore o dare
delle lezioni di democrazia. Cosa che, naturalmente, nessun intellettuale arabo
chiederebbe all’UE. Questi sperano, anzi, che nei progetti e nelle strutture
del Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo le società civili, che
hanno un reale ancoraggio nei loro Paesi d’origine, siano realmente coinvolte.
Un progetto che rimane relegato al mondo delle imprese e alle conferenze
ministeriali, rischia di perdere in credibilità agli occhi dei cittadini e
finirà, come i precedenti per sprofondare nell’indifferenza[69]. La Dichiarazione di
Parigi, che segna un passaggio fondante per l’Unione per il Mediterraneo, è una
copia della Dichiarazione di Barcellona adottata nel 1995. Essa è stata firmata
dai quarantatré rappresentanti degli Stati parte: oltre ai ventisette Paesi
dell’UE e ai dieci Paesi del Maghreb e del Machrek che si affacciano sulle
sponde del Mediterraneo,(quali Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano,
Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e l’Autorità Nazionale Palestinese), l’Unione
per il Mediterraneo accoglie altri nuovi aderenti: il piccolo Stato europeo di
Monaco, la Mauritania (in precedenza solo osservatrice nel processo di
Barcellona) e soprattutto i Paesi mediterranei dei Balcani (la Croazia, la
Bosnia Erzegovina, il Montenegro, l’Albania)[70] [71]. Il formato geopolitico è
indubbiamente innovativo rispetto a quello che gli Stati membri dell’UE e i
suoi partner mediterranei hanno costantemente adottato sin dal 1972. In
effetti, le denominazioni di Euro-Med e Mediterraneo hanno sempre riguardato
formati meno comprensivi, vale a dire limitati a quella parte dell’Europa che è
organizzata come Unione Europea e a quella parte del bacino mediterraneo che è
rappresentata dagli Stati del Nord Africa e del Vicino Oriente. A questo (che è
stato il formato del PEM) l’UPM ha aggiunto una serie di Stati dell’Europa
meridionale che sono mediterranei, che non fanno parte dell’UE, ma che
potrebbero un giorno entrare a farne parte (come il Principato di Monaco e,
soprattutto, gli Stati che si affacciano sul mare Adriatico e che costituiscono
l’area dei Balcani occidentali). Di questo nuovo formato euro-mediterraneo
sembra non dover fare più parte la Libia, che nel PEM ha partecipato come
osservatore sin dalla fine degli anni 1990 e che, invece, ha rifiutato di
entrare nell’UPM. Fa ora parte dell’UPM, per contro, la Mauritania che si trova
ad avere due appigli, quello mediterraneo e quello sub-sahariano. In
particolare, l’allargamento ai Balcani occidentali mette in discussione la
vecchia rappresentazione geopolitica dei rapporti euro-mediterranei[72]. Da un lato, annulla la
centralità del Nord Africa e del Vicino Oriente. Dall’altro, mette insieme due
aree con caratteristiche molto diverse, a partire dalle dinamiche conflittuali
che le attraversano. È un’unificazione che avviene nel nome di una un’ottica
pan-mediterranea, nonché di una solidarietà pan-mediterranea. La Dichiarazione
di Parigi ha ufficialmente lanciato il “Processo di Barcellona: Unione per il
Mediterraneo” e ne ha definite finalità e struttura istituzionale[73]. In essa viene stabilita
anzitutto la filosofia generale di questo “nuovo partenariato multilaterale e
rinforzato”. Per i firmatari si tratta soprattutto di una “ambizione strategica
per il Mediterraneo”, che si traduce in “un impegno risoluto in favore della
pace, della democrazia, della stabilità regionale e della sicurezza, attraverso
la cooperazione e l’integrazione regionale”. In relazione a ciò sono
richiamati:
- le misure pratiche miranti a
prevenire la proliferazione nucleare e l’accumulo eccessivo di armi
convenzionali;
- le misure miranti al
rafforzamento della “democrazia e del pluralismo” e al “pieno rispetto dei
diritti dell’uomo ivi compresi i diritti economici, sociali e culturali, civili
e politici”[74].
A tal proposito viene preso in considerazione anche il rafforzamento del ruolo
delle donne nella società, il rispetto delle minoranze e il dialogo culturale;
- il sostegno al processo di pace
israelo-palestinese e ai negoziati tra la Siria ed Israele;
- la condanna del terrorismo in
tutte le sue forme e manifestazioni. I firmatari si dicono “determinati a
mettere integralmente in atto il Codice di condotta in materia di lotta contro
il terrorismo[75]”
e ad “agire sui fattori che favoriscono la propagazione del terrorismo”
ricordando che essi “rifiutano totalmente di associare una religione o una
cultura, qualunque essa sia, al terrorismo”[76].
Inoltre i Paesi firmatari si
accordano sui principi generali che devono guidare l’azione collettiva, ovvero
la migliore suddivisione delle responsabilità, la pertinenza dei progetti e una
maggiore visibilità; il partenariato inglobante, fondato sul consensus; il
coinvolgimento della società civile, delle autorità locali e regionali, nonché
del settore privato. Per quel che concerne gli obiettivi principali, la
Dichiarazione di Parigi afferma che il nuovo partenariato “si appoggerà sull’acquis
di Barcellona”, sottolineando che “è arrivato il momento di infondere uno
slancio nuovo e duraturo al Processo di Barcellona”, grazie a “sforzi accresciuti
e a nuovi catalizzatori”, in particolare “la rivalutazione del livello politico
delle relazioni dell’UE con i suoi partner mediterranei” (co-presidenza,
vertici biennali tenuti alternativamente nei Paesi dell’UE e nei Paesi MED, il
rafforzamento del ruolo dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea,
riconoscimento del contributo della fondazione Anna Lindt). Un altro obiettivo
è di fare dell’UPM un’unione di progetti. Per conseguenza saranno scelti
primariamente i progetti suscettibili di rendere le relazioni UE-MED “più
concrete e più visibili” (disinquinamento, autostrade marittime e terrestri,
piano solare, università euro-mediterranee, sviluppo delle imprese)[77].
Analisi e riflessioni sulla
Dichiarazione di Parigi
La Dichiarazione di Parigi riprende
i principi enunciati e le proposte fatte nella Comunicazione della Commissione
del maggio 2008[78].
Si fatica a reperirvi un qualunque apporto o correttivo proveniente dalla
sponda sud del Mediterraneo. Forse se ne potrebbe rinvenire una traccia nel richiamo
ai “diritti economici, sociali, culturali, civili e politici”, nella
dissociazione tra “religione e terrorismo”, nella “facilitazione dell’immigrazione
regolare”. Il Summit di Parigi non fa che elencare alcuni progetti, ma, in
definitiva, sono i ministri degli Esteri ad essere incaricati di operare una
prima selezione in occasione della riunione prevista prima della fine della
presidenza francese al Consiglio europeo[79]. Nell’insieme, la lettura
della Dichiarazione non apporta niente di fondamentalmente nuovo, a parte la
menzione dei principi generali d’uguaglianza, di partecipazione, di
appropriazione comune e l’insistenza su dei progetti concreti e visibili. Si ha
la sensazione che la diplomazia francese si sia concentrata sulla realizzazione
di un vertice col quale accontentare tutti, smussando gli angoli. Infatti la
Dichiarazione condanna il terrorismo, al quale dedica tutto un paragrafo, ma
non l’occupazione dei territori palestinesi. Certo i firmatari affermano di
essere risoluti “a mettere fine alle occupazioni”, senza dire esplicitamente
quali. La Dichiarazione dice di “sostenere” il processo di pace
israelo-palestinese, ma omette di menzionare il Piano arabo di pace adottato
nel Summit arabo di Beirut nel 2002[80] e reiterato in occasione
del Summit di Riyad del 2007[81]. Per non scontentare la
Turchia si ribadisce (come già enunciato nella Dichiarazione di Roma[82]) la dissociazione dell’appartenenza
all’UPM dalla richiesta di adesione o dal processo di pre-adesione. D’altra
parte la Dichiarazione dedica più paragrafi al Processo di Barcellona e alla
necessità di appoggiarsi all’acquis di Barcellona. Si tratta soprattutto di non
far apparire l’Unione per il Mediterraneo come un progetto “concorrente” o
“nuovo”. Viceversa, nell’interpretazione dei consiglieri di Nicolas Sarkozy, in
particolare di Henry Guaino, l’UPM pratica “una filosofia nuova che consiste
nel sostituire una logica di progetti a una logica burocratica dove si dispone
di un budget e ci si domanda come spenderlo”[83]. Sicché si può affermare
che l’Unione per il Mediterraneo si fonda sull’acquis di Barcellona, ma è una
filosofia nuova[84].
Per quel che concerne i finanziamenti, la Commissione ha fatto valere il suo
punto di vista, perché, così come esplicitato nella Comunicazione, non è pronta
a fornire dei contributi supplementari ai nuovi progetti, e sicuramente non “a
detrimento delle dotazioni budgetarie bilaterali esistenti”. A cosa serve
ricordare che il Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo è concepito
come un “partenariato multilaterale mirante ad accrescere il potenziale di
integrazione e di coesione regionale”, se nello stesso tempo si insiste sul
mantenimento delle “dotazioni bilaterali esistenti”? Per quel che concerne la
partecipazione, solo la Libia ha fatto defezione, dato che il Presidente
Gheddafi ha affermato che l’UPM divide il mondo arabo e l’Africa. In realtà, il
presidente libico non ha apprezzato l’allargamento del perimetro dell’UPM e la
sua comunitarizzazione, poiché ciò significa, ai suoi occhi, che la Libia si trova
costretta ad accettare l’acquis del Processo di Barcellona, senza esserne parte
pregnante. A ciò bisogna aggiungere, naturalmente, l’avversione libica per
tutto ciò che può sembrare come una normalizzazione delle relazioni con Israele
attraverso la partecipazione ad un progetto comune.
Riguardo alla Siria si può dire che
essa è uscita dall’ostracismo cui era stata condannata, ma la esagerata
attenzione ad essa riservata, di certo, non è piaciuta né all’Egitto, né alla
Giordania. Ma mentre il Presidente Mubarak ha tenuto ad essere presente al
Summit di Parigi, essendo stato nominato co-presidente dell’UPM, il re di
Giordania ha preferito delegare il suo primo ministro[85]. Quanto all’assenza del
re del Marocco, essa è difficilmente spiegabile, dal momento che il Marocco è
stato piuttosto favorevole all’Unione per il Mediterraneo[86]. Certamente la Turchia ha
tenuto ad essere presente, ma solo dopo aver ricevuto ripetute assicurazioni,
da parte dei diplomatici francesi ad Ankara, che il processo di pre-adesione è
totalmente dissociato dal progetto Unione per il Mediterraneo. Israele, dal
canto suo, raccoglie, dalla partecipazione al Summit, un progresso diplomatico,
“senza tuttavia fare un gesto particolare nel quadro del processo di pace”[87]. Dalla parte europea, la
Commissione è soddisfatta per aver “comunitarizzato” un’iniziativa francese. In
questa “europeizzazione” del progetto, il ruolo della Germania è stato
determinante[88].
La placida perseveranza della Merkel alla fine ha avuto ragione sulla
ostinazione del presidente francese. Gli altri Paesi europei non rivieraschi
sono stati meno reattivi nei confronti dell’UPM. Infatti, per i Paesi
scandinavi, come per i Paesi PECO (Europa centrale ed orientale) le relazioni
con i più vicini Stati, come la Russia, l’Ucraina e la Bielorussia, sono più
importanti di quelle con i Paesi mediterranei[89].
In definitiva il Summit di Parigi
ha superato come successo diplomatico il merito inizialmente attribuito al
presidente francese. Ma è a partire da adesso che il vero lavoro comincia e il
cammino non sarà facile; poiché c’è un reale rischio di confusione tra una
“grande visione per il Mediterraneo” e i “grossi progetti mediterranei”, anche
se nessuno mette in dubbio l’importanza delle autostrade del mare, dello
sfruttamento delle energie rinnovabili o della salvaguardia dell’ambiente. Ora
a troppo insistere sull’unione di progetti si può correre il rischio di
dissociare lo spazio economico dallo spazio umano. Niente illustra meglio
questo rischio della questione del controllo dell’immigrazione. Infatti,
criminalizzando le forme irregolari di circolazione o la clandestinità e
continuando a sollecitare i Paesi mediterranei per controllare tali flussi, il
progetto di Unione per il Mediterraneo elude la questione umana. Peggio ancora,
la trasforma in problema, sfuggendo così “al bisogno primario che è quello di
gestire il Mediterraneo come uno spazio umano comune”[90]. In conseguenza il primo
vero cantiere dell’UPM dovrebbe essere “la gestione della mobilità umana nel
Mediterraneo”, come fa presente una lettera aperta[91] scritta da un gruppo di
eminenti personalità. “Come parlare di Unione a delle popolazioni alle quali si
impone di rimanere nei propri Paesi? Queste popolazioni hanno bisogno delle
loro mobilità senza le quali l’integrazione regionale resterebbe una finzione”.
Il progetto di rapporto della Commissione degli Affari esteri del Parlamento
europeo, del 10 settembre 2008, torna su questa questione spinosa della
mobilità, sottolineando la preoccupazione del Parlamento europeo “di fronte
alla tendenza dominante fra gli Stati membri, che privilegiano una visione
delle politiche mediterranee improntata alla sicurezza, in particolare nella
gestione del fenomeno migratorio”[92]. Il secondo cantiere deve essere la
risoluzione dei conflitti. L’integrazione regionale, tra vicini, esige che la
regione si liberi di tutte le cause che costituiscono ostacolo al lavoro
collettivo e alla circolazione dei beni, dei servizi, dei capitali e delle
persone. L‟UE non può più accontentarsi delle sole promesse o di inviare delle
forze di interposizione (come in Libano) o di polizia. Essa deve prendere le
questioni di petto e convocare una conferenza di pace sul Vicino-Oriente, che
appare ancora più urgente dopo che il sogno di Annapolis è svanito. I negoziati
indiretti tra Israele e la Siria, la tregua tra Hamas e Israele e la tregua sul
fronte libanese offrono al momento degli spiragli di opportunità. Bisogna
scegliere il momento per porre fine ad un conflitto che non solo inquina la
regione, ma interferisce nel rapporto tra l’Europa e gli arabi. Ne va della
sicurezza della regione e di quella del Mediterraneo e dell’Europa[93]. La già citata lettera
aperta afferma senza esitazione: “ciò che minaccia l’Europa, non sono i poveri,
ma gli umiliati, gli esclusi dal diritto e dallo sviluppo”. L’accerchiamento di
Gaza, il proseguimento del colonialismo in Cisgiordania e nelle Alture del
Golan, e la costruzione di un muro di settecento chilometri che sventra la
Palestina, non soltanto appannano l’immagine d’Israele nel mondo, ma gettano un
velo di dubbio sulla coerenza, la credibilità e l’efficacia della politica
estera comune della stessa Unione europea. La soluzione del conflitto
arabo-israeliano non eliminerà per miracolo il fondamentalismo, il radicalismo
e il terrorismo. Ma contribuirà sicuramente a ridurre il fascino dei movimenti
radicali e la loro capacità di reclutamento, e a pacificare le relazioni tra
arabi ed europei. Indirettamente, la soluzione di questo conflitto maggiore
produrrebbe una bella dimostrazione che potrebbe innestare un circolo virtuoso
e contribuire alla soluzione di altri problemi meno spinosi, come quello di
Cipro e del Sahara Occidentale[94].
Per quel che concerne il cantiere
riguardante l’educazione si può dire che esso è un ambito che riguarda soprattutto
la responsabilità degli stessi Paesi del sud, dove a dire il vero dei progressi
sono già registrati sia nel Maghreb che nel Machrek, tanto sul piano dei tassi
di scolarizzazione, che su quello di alfabetizzazione degli adulti.
Ma la situazione tra i Paesi è
diversa e occorrono degli sforzi supplementari[95] per ridurre il tasso di
analfabetismo (soprattutto in Marocco e in Egitto), accrescere l’istruzione
femminile, migliorare il livello dell’insegnamento e della ricerca e offrire
una formazione che risponda ai bisogni del mercato. È a questo punto che il
contributo dell’UPM si rende necessario. Non si tratta soltanto di creare un’Università
euro-mediterranea, ma di moltiplicare i gemellaggi di scuole, di università, di
laboratori, di centri specializzati di ricerca. È necessario facilitare la
mobilità degli studenti, dei ricercatori e dei professori, la concessione di
borse di studio, la promozione di programmi di scambi e la creazione di
biblioteche specializzate. Queste proposte non vogliono costituire delle
alternative ai grandi cantieri del Mediterraneo, ma piuttosto il
“biocarburante” destinato a umanizzare i rapporti Nord-Sud per rispondere alle
esigenze del vivere insieme. In questo modo l’UPM può aprire un nuovo capitolo
nelle relazioni euro-mediterranee e anche euro-arabe.
Ma al di là del finanziamento dei
progetti[96],
è la volontà politica che bisogna inizialmente mobilitare per superare i
rancori ereditati dal passato e porre fine alle lamentele del presente per
costruire un avvenire comune.
Le giovani generazioni del sud del
Mediterraneo, specialmente quelle arabe, non hanno conosciuto né il
colonialismo, né le lotte di liberazione nazionale (a parte il caso dei
palestinesi): esse reclamano apertura e comprensione, piuttosto che rimpianti e
rivincite. Così, invece di sbarrare le frontiere ed erigere dei muri sempre più
alti, è giunto il tempo di moltiplicare i passaggi e facilitare la mobilità.
Questo è ciò che l’Unione per il Mediterraneo deve realizzare: “poiché la
storia lo esige, la geografia lo impone, l’avvenire lo reclama”[97].
3-4 novembre 2008: Conferenza
ministeriale di Marsiglia[98]
Fino all’ultimo minuto è stato
incerto se la prima Conferenza dei quarantatré ministri degli Affari esteri
parte dell’UPM si sarebbe tenuta. Infatti Israele si è opposta alla
partecipazione della Lega degli Stati arabi a tutte le riunioni dell’Unione per
il Mediterraneo ed inoltre la scelta del seggio per il Segretariato ha
avvelenato l’atmosfera. Ma dato che alcuni Stati hanno avuto timore che la
Conferenza non si tenesse per un paventato eventuale fallimento, si è finito
per smussare gli angoli così da trovare un consenso su queste due questioni.
Approfondimento della Dichiarazione
di Marsiglia[99]
Lunga venti pagine, la
Dichiarazione di Marsiglia si ispira molto alla Dichiarazione di Barcellona, ma
essa pone l’accento su una migliore condivisione delle responsabilità, su una
nuova architettura istituzionale, che riflette il principio di uguaglianza e di
co-ownership, e sui progetti prioritari. Ma i ministri cominciano col proporre
un’ennesima variazione nella denominazione; infatti dalla Conferenza di
Marsiglia il progetto non si chiamerà più Processo di Barcellona: Unione per il
Mediterraneo, ma solamente Unione per il Mediterraneo. Per risolvere le
questioni che inasprivano gli animi, da un lato viene scelta Barcellona come
sede del Segretariato generale e dall’altro i ministri decidono che “la Lega
degli Stati arabi parteciperà a tutte le riunioni, a tutti i livelli” dell’UPM.
Poi, la Dichiarazione approccia la
questione israelo-palestinese. A questo riguardo i ministri “riaffermano la
loro volontà di pervenire ad una soluzione giusta, globale e durevole del
conflitto arabo-israeliano, conformemente ai termini di riferimento e ai
principi enunciati in occasione della Conferenza di Madrid[100], ivi compreso lo scambio
della terra contro la pace, e sulla base delle risoluzioni del Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite”. I ministri sottolineano ugualmente l’importanza
dell’iniziativa di pace araba e riaffermano il loro sostegno agli sforzi
miranti a favorire il progresso in tutti gli ambiti del processo di pace nel
Vicino-Oriente. Inoltre essi “si felicitano del ruolo positivo giocato dall’UE
nel processo di pace mediorientale” affermando il loro sostegno “alle trattative
indirette tra Israele e la Siria, sotto gli auspici della Turchia” e
compiacendosi “della stabilizzazione delle relazioni diplomatiche tra la Siria
e il Libano”. Accostandosi alla delicata questione delle armi di distruzione di
massa, la Dichiarazione sottolinea che le parti si sforzeranno di realizzare
nel Vicino-Oriente una zona dove armi di distruzione di massa, armi nucleari,
chimiche e biologiche e i loro vettori, che sono mutualmente ed effettivamente
verificabili, siano assenti.
Schema istituzionale
Dopo queste considerazioni generali
sulla pace in Medio Oriente e sul sostegno al processo di pace, la
Dichiarazione di Marsiglia presenta la nuova architettura istituzionale dell’Unione
per il Mediterraneo. L‟UPM è una classica organizzazione intergovernativa[101], guidata da una
co-presidenza. Le decisioni sono prese all’unanimità da un vertice biennale di
capi di Stato e di Governo[102] e, annualmente, da una
conferenza dei ministri degli Esteri. Il lavoro dei capi di Stato e di Governo
e dei ministri è preparato da una conferenza permanente di Alti Funzionari,
assistiti da un Comitato permanente di rappresentanti nazionali che ha sede a
Bruxelles. L’esecuzione delle politiche e dei progetti approvati dall’UPM
compete a un Segretariato, destinato a godere di autorevolezza e autonomia.
Si tratta, perciò, di un organismo
molto diverso dal PEM e dalle altre organizzazioni che lo hanno preceduto.
Tutte queste organizzazioni, infatti, anche quando hanno integrato dimensioni
intergovernative più o meno rilevanti, altro non sono state che l’attuazione di
politiche dell’UE e non dei Governi.
Co-presidenza
Prevede un co-presidente del Sud
del Mediterraneo, “scelto tramite consensus per un periodo non rinnovabile di
due anni” e un co-presidente del Nord rappresentante l’UE, “conformemente alle
disposizioni del Trattato che sono in vigore”. I due co-presidenti, Nicolas
Sarkozy (Francia) e Hosni Mubarak (Egitto), convocheranno e “dirigeranno le
riunioni dell’UPM”.
La co-presidenza dura due anni, ma
al momento non è ancora molto chiaro se il co-presidente UE sarà quello che di
sei mesi in sei mesi guida l’Unione europea oppure un presidente ad hoc in
carica per due anni come quello non-UE. Il Presidente Sarkozy ha chiesto e
ottenuto una deroga che gli permette di essere il co-presidente dell’UPM oltre
il trascorso semestre di presidenza francese dell’UE. Questa decisione è stata
però contestata dalla Repubblica Ceca (che avrà la presidenza UE nel primo
semestre 2009[103]).
Si è allora raggiunto uno strano compromesso in base al quale il co-presidente
europeo dell’UPM sarà Sarkozy per due anni, affiancato però da quello dell’UE,
che cambia ogni sei mesi[104]. In generale, il nesso
con la presidenza UE rafforza la co-presidenza UE nell’UPM. È però anche vero
che il cambiamento semestrale del co-presidente comunitario, mentre l’altro
resta lo stesso, rischia di minare la coesione della co-presidenza e non
favorisce il suo difficile lavoro di mediazione e negoziazione al vertice dell’UPM.
La soluzione adottata a Marsiglia, una presidenza nazionale per due anni
accompagnata da quella semestrale dell’UE, non soddisfa i requisiti di
stabilità e coesione e, certamente, non contribuisce a rafforzare il membro
europeo della co-presidenza UPM.
Alti Funzionari e Comitato
permanente congiunto
Gli Alti Funzionari[105] sono incaricati di
trattare tutti gli aspetti dell’iniziativa. Essi devono vagliare e valutare i
progressi compiuti in tutti gli ambiti dell’Unione per il Mediterraneo, ivi
comprese le questioni che erano state precedentemente trattate dal Comitato
Euro-Mediterraneo. Gli Alti funzionari si dovranno riunire regolarmente allo
scopo di preparare le riunioni ministeriali a cui sottoporre le proposte di
progetto, nonché la programmazione di lavoro annuale. Inoltre avranno l’incarico
“di approvare le linee direttrici e i criteri di valutazione che permettano di
giudicare il valore dei progetti proposti”. Nelle loro proposte gli alti
funzionari rispetteranno egualmente il principio secondo il quale ogni progetto
deve: contribuire alla stabilità e alla pace nella regione euro-mediterranea;
non attentare agli interessi legittimi di un membro dell’Unione per il
Mediterraneo; tenere conto del principio di geometria variabile; rispettare la
decisione dei Paesi membri interessati da un progetto in corso quando questo
sia fonte di sviluppo. Il Comitato permanente congiunto, che rimpiazza il
Comitato Euromed, tratterà soltanto le questioni di minore rilevanza che non
sono affrontate dagli Alti Funzionari; ad esso però viene attribuito anche il
compito di organizzare le riunioni ministeriali e i vertici biennali svolgendo
in tal modo un ruolo rilevante nell’intero processo.
Segretariato congiunto
Il posto centrale in seno all’architettura
istituzionale è occupato dal segretariato generale[106]. Esso dà slancio al
processo per quel che riguarda l’identificazione, il seguito e la promozione
dei nuovi progetti, così come la ricerca di finanziamenti[107] e di partner per la
messa in opera. Inoltre assicura una concertazione operativa con tutte le
strutture del processo, in particolare con le co-presidenze, elabora dei
documenti di lavoro per le istanze di decisione ed ha una personalità giuridica
distinta e uno statuto autonomo. Ma il mandato del Segretariato è di natura
tecnica: raccoglie i progetti, informa il Comitato permanente e gli Alti
Funzionari della loro messa in opera.
Per quel che concerne la
composizione, oltre al Segretario generale, esso comprende cinque segretari
generali aggiunti. Per il primo mandato i cinque segretari generali aggiunti
saranno scelti tra Autorità palestinese, Israele, Malta, Grecia e Italia.
Quanto al Segretario generale, questo sarà scelto da un Paese del sud[108]. Il segretariato sarà
finanziato da una “sovvenzione di funzionamento ripartita in maniera
equilibrata tra i partner euro-mediterranei, su una base volontaria, e dal
budget comunitario”. Per quel che concerne la sede, il Paese d’accoglienza
offrirà l’edificio, mentre, un accordo di sede tra il Paese ospite e il
Segretariato, garantirà a quest’ultimo uno statuto autonomo.
Oltre a questi organi, la
Dichiarazione di Marsiglia sottolinea la necessità di rafforzare la posizione
dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea (APEM)[109] e prende in considerazione
la proposta del Comitato delle regioni di creare un’assemblea regionale e
locale euro-mediterranea (ARLEM)[110].
Ambiti di attuazione
Riguardo agli ambiti di
cooperazione per il 2009 non viene lasciato da parte nessun settore importante[111], come il dialogo politico
e la sicurezza, la sicurezza marittima, il partenariato economico e
finanziario, l’energia, i trasporti, l’agricoltura, lo sviluppo urbano, l’acqua,
l’ambiente, la società dell’informazione, il turismo, l’area di libero scambio,
il dialogo economico, la cooperazione industriale, le statistiche, la
cooperazione sociale, umana e culturale, la sanità, lo sviluppo umano, il
dialogo tra le culture, la giustizia e il diritto, il rafforzamento del ruolo
delle donne, Euromed giovani, la cooperazione con la società civile e gli
attori locali, le migrazioni. La Dichiarazione ha permesso di trovare l’accordo
su un primo elenco di sei grandi Progetti prioritari:
- lotta all’inquinamento del
Mediterraneo, mirante a ripulire il Mediterraneo entro il 2020, un programma
che già esisteva (“Horizon 2020”), per ristabilirne l’equilibrio ecologico,
attraverso strategie per l’acqua, come verrà stabilito nelle linee guida alla
Conferenza ministeriale sull’acqua, il 22 dicembre. La Strategia completa sarà
presentata nel 2010[112] e riguardo ad essa sono
stati presentati una serie di progetti da valutare;
- le autostrade di terra e di mare,
funzionali a migliorare le relazioni tra gli Stati ed il commercio regionale.
“Il Mediterraneo -recita la Dichiarazione di Parigi- non è un mare che separa,
ma è un mare che unisce le popolazioni. Costituisce una grande via di
comunicazione commerciale. Pertanto, conviene accordare un’attenzione
particolare alla cooperazione nel campo della sicurezza marittima, in una
prospettiva d’integrazione globale nella regione mediterranea”. La facilità e
la sicurezza di accesso e di circolazione delle merci e delle persone su terra
e su mare, sono essenziali per mantenere relazioni e rafforzare il commercio
regionale. Lo sviluppo delle autostrade del mare, ivi incluso la connessione
dei porti, in tutto il bacino mediterraneo, come la costruzione di autostrade
costiere e la modernizzazione del collegamento ferroviario “trans-Maghreb”,
permetteranno di accrescere il flusso e la libertà di circolazione delle
persone e delle merci ed aumenteranno la sicurezza in mare. A tal riguardo sono
stati presentati progetti pilota elaborati dagli esperti nel corso di due
incontri (luglio e ottobre 2008). I progetti verranno valutati alla Conferenza
Ministeriale.
- la protezione civile, il cui
obiettivo è quello di sviluppare un programma di prevenzione e risposta ai
disastri naturali nel bacino mediterraneo, collegandolo più strettamente con il
Meccanismo di protezione civile europeo[113];
- lo sviluppo di energie alternative,
tramite il piano mediterraneo per l’energia solare (Mediterranean Solar Plan,
MSP), il cui scopo è lo sviluppo di fonti di energia alternative (in
particolare solare), che, focalizzando l’attenzione sulla fattibilità, la
concezione, la creazione e il relativo mercato, di un Piano solare mediterraneo
(volto a ricoprire i deserti del Maghreb di pannelli solari), assicuri uno
sviluppo sostenibile. Sono quindi stati definiti gli obiettivi e la struttura
di tale piano ed è iniziata la raccolta di proposte di progetto, per cui sono
stati discussi il finanziamento e le modalità di sviluppo;
- l’educazione e la ricerca:
Università mediterranea. In quest’ambito si tende a contribuire alla
comprensione reciproca tra i popoli attraverso lo sviluppo di un’area euro-mediterranea
dell’educazione, della scienza e della ricerca. Pertanto viene promosso lo
sviluppo di programmi post universitari, di ricerca e di scambio e la creazione
di una Università euro-mediterranea (già prevista dalla Conferenza ministeriale
euro-mediterranea del Cairo, luglio 2007) che è stata inaugurata in Slovenia (a
Portoroz); scopo di tale creazione è mettere in piedi una rete di cooperazione
per associare istituzioni partner e le Università esistenti della regione
euro-mediterranea. È stata inoltre approvata l’iniziativa del Marocco per la
creazione di una Università a vocazione euro-mediterranea a Fez e convocato un
working group per l’educazione superiore che aiuterà la cooperazione nell’area.
Inoltre il programma Erasmus Mundus (ovvero il programma europeo di
cooperazione e mobilità diretto a rafforzare l’eccellenza e l’attrattiva dell’istruzione
superiore europea nel mondo e a favorire la cooperazione con i Paesi terzi)
entrerà in una nuova fase, per la quale sono stati previsti un bilancio più
sostanzioso e un campo d’applicazione ampliato[114]
- l’iniziativa mediterranea per lo
sviluppo del business ha lo scopo di assistere le organizzazioni che operano in
appoggio alle piccole e medie imprese con strumenti finanziari e assistenza
tecnica. A tal proposito tra i progetti vi è anche la proposta della creazione
di un’Agenzia per lo sviluppo delle piccole e medie imprese e del microcredito
nei Paesi mediterranei (una proposta italo-spagnola che ha già raccolto il
consenso di diversi Stati del sud del Mediterraneo, come Algeria, Egitto,
Marocco e Tunisia, che sono entrati nel gruppo di lavoro) così come del Nord[115].
Il metodo peri grandi progetti
Il primo pilastro dell’UPM sta
dunque in una direzione politica condivisa tra gli Stati membri dell’UE e gli
Stati non membri. Il secondo sta in un programma di pochi grandi progetti,
concepiti per dare benefici rapidi e tangibili ai cittadini euro-mediterranei,
al posto del programma onnicomprensivo, considerato troppo ambizioso e
farraginoso dalla Commissione e dall’UE (come, per esempio, la realizzazione
della deep integration). L’obiettivo è di dare all’UPM quella visibilità
politica che è mancata al PEM[116].
Questo programma è di fatto
aggiuntivo a quello della Commissione. Esso non si sostituisce a quest’ultimo
né lo sopprime[117]. È attraverso la
realizzazione dei progetti, reputati più immediatamente benefici per i
cittadini euro-mediterranei, che l’UPM conta di dare un fondamento concreto
alla solidarietà euro-mediterranea e alle sue prospettive di cooperazione
politica. I criteri in base ai quali sono stati individuati i progetti
prioritari non sono stati resi noti. Anche per questo motivo è difficile
esprimersi sulla loro congruità. Non c’è dubbio che fra le prime liste
indicative provenienti dal governo francese e la lista finale ci sono molte
differenze dovute all’intervento della Commissione: alcuni dei principali
progetti (come quello delle autostrade marittime e quello del disinquinamento
del mare Mediterraneo) appaiono infatti come continuativi rispetto agli
orientamenti già da tempo presenti nei “Programmi di lavoro” del PEM e
costantemente perseguiti dalla Commissione. Se l’UPM funzionerà, questi
progetti, che sono rimasti a un livello di attuazione insoddisfacente,
potrebbero trovare la spinta che fino ad ora è loro mancata. Altri progetti
sembrano scaturire da scelte nazionali che hanno trovato nell’UPM un canale per
affermarsi. È questo il caso del progetto sull’energia solare, che riflette
priorità di investimento soprattutto della Germania e della Spagna.
Nelle prime fasi del progetto di
Unione Mediterranea, si è discusso molto di progetti di sviluppo dell’energia
nucleare per usi civili in una prospettiva coerente con gli interessi della
stessa Francia[118]. La scelta del solare
potrebbe riflettere un compromesso politico fra Parigi, Berlino e Madrid. Altri
progetti, come quello dell’università euro-mediterranea in Slovenia non
suggeriscono una linea d’azione incisiva in materia di sviluppo regionale. Per
avere un impatto significativo, i programmi nel settore dell’istruzione e della
ricerca dovrebbero essere ben più vasti e penetranti. In generale, i grandi
progetti dovrebbero essere inquadrati in una strategia complessiva di sviluppo.
Il Rapporto Reiffers[119], per esempio, ha
menzionato la necessità di cambiare i punti di partenza degli individui e delle
imprese nei Paesi non-UE. In questo caso, i progetti dell’UPM tendono sì a
questo obiettivo, ma in lassi di tempo assai diversi fra loro, sicché il loro
impatto sarebbe lontano e debole. Dietro ai progetti approvati a Marsiglia non
s’intravede una strategia organica. Se c’è, andrebbe resa nota, cosicché la si
possa discutere pubblicamente. I progetti che l’UPM si appresta a realizzare
potrebbero anche non avere particolari controindicazioni, ma sarebbe importante
spiegarne meglio i benefici. Anche questo è un compito cui la leadership dell’UPM,
una volta stabilita, dovrebbe attendere. Dal punto di vista pratico, è chiaro
che le iniziative intraprese dalla Commissione o, più in generale, dall’UE non
divengono automaticamente parte dell’agenda dell’UPM, come invece accadeva nel
PEM. Esse dovranno essere filtrate dagli organi dell’UPM. Non c’è dubbio che la
co-presidenza sarà investita di queste iniziative e il co-presidente europeo
dovrà negoziarle con il suo collega. Dovranno, le stesse iniziative, essere
filtrate dal Segretariato? A questa domanda non sembra esserci per ora una
risposta precisa. D’altra parte, il ruolo del Segretariato dell’UPM è
oggettivamente limitato dal fatto che fra i suoi finanziatori figurano, in modo
non secondario, i fondi della Commissione e della Banca Europea per gli
investimenti (BEI). Quando il progetto era stato lanciato si parlava di fonti
private. Ma allora il progetto era francese e probabilmente si pensava, in un’ottica
nazionale, a specifici progetti, diversi da quelli che sono stati poi approvati
dal Vertice di Parigi e precisati dai ministri a Marsiglia, come per esempio
allo sviluppo dell’energia nucleare per usi civili. Si profila perciò un
dualismo, che potrebbe sfociare in competizioni corporative fra le varie
istituzioni. Questo non sarebbe utile a nessuno e, perciò, la leadership
euro-mediterranea è chiamata sia a trovare un equilibrio fra PEV e UPM, che a
fare sì che il dualismo sia superato in un’ottica di cooperazione e sinergia.
Riflessione sulla Dichiarazione di Marsiglia
La Dichiarazione di Marsiglia è
interessante per l’avvio dell’Unione per il Mediterraneo e sotto questo aspetto
è rimarchevole il lavoro dell’ambasciatore Serge Telle[120], incaricato del
partenariato al Quai d’Orsai, ovvero al Ministero degli Esteri francese. Egli
non ha risparmiato alcuno sforzo pur di assicurare il successo della Conferenza
di Marsiglia. Il suo compito è stato ostacolato dall’ostruzionismo israeliano e
dalle rivalità tra i Paesi per la definizione della sede del Segretariato. In
principio Israele si è opposto alla partecipazione della Lega Araba alle
riunioni dell’UPM. Del resto è ben nota l’ostilità di Israele verso l’attuale
segretario generale della Lega, Amr Moussa[121], accusato di essere un
arabista anti israeliano. Ciò che teme Israele è di trovarsi sempre sotto
accusa. Ma c‟è da chiedersi come uno Stato che non rispetta le risoluzioni del
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite possa non esserlo. Del resto sulla
questione della partecipazione della Lega degli Stati arabi, l‟Egitto, in
quanto co-presidente, e gli altri Paesi arabi hanno mostrato grande fermezza,
in quanto un partner non può esercitare il suo diritto di veto alla
partecipazione della Lega degli Stati arabi nella misura in cui la maggior
parte dei Paesi del sud-est mediterraneo sono arabi e nella misura in cui l‟UPM
avrà bisogno del finanziamento di altri Paesi arabi non rivieraschi, come i
Paesi del Golfo. I ministri europei e gli altri partner hanno aderito a questo
punto di vista. Anche se alla fine Israele ha dovuto cedere, non esce
completamente sconfitto dalla Conferenza di Marsiglia. Infatti un israeliano
sarà scelto come segretario generale aggiunto. Ma, per un motivo di equilibrio,
anche un palestinese siederà come segretario generale aggiunto. Per i tre altri
segretari aggiunti saranno scelti un italiano, un greco e un maltese. In questo
modo i ministri riuniti a Marsiglia hanno voluto distribuire i ruoli e
coinvolgere nel nuovo progetto la maggior parte degli Stati europei del
Mediterraneo. Alcuni hanno visto in questa scelta una specie di premio di
consolazione. Ma dal momento che i principali Paesi interessati dai problemi e
dalle dinamiche mediterranee sono anzitutto i Paesi rivieraschi, non può
condividersi tale posizione. Anche se, forse, sarebbe stato giudizioso
scegliere almeno un segretario aggiunto tra i Paesi europei non rivieraschi.
Inoltre dal momento che i segretari generali aggiunti saranno incaricati di
stilare dei dossier tematici, c’è il rischio evidente di doversi contrapporre
per riuscire a rientrare in una ristretta cerchia di nomination politiche.
Questa è la cosa peggiore che possa capitare perché, in fin dei conti ciò che
importa è la competenza e non la nazionalità. Un segretario aggiunto maltese
per esempio non siederà al Segretariato per difendere solo gli interessi di
Malta. Si suppone che una volta nominato egli si metta a servizio dell’Unione
per il Mediterraneo e non al servizio del suo Paese d’origine. Pertanto è
opinione comune che i ministri euro-mediterranei debbano essere molto attenti a
tali rischi in quanto è in gioco la credibilità di tutto il dispositivo. La
scelta del Segretario generale è altrettanto spinosa. Si sa già che dovrà
essere del sud, ma le opzioni possibili non sono numerose. Il Marocco presiede
già la fondazione Anna Lindt[122]. L’Algeria non è
ufficialmente candidata, ma avrebbe il diritto di pretenderlo. L’Egitto occupa
la co-presidenza. Per la Giordania non si può parlare propriamente di un Paese
rivierasco. Un segretario libanese o siriano non sarebbe sostenuto perché i due
Paesi mostrano nei riguardi di Israele una notoria ostilità a causa della
prosecuzione dell’occupazione. Quanto a Israele e alla Autorità palestinese,
come detto sopra, questi hanno già ottenuto ciascuno un posto di segretario
generale aggiunto. Restano allora la Turchia e la Tunisia. Ma la prima ha come
obiettivo prioritario l’adesione. La seconda non ha ancora digerito il rifiuto
di stabilire la sede del Segretariato a Tunisi, cosa che considera come un
disconoscimento, tenuto conto che essa è stata la prima ad aver sottoscritto l’Accordo
di Associazione e probabilmente la prima della classe in termini di
modernizzazione economica.La scelta del Segretario generale e dei segretari
generali aggiunti si farà nel corso del 2010. Mentre superata è ormai la
questione della sede, che sarà stabilita a Barcellona, in particolare nel
Palazzo Pedralbes. La candidatura di Barcellona si è imposta dopo il ritiro di
quello di La Valletta, a Malta, e le obiezioni formulate, al Nord come al Sud
alla candidatura di Tunisi. Avendo troncato le questioni spinose della
partecipazione, dell’architettura istituzionale e del seggio, la Conferenza
ministeriale di Marsiglia ha messo l’UPM sui binari. Il treno può ormai
mettersi in marcia. Verso dove, a quale velocità, con quali passeggeri e con
quale tipo di carburante saranno le principali questioni che si porranno nei
mesi a venire.
Co-governance
mediterranea nel quadro dell’Unione per il Mediterraneo: aspetto fondamentale
Si potrebbe pensare che data la
maggiore eterogeneità dei partecipanti all’UPM, considerando che ne fanno parte
Paesi del nord, del sud e dell’est del Mediterraneo, tale progetto sia
destinato ad arenarsi come già le precedenti iniziative rivolte al
Mediterraneo. Ma è proprio tale diversità geografica, culturale, storica che fa
dell’UPM un’organizzazione internazionale sui generis, appunto perché fondata
sulla co-governance. Infatti è proprio tramite quest’ampia partecipazione,
anche così diversa, che si può sperare in una maggiore integrazione dell’area
mediterranea, funzionale alla realizzazione di progetti comuni che realmente
appiani le discrepanze e promuova uno sviluppo finalmente costante. Invero la
partecipazione dei Paesi del Maghreb a progetti più ristretti rispetto all’Unione
per il Mediterraneo -come il “Mediterraneo occidentale” (la famosa formula
5+5), il “Forum del Mediterraneo” (costituito da quattro di questi Paesi senza
la Libia), il “Dialogo Mediterraneo della NATO”[123] (a cui non partecipa la
Libia), l’Unione del Maghreb Arabo (UMA)- o dei Paesi mediterranei ad
iniziative più ampie -come il Processo di Barcellona (in cui la Libia partecipa
solo come osservatore) e la Politica di Vicinato (cui non partecipano la
Mauritania, che fa parte del gruppo ACP, e la Libia)- non ha consentito finora
di poter risolvere questioni come quella del Sahara Occidentale (che inasprisce
il clima maghrebino dagli anni ‘70) o come quella israelo-palestinese; senza
dimenticare le relazioni tese tra l’Algeria e il Marocco (la frontiera tra
questi due Paesi è chiusa da diciotto anni) e la sorda rivalità per la
leadership regionale. Ma tutte queste questioni, per importanti che siano, non
hanno lo stesso potenziale distruttivo e la stessa risonanza del conflitto
arabo-israeliano. Per la longevità del conflitto tra Israele e i suoi vicini,
per la sua violenza stessa, per i suoi straripamenti fuori dai confini
regionali, per le sue ricadute internazionali, per la sua natura e per la strumentalizzazione
che ne fanno gli Stati locali e gli attori esterni, come i gruppuscoli
radicali, questo conflitto costituisce una fonte permanente d’instabilità nella
regione e di tensione internazionale. La soluzione del conflitto
arabo-israeliano faciliterebbe sicuramente la cooperazione regionale e
renderebbe più agevole l’effettiva inclusione di tutti i Paesi partner. Diverso
è certamente il caso del Sahara Occidentale, per il quale, con un po’ di
realismo e di buon senso, si può certamente trovare la via d’uscita. Senza
voler minimizzare i conflitti intra-maghrebini è evidente quanto sia necessario
che si faccia uno strenuo lavoro per dare coesione al Maghreb e ai suoi vicini
del Machrek[124].
Ciò diviene ancor più necessario allorché la mondializzazione in corso esige di
rompere con i metodi solitari e le strategie nazionali fredde ed egoiste, così
da fare del Mediterraneo meridionale ed orientale parte pregnante e non parte
soccombente delle evoluzioni del mondo.
La co-governance mediterranea è
quindi necessaria anche in ragione delle nuove prospettive della
mondializzazione economica[125], che favorisce la
politica dei blocchi. Ed è la stessa UPM che crea dei blocchi regionali di
integrazione, allo stesso modo delle esperienze fatte dal continente americano (tra
Canada, Stati Uniti e Messico) o dal continente asiatico (tra Cina, Giappone e
Corea). L’idea consiste nello sfruttare la prossimità geografica, l’integrazione
e la complementarietà nella realizzazione di progetti comuni, scegliendo lo
sviluppo di blocchi integrati. L’Europa ha bisogno dei Paesi del sud e dell’est
del Mediterraneo per potersi sviluppare e, viceversa, i Paesi mediterranei
necessitano di un’azione congiunta per crescere e far crescere la regione. “Il
Mediterraneo, Nord e Sud, sta formando un’unica entità economica: l’Europa deve
farne un punto di forza”[126]. Oggi più che mai, in
questo periodo di crisi, è necessario promuovere una forte integrazione
economica che venga però da uno spazio coeso nel quale sia possibile
svilupparsi, non solo economicamente, ma anche democraticamente, pacificamente,
in un valorizzante scambio culturale. La co-governance mediterranea è infine
necessaria anche in ragione delle minacce transnazionali, come il terrorismo,
la migrazione incontrollata[127] e i rischi ambientali,
che tendono a gettare confusione sulla pace e sulla stabilità nel Mediterraneo.
Tutti devono sentirsi coinvolti da queste minacce e problemi, tutti devono
tentare di porvi rimedio attraverso la partecipazione e la concertazione.
Questi problemi, nella visione dell’Unione per il Mediterraneo, non possono
essere per loro natura affrontati solamente nei Summit, perché essi sono
vissuti quotidianamente da tutti i popoli mediterranei nella vita di tutti i
giorni. La loro risoluzione deve consistere in pochi ma efficaci progetti[128] che possano facilmente
raggiungere le aree e i soggetti cui sono rivolti. Politici e popolazioni
devono essere associati per regolare dei problemi multidimensionali, complessi
e urgenti, che per di più si evolvono rapidamente. Infatti nel caso in cui
anche l’Unione per il Mediterraneo non riuscisse a realizzare i suoi obiettivi
(l’integrazione economica, sociale, politica e culturale, e la normalizzazione
dei rapporti tra i partner) il Mediterraneo si fratturerebbe moltiplicando i rischi
di marginalizzazione economica e di deriva politica. È dunque necessario un
reale ed effettivo impegno di tutte le parti in causa, così da rendere tale
iniziativa un “gioco a somma positiva”.
3. Prerogative ed obbiettivi
Nessuna persona di buon senso può
rifiutare i principi del progetto dell’Unione per il Mediterraneo, dal momento
che essa realizza una vecchia aspirazione dei popoli. La condivisione delle
decisioni e la partecipazione degli Stati del sud Mediterraneo, in condizioni
di parità con gli Stati dell’UE, costituiscono uno dei principali tratti
distintivi dell’UPM rispetto al PEM. Starebbe qui anzi il valore aggiunto dell’UPM
rispetto al PEM e, più in generale, alle esperienze precedenti. L’UPM deve
poter assicurare una partecipazione più attiva e consapevole dei partner non-UE
e, di riflesso, una maggiore efficacia e visibilità della cooperazione
euro-mediterranea[129]. Il contesto della
mondializzazione, pur con tutte le sue minacce e le sue incertezze, porta con
sé le possibilità di un mondo comune, in particolare per i Paesi che si
affacciano sul Mediterraneo. Non c’è un’altra via, a meno di non volere altro
che l’isolamento ed il conflitto. La ricerca di un nuovo assetto regionale ed
internazionale meno ingiusto e di una nuova civiltà esige un’analisi oggettiva
ed una certa capacità di immaginare il futuro. Le condizioni per aprire nuove
prospettive non sono date in anticipo. Ragione di più per operare insieme,
considerando i traguardi e i fallimenti delle esperienze precedenti in questo
settore, al fine di non accentuare ulteriormente i dubbi e le divergenze. Il
progetto dell’Unione per il Mediterraneo ha il merito di dare l’occasione di
lasciar decantare le questioni di fondo legate alle relazioni tra i popoli
della regione. La diagnosi è eloquente. La situazione resta preoccupante.
Bisogna incontrarsi, discutere con sincerità per far fronte, in modo coerente,
alle sfide comuni. La partecipazione del Nord, del Sud e dell’Est del
Mediterraneo contribuisce alla messa in atto di questo progetto. Tuttavia, il
cammino di un’Unione sarà lungo. Sulle sponde meridionali ed orientali,
malgrado l’eterogeneità dei Paesi che fanno parte di quest’area, le possibilità
di riuscita e gli sforzi di modernizzazione dipendono da una serie di problemi
da affrontare, poiché il livello di sviluppo è palesemente asimmetrico rispetto
a quello dei Paesi europei; la debolezza della consuetudine al buon governo ed
il carattere arcaico di alcuni regimi creano seri problemi; le insufficienze in
materia di cooperazione e d’integrazione regionale e sub-regionale
indeboliscono le basi del nuovo progetto. Inoltre le fonti di reddito sono
soprattutto legate alle ricchezze del sottosuolo o dipendenti da fattori
aleatori; l’analfabetismo, la crisi dei sistemi educativi e l’assenza di
controllo demografico pongono problemi di fondo; la fuga dei cervelli, l’immigrazione
clandestina e l’esodo dalle campagne in direzione delle città accentuano l’impoverimento
e la frammentazione sociale; la debolezza dei rapporti tra lo Stato e la società,
e delle relazioni del dialogo Nord-Sud, suscita reazioni negative.
Da un lato i popoli di quest’area
mostrano una tendenza al ripiegamento su se stessi ed al culto del passato,
nella strumentalizzazione della “religione-rifugio”, e dall’altro un’imitazione
cieca e alienante di un modello occidentale in crisi. Relativamente al Nord, la
diagnosi è caratterizzata, allo stesso modo, da altrettanti punti
contraddittori, come: l’indebolimento degli aiuti destinati al Sud, pari a meno
dello 0,2% dei rispettivi bilanci e un ammontare degli investimenti inferiore
al 2% rispetto al volume globale degli investimenti esteri (tre volte meno di
quanto promesso, dieci volte meno di quanto sarebbe auspicabile); una politica
di discriminazione nei confronti delle popolazioni originarie del Sud o
provenienti dalle aree svantaggiate, e una strategia di esclusione dei nuovi
migranti; un’islamofobia caratterizzata da sconfinamenti nella xenofobia e da
deliri mediatici che amplificano le derive dei gruppi estremisti e le contraddizioni
dei sistemi del Sud; l’impotenza rispetto ai principali conflitti, come il
dramma israelo-palestinese che tiene in ostaggio ogni progetto di partenariato;
sul piano storico, il rifiuto di riconoscere i fatti e i misfatti della storia
della colonizzazione europea; le misure eccessivamente restrittive in materia
di mobilità e di circolazione delle persone; le contraddizioni di un sistema
dominante fondato sulla triade laicismo oltranzista, scientismo disumanizzante,
e capitalismo selvaggio, tre tendenze ormai giunte in un vicolo cieco. Oggi che
la centralità e la dimensione strategica del Mediterraneo sono riconosciute,
non ci si può limitare a progetti tecnici, come quelli scelti dalla Commissione
dell’Unione Europea, che sembrano ridurre l’ideale dell’UPM ai temi della lotta
all’inquinamento marino ed alle autostrade. Malgrado l’interesse che hanno
questi settori, ciò è emblematico del persistere dell’unilateralismo, che può
svuotare questo grande progetto del suo contenuto.
D’altra parte è innegabile che
anche i Paesi dal Maghreb al Machrek, da Israele alla Turchia e all’Autorità
Nazionale Palestinese, nonché i Paesi mediterranei dei Balcani, dovrebbero fare
un grande sforzo di buona volontà, per mettere da parte ciascuno i propri
egoismi a favore della realizzazione di un progetto comune che alla fine
appagherebbe tutti.
È auspicabile, dunque, che l’UPM
sia un effettivo partenariato tra gli Stati membri dell’UE e gli altri Paesi
dell’area mediterranea[130]. La coerenza e la visibilità
di una tale Unione sarebbero molto più grandi. Non vi sarebbe più alcuna
apprensione, né quella relativa alla normalizzazione prematura dei rapporti con
Israele, né quella che mira a scongiurare l’adesione della Turchia all’UE, né
infine quella che mira ad una riorganizzazione all’interno di una regione
geostrategica a vantaggio degli interessi economici e di sicurezza di una sola
parte. In ogni caso, la priorità deve essere data alla democratizzazione ed all’umanizzazione
delle relazioni Nord-Sud, per rispondere alle esigenze della convivenza. La
storia delle due sponde del Mediterraneo è ad una svolta decisiva: il
riavvicinamento tra le due rive[131], che assumerà certamente
il ruolo di missione costruttiva, se vi saranno le condizioni.
Riflessioni ed analisi dopo un anno
dalla nascita dell’Unione per il mediterraneo
Il 13 luglio 2009 è stato il primo
anniversario dell’Unione per il Mediterraneo che, come detto sopra, è stata
costituita nel 2008 a Parigi nel quadro di una riunione di capi di Stato e di
Governo. Messa poi più o meno a punto dalla Conferenza dei ministri degli
Esteri, svoltasi a Marsiglia nel novembre 2008, l’UPM è stata però subito dopo
bloccata dai Paesi arabi in risposta all’intervento di Israele a Gaza del
dicembre 2008 / gennaio 2009 (per l’offensiva scatenata da Israele con l’operazione
“Piombo fuso”[132]).
Solo alla fine del giugno scorso, sono emersi sia pur esitanti tentativi e
segnali di sblocco. L’iniziativa è venuta dalla Spagna, che nella seconda metà
di giugno ha organizzato, su invito del ministro degli Esteri, Moratinos, una
riunione informale degli Alti Funzionari dell’UPM a Barcellona, nel palazzo di
Pedralbes (destinato dal governo spagnolo a essere la sede del Segretariato
dell’UPM), allo scopo di cominciare a discutere lo statuto del Segretariato: un
passo essenziale per il suo funzionamento effettivo. Anche grazie all’Egitto, e
all’azione del Presidente Mubarak, l’Unione ha potuto essere rianimata, dal
momento che in seguito all’intervento militare israeliano, gli altri Paesi arabi
si erano fermamente rifiutati di sedersi allo stesso tavolo con il
rappresentante di Gerusalemme. Il ragionamento portato avanti dalla diplomazia
egiziana è stato semplice: poiché il boicottaggio dell’UPM non ha portato alcun
effetto negativo ad Israele, la cosa “politicamente più corretta” era quella di
utilizzare tale Unione come una tribuna per denunciare le azioni di
Gerusalemme. A latere di questa riunione, gli Alti Funzionari arabi hanno
approvato il principio di uno sblocco delle riunioni tecniche, anche in
presenza di Israele, lasciando però impregiudicata la loro astensione da
riunioni politiche.
In effetti, il 25 2009 giugno si è
tenuta a Parigi una riunione ministeriale informale sullo sviluppo sostenibile.
Il 7 luglio (sempre dello stesso anno) si sono poi avute, a Bruxelles, una
riunione ministeriale economica e finanziaria e una degli Alti Funzionari.
Mentre la riunione dei ministri ha affrontato i temi economico-finanziari all’ordine
del giorno (gli effetti della crisi globale, i progetti previsti dalla UPM e i
finanziamenti che questi progetti iniziano a ricevere), gli Alti Funzionari
hanno avuto uno scambio di idee sul concreto avvio delle attività istituzionali
dell’UPM. Questa seconda riunione è stata preceduta da una riunione separata
degli Alti Funzionari arabi in cui nessuno ha obiettato allo sblocco. Continua
tuttavia a prevalere l’idea di partecipare alle riunioni tecniche e ai progetti
economico-finanziari, ma non alle riunioni politiche.
Il sentimento diffuso negli
ambienti europei è che il processo è di fatto sbloccato. Tuttavia, da parte
araba manca ancora chiarezza e determinazione e la ripresa, anche se c’è,
appare limitata. Una successiva riunione degli Alti Funzionari si è tenuta il
16 luglio 2009. Ė difficile però, al di là delle formule diplomatiche, che la
dimensione politica dell’UPM venga veramente sbloccata.
Da parte araba ci sono posizioni
diverse. Però, la propensione a lavorare sul solo versante
economico-finanziario e sui grandi progetti, spogliando di fatto l’UPM dei suoi
obiettivi politici, tende ad essere un’interpretazione di fondo dell’UPM più
che una posizione congiunturale. Mentre l’anno precedente i governi arabi
avevano accolto l’iniziativa con unanime soddisfazione, gli umori sono ora
cambiati, non solo fra i Paesi del Levante, ma anche fra quelli del Maghreb:
nell’enfatizzare l’aspetto economico i partner arabi sono sostanzialmente tutti
d’accordo. D’altra parte, mentre la natura intergovernativa dell’UPM è stata
presentata dai suoi fautori come il superamento della situazione di
ineguaglianza politica che comprometteva il funzionamento del Partenariato
Euro-Mediterraneo, è chiaro che proprio questo più compiuto status politico,
che l’UPM ha dato agli arabi, non poteva che portarli a una posizione meno
compiacente rispetto alla coabitazione con Israele. Coabitavano per buona
educazione finché erano ospiti della casa UE. Ora che sono a casa propria,
immediatamente di fronte alle proprie opinioni pubbliche, è più difficile
farlo. Perciò, prima o poi doveva accadere. L’iniziativa israeliana di Gaza lo
ha fatto accadere forse prima di quanto ci si potesse aspettare.
È auspicabile a questo punto che i
Paesi arabi riprendano un dialogo politico con gli europei nell’UPM. A una
ripresa dei rapporti economici, invece, gli arabi sono effettivamente
interessati e l’UPM si presta bene a rispondere a questo interesse. Si può, in
conclusione, ritenere che l’UPM inizierà a funzionare, dal momento che il
Segretariato è stato stabilito a Barcellona. In questo, d’altra parte, gli
arabi hanno in Europa buoni alleati interessati a sviluppare i grandi progetti
economici previsti dall’UPM, a cominciare dalla BEI e dagli enormi interessi
governativi e privati europei. Accanto alla dimensione mediterranea dell’UPM,
si deve considerare quella europea, nella quale i contrasti politici si
palesano forse più che nell’altra. La co-presidenza europea dell’UPM mette, in
effetti, in rilievo un quadro di competizione intracomunitaria che investe sia
gli equilibri istituzionali dell’UE, sia le sempre latenti divisioni fra
orientamenti mediterranei ed est-europei. Con la pretesa di Sarkozy di tenere
la co-presidenza europea dell’UPM oltre il semestre di presidenza francese si è
aperta una sorta di guerricciola, per alcuni aspetti ridicola, per altri un po’
pericolosa. La Francia ha voluto affermare una supremazia sulla politica
mediterranea senza riguardo per la coesione e la coerenza della politica
europea. La presidenza ceca, succeduta a quella francese nel primo semestre di
quest’anno, ha finto di protestare ma ha accettato la pretesa francese in
cambio dell’appoggio di Parigi ai progetti di Partenariato Orientale (Eastern
Partnership). Con ciò si è insinuata nella già debole compagine della politica
estera europea una tendenza concreta a dare a ciascuno il suo: ai Paesi del sud
Europa il vicinato mediterraneo e a quelli del Centro Europa il vicinato
est-europeo. Insomma, una buona prospettiva di frammentazione dell’UE.
La presidenza svedese[133], in corso dal 1° luglio,
sembrava non volesse fare compromessi, ma è addivenuta all’accordo secondo cui
le riunioni politiche saranno presiedute dal presidente svedese dell’UE e
quelle economico-finanziarie dal presidente francese, condividendo in tal modo
il ruolo di co-presidente dell’UPM. Così, la riunione sullo sviluppo
sostenibile, sopra accennata, è stata presieduta da Christine Lagarde[134] per la Francia e da
Youssef Boutros-Ghali[135] per l’Egitto, mentre le
riunioni degli Alti Funzionari sono state presiedute dalla Svezia.
Contro quest’anomalia ha protestato
il Belgio, che prenderà la presidenza UE nel secondo semestre del 2010, e
quindi, in teoria, la co-presidenza dell’UPM, avvertendo che non accetterà
decurtazioni delle sue prerogative. Posto che nel giugno 2010 il biennio di
co-presidenza UPM, che la Francia si è preso, scadrà, ci si può chiedere contro
chi il Belgio sta mettendo le mani avanti. La risposta sembra essere la Spagna.
Questo Paese detiene la Presidenza dell’UE in questo primo semestre[136] e, a quanto si dice,
prenderà il posto della Francia nella co-presidenza dell’UPM, ma bisognerà
vedere se riuscirà ad ottenere l’appoggio affinché il biennio di co-presidenza
sia ripetuto, stavolta a suo favore. In effetti, non c’è dubbio che nella fase
attuale si è formato un asse fra Francia e Spagna nel quadro della politica
dell’UPM. Questo asse tende a suggerire che, in ambito UE, il Mediterraneo deve
andare ai mediterranei, un’idea rafforzata dai cinque segretari congiunti,
tutti mediterranei, che affiancheranno il Segretario generale dell’UPM, che per
statuto deve essere del sud Mediterraneo.
Ci si pongono a questo punto due
questioni. Da un lato circa l’influenza che avrà la co-presidenza europea dell’UPM,
così strutturata, sulla coesione comunitaria; dall’altro riguardo all’idea di
tenere l’UPM distinta rispetto al quadro istituzionale e alle regole che
orientano i vari rapporti tra l’UE e i suoi vicini. È chiaro che tutto questo
non faccia bene alla coesione europea. Oltretutto, con l’entrata in vigore del
Trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009, la presidenza UE cambierà i suoi
caratteri. Inoltre, l’epopea della co-presidenza dell’UPM nasconde un contrasto
tra coloro che vogliono consolidare e riaffermare il carattere intergovernativo
dell’UPM (tenendo fuori UE e Commissione dal processo decisionale euro-mediterraneo)
e coloro che invece ritengono utile un rientro della Commissione in questo
processo. Su questo punto la Commissione ha stanziato, in occasione dell’anniversario
dell’UPM, altri 72 milioni di euro oltre i 28 che aveva già accantonato l’anno
scorso per la realizzazione dei progetti dell’UPM; in questo modo la
Commissione si assicurerebbe un posto di “consulente” nel Segretariato, almeno
per i progetti che contribuisce a finanziare. Così, la Commissione tornerebbe
ad avere un’influenza sulle decisioni economiche euro-mediterranee. Ma
toglierle questa influenza è stato esattamente uno degli obiettivi dell’UPM,
che ha voluto rimettere nelle mani dei Governi, specialmente di quelli
sud-mediterranei, decisioni che, nell’ambito del Partenariato Euro-Mediterraneo,
la Commissione avrebbe loro sottratto[137]. Francia e Spagna
sembrano intenzionati a mantenere fermo questo punto e quindi a mantenere l’UPM
come organizzazione intergovernativa, distinta e diacronica rispetto al quadro
generale dei rapporti di vicinato dell’UE, probabilmente, perché ritengono che
ciò assicurerà all’UPM quel destino politico che è mancato al Partenariato di
Barcellona[138].
Ma la chiave di volta della politica euro-mediterranea sta soprattutto nella
soluzione del problema palestinese, di cui gli Stati dell’area continuano ad
essere ostaggio. Invece, almeno per ora, il destino solo economico che i
partner arabi intendono dare all’UPM non sembra essere in sintonia con le
preoccupazioni e gli obiettivi di Spagna e Francia.
È proprio a causa dell’impasse che
caratterizza i negoziati di pace nel conflitto israelo-palestinese, oltreché
per lo scontro interno all’UE sorto per la gestione della presidenza e per le
assegnazioni dei segretariati, che la Conferenza Ministeriale che si sarebbe dovuta
tenere ad Istanbul intorno al 25 novembre 2009 è stata annullata[139]. Mentre appare difficile
respingere l’attuale richiesta dei partner arabi di porre l’accento sui
rapporti economici, occorre concentrare la propria attenzione sulle riforme
politiche e sul rispetto dei diritti umani. In caso contrario si rischia di
assecondare e rafforzare i regimi autoritari esistenti. Inoltre, è necessario
elaborare una posizione europea nei confronti del problema palestinese. Infatti
l’UPM può e deve intervenire attraverso la realizzazione di progetti comuni che
possano rendere più coesa l’area e per questa via provare a normalizzare i
rapporti isrelo-palestinesi e promuovere la democrazia e la pace; se si
vogliono dei rapporti euro-mediterranei fruttuosi, ci si deve piuttosto
preoccupare di rafforzare la politica estera dell’UE e darle nuove direzioni,
altrimenti come il Partenariato (più del Partenariato), l’UPM resterà ostaggio
della questione palestinese.
La Conferenza di Napoli:
l’occasione per vagliare progressi e risultati dell’Unione per il Mediterraneo
Venerdì 6 novembre 2009, presso l’aula
delle Mura Greche di palazzo Corigliano, sede dell’Università L’Orientale di
Napoli si è tenuta la Conferenza “L’Unione per il Mediterraneo: un anno dopo”.
L’incontro è stato organizzato[140] con l’intento di fare il
punto della situazione, ad un anno dal summit di Marsiglia (3-4 novembre 2008),
dei progressi fatti dall’Unione per il Mediterraneo.
Durante i lavori, per il Governo
italiano, è intervenuta Stefania Craxi (sottosegretario agli Affari esteri) che
ha annunciato alcune novità riguardanti l’UPM, quale la formalizzazione da
parte del Governo italiano della richiesta di un segretariato aggiunto per l’Italia
con poteri finanziari e compiti riguardanti lo studio di fattibilità dei
progetti3[141].
La novità più interessante è stata
l’annuncio dell’avvio di una strategia di City Diplomacy euro-mediterranea. La
City Diplomacy, riguarda la cooperazione a livello locale fra città ed aree
metropolitane per lo sviluppo urbano[142]. Il sottosegretario
Craxi ha concluso annunciando che il Ministero degli Affari esteri organizzerà
nel 2010 la prima edizione della Biennale del Mediterraneo[143].
Dopo altri contributi, si è aperta
una la tavola rotonda coordinata da Roberto Aliboni dell’Istituto Affari
Internazionali di Roma. Tema della tavola rotonda: “Lo spazio
euro-mediterraneo: la dimensione economica”.
Tra gli argomenti affrontati, è
stato ribadito in primo luogo che, l’UPM poggia su relazioni intergovernative e
sul principio di cogestione, evidente nella scelta della doppia presidenza, la
cui struttura, però, tende a marginalizzare la Commissione[144].
L’inefficacia del PEM è attribuita
a due ordini di problemi: da un lato economici, dal momento che troppo poco si
è investito rispetto ai grandi obiettivi che ci si era posti; dall’altro
politici, dei quali il conflitto mediorientale è il nodo irrisolto e per la cui
soluzione è necessaria da parte dell’UE una presa di posizione unitaria e che
sia a sostegno di quelle realtà presenti nella società civile israeliana e
palestinese che cercano di costruire i presupposti per una pace giusta e
durevole. Durante il dibattito è emerso che il fallimento del PEM è stato
dovuto anche all’asimmetria del partenariato, forse troppo sbilanciato in
favore dell’UE che, troppo impegnata ad occuparsi della liberalizzazione della
circolazione di beni e capitali, non ha saputo rispondere alla necessità di
liberalizzare e gestire anche la circolazione delle persone.
Si avverte che se l’economia tende
a prevalere sulla politica l’UPM non sarà nient’altro che “un label”, ovvero
solo un marchio dietro al quale però non c’è nulla di consistente[145].
A sole due ore dall’apertura dei
lavori, l’Assemblea un po’ assopita, è stata scossa da uno dei partecipanti[146] che ha raccontato della
sperimentazione di un laboratorio teatrale al quale hanno partecipato ragazzi
israeliani e palestinesi. Ha riferito della loro difficoltà nel costruire uno
spettacolo nel quale ognuno doveva mettersi nei panni dell’altro. Alla fine lo
spettacolo è stato messo in scena grazie alla volontà dei partecipanti di
superare certi tabù. Quella stessa volontà che è mancata a livello diplomatico.
Un altro dubbio ha riguardato il
finanziamento dell’UPM. Una delle novità del partenariato sarebbe dovuta
risiedere nella sua capacità di muovere l’interesse dei capitali privati. Tale
capacità ha finora però lasciato a desiderare. Inoltre, la zona di libero
scambio si farà, la Tunisia è già entrata nell’ambito PEM/PEV, e come il
Marocco vuole ottenere uno status avancé che le permetta dei rapporti
privilegiati con l‟UE[147].
In un altro intervento il mondo
arabo è stato definito una “regione senza regionalismo”: nonostante il mondo
arabo, dal Medio Oriente al Marocco, abbia numerosi tratti comuni (lingua,
religione, cultura, etc.), la regione resta una realtà disomogenea nella quale
i diversi Stati non riescono a darsi regole comuni e ad avviare un processo di
integrazione regionale. Prova di questa incapacità sono gli stessi trattati
stipulati che spesso si sovrappongono o addirittura confliggono, ma che in ogni
caso rimangono inattuati. Sarebbe dunque necessario, ai fini di una migliore
integrazione economica interna della sponda Sud, riprodurre un processo di
integrazione regionale analogo a quello realizzatosi in Europa[148].
Sono poi stati ricordati i
progressi del programma ENPI CBC (per la Cooperazione Transfrontaliera nel
Mediterraneo nel quadro dello Strumento Europeo di Vicinato e Partenariato per
il periodo 2007 - 2013) con la relativa dotazione di 170 milioni di euro e con
l’adozione della pratica di co-ownership relativamente alle sue quattro
priorità: sviluppo locale; protezione ambientale e sviluppo delle energie
rinnovabili; mobilità (di merci, capitali e persone); dialogo interculturale e
religioso[149].
Per concludere, alla Conferenza sono stati riaffermati tre elementi chiave per
la costruzione di un partenariato efficace. In primo luogo è stata ribadita la
volontà di cooperare per costruire un’area di pace, stabilità e benessere. Si è
affermata la necessità di un’assunzione di piena e di reciproca responsabilità
da parte dei Governi che partecipano all’Unione per il Mediterraneo, affinché
questo funzioni, ed infine è stata evidenziata la necessità d’investimenti
concreti ed adatti a mettere in pratica progetti ed obiettivi.
4. Epilogo
L’Unione per il Mediterraneo ha
dato ad oggi dei risultati alquanto modesti. Le ambizioni iniziali contrastano
contro la realtà dei fatti. Il secondo Vertice dei Capi di Stato e di Governo
dell’UpM è stato più volte rinviato sino all’ultima volta in cui non si è
neanche indicata una data orientativa a causa dell’opposizione dei paesi
meridionali a incontrarsi e proseguire la cooperazione con la UE fin quando
perdurerà l’attuale situazione nei territori palestinesi. Questo è solo
l’ultimo di una serie di blocchi che sembrano aver messo una pesante ipoteca
sulla riuscita e sul futuro stesso dell’UpM. Se infatti il puntare su una
cooperazione essenzialmente basata su settori non tecnico economici come
l’inquinamento marino o le infrastrutture sembrava la soluzione migliore per
far progredire le relazioni aggirando l’ostacolo costituito dal conflitto
israelo-palestinese, nella messa in pratica tale idea è sembrava impossibile da
realizzare. Grazie alla struttura intergovernativa i governi della sponda
meridionale sono liberi di esprimere i loro interessi senza alcuna mediazione
poiché si è notevolmente ridotto il peso della Commissione europea. Questo ha
però portato come conseguenza la possibilità di paralizzare completamente ogni
processo dell’UpM come è accaduto nel 2008 quando la co-presidenza egiziana ha
bloccato le attività per protesta contro l’attacco di Gaza[150]. Da questa prima crisi
si uscì solo dopo un anno e mezzo quando finalmente si riuscì anche ad eleggere
Barcellona quale sede del Segretariato. Non si può tuttavia soltanto attribuire
a ciò le ragioni della crisi in cui versa l’UpM. Anche all’interno degli stessi
stati membri della UE la situazione non è delle migliori con il riaccadersi dei
problemi di scarsa coesione. La Francia ha, nonostante l’avvenuta
europeizzazione del suo progetto, preteso di gestire l’UpM come fosse ancora
una sua iniziativa bilaterale, fatto questo testimoniato anche dal diniego più
volte manifestato a lasciare la presidenza dell’UpM alla scadenza del semestre.
Questo ha portato al riaccendersi delle tensioni tra gli stati mediterranei e
no mediterranei e a frammentare l’unità dell’azione europea. Di riflesso anche
il ruolo di mediazione che l copresidenza e la UE potevano esercitare per
tentare di sbloccare l’impasse nel quale versare l’UpM è miseramente fallito. Un
ulteriore problema è costituito dai finanziamenti necessari al funzionamento del
meccanismo e alla esecuzione dei progetti selezionati. I fondi messi a disposizione
dalla Commissione non sono molti e infatti lo scorso 15 novembre è stato
approvato un bilancio di 6,5 milioni di Euro la cui metà sarà elargita dalla
commissione ma l’altra metà doveva essere coperta dagli stati partecipanti, di
questi solo le due copresidenze e la Spagna hanno annunciato la loro
contribuzione. Nei mesi scorsi la situazione anziché migliorare è ulteriormente
peggiorata con il diffondersi a macchia d’olio di proteste in tutta l’area,
Tunisia ed Egitto in particolar modo, e che non sembrano di immediata soluzione.
Il Segretario generale si è dimesso lo scorso 26 gennaio limitandosi a dire in
un comunicato apparso sul sito del Segretariato di Barcellona che le condizioni
erano cambiate[151]. Nonostante ciò vi è
però la urgente necessità di rilanciare le relazioni e la cooperazione euromediterranea
e il bisogno che la UE decida definitivamente come rinforzare la propria
presenza e ruolo nell’area. Ciò può avvenire a pare della scrivente solo
attraverso una scelta ponderata e condivisa tra tutti i membri di uno dei due
approcci proposti di recente ossia o perseguendo l’approccio tecnico regionale
proposto dall’UpM oppure quello bilaterale e completo proposto dalla PEV.
Occorre insomma che al contrario di quanto avviene al momento all’interno
dell’Unione ci si concentri meno sul concettuale e ci si concentri di più sui
progetti concreti che possano essere realizzati senza perdersi ulteriormente su
un grande disegno dall’avvenire tutta via sempre più incerto. L’UPM non è solo
bei propositi. Infatti, mentre i negoziati tra i membri dell’Unione per il
Mediterraneo sono vicini a una conclusione in merito alla struttura e al
programma di lavoro definitivi, iniziano ad arrivare segnali incoraggianti. Il
nuovo anno si apre con un segnale positivo per l’Unione per il Mediterraneo,
nata a Parigi nel luglio del 2008 e mai decollata: la nomina dell’ambasciatore
giordano, Ahamad Khalaf Masadeh, come Segretario generale, con l’avvio
ufficiale dell’attività a febbraio. Una decisione di fatto presa al Vertice
svolto il 5 gennaio scorso al Cairo, tra Francia ed Egitto (co-presidenti dell’UPM),
Spagna (che detiene la presidenza di turno dell’UE), Tunisia e Giordania, che
formalmente arriva per acclamazione in una riunione a Bruxelles di Alti
Funzionari dell’UPM, il 12 gennaio scorso. Dopo di che è stata fatta circolare
una nota tra i quarantatré ministri degli Esteri che fanno parte dell’Unione
per il Mediterraneo, per eventuali commenti sulla candidatura da comunicare
entro 15 giorni. Di fatto, il 27 gennaio scorso, il giordano Ahmad Masadeh è
stato nominato ufficialmente segretario generale dell’Unione per il
Mediterraneo. È quanto ha annunciato il ministro degli Esteri francese, Bernard
Kouchner. “La designazione del Segretario generale -afferma in una nota-
costituisce un passo decisivo nella costruzione istituzionale dell’Unione per
il Mediterraneo”. Per l’UPM, aggiunge il capo del Quai d‟Orsay, si tratta
adesso di “recuperare i ritardi dovuti essenzialmente alle ripercussioni degli
eventi politici dello scorso anno in Medio Oriente”. La designazione di Ahmad Khalaf
Masadeh, fino ad oggi ambasciatore giordano presso l’Unione europea e la Nato a
Bruxelles, era stata decisa per acclamazione nella riunione di Alti Funzionari
dell’UPM che si è tenuta nella capitale belga. Ora è arrivata la conferma
definitiva da parte dei quarantatré ministri degli Esteri dell’UPM, che
dovevano ratificare la nomina in un processo che si è concluso due giorni prima
della nomina ufficiale. La nomina del Segretario generale, che avrà come sede
Barcellona, consentirà la preparazione del secondo vertice dell’Unione per il
Mediterraneo, previsto a giugno nella città catalana, nel quadro della
presidenza di turno spagnola dell’Unione europea[152]. Dopo il rinvio della
riunione dei ministri degli Esteri dell’UPM ad Istanbul nel novembre scorso, alla
fine è stato questo lo stratagemma trovato per evitare il faccia a faccia fra
arabi e israeliani e portare ugualmente a casa il risultato. Il cammino dell’Unione
per il Mediterraneo, infatti, ha incontrato da subito le stesse difficoltà
della cooperazione euro-mediterranea lanciata a Barcellona nel 1995. Arenata
poco dopo la nascita a causa dell’offensiva israeliana a Gaza con l’operazione
“Piombo fuso”, l’Unione per il Mediterraneo ha ripreso a giugno 2009 le
riunioni a livello ministeriale, prima sui temi dello sviluppo sostenibile, poi
sulla crisi economica, sul ruolo delle donne e, infine, sull’area di libero
scambio. Il giordano Masadeh, il più giovane ambasciatore che il Paese abbia
mai avuto, di fatto non ha visto concorrenti. Nel dicembre scorso, alcuni
diplomatici avevano fatto sapere di un possibile candidato alternativo da parte
della Tunisia, il cui nome però non è mai emerso.
“Oggi abbiamo fatto la storia”, ha
commentato Masadeh nel corso della riunione. La sua avventura dovrebbe
cominciare a febbraio, quando la tabella di marcia prevede il lancio ufficiale
dei lavori del segretariato[153]. Per un avvio effettivo
dell’UPM manca ancora però un altro tassello decisivo, quello dell’approvazione
dello statuto. Due sono ancora i nodi da sciogliere: il numero dei
vicesegretari, che oscilla tra cinque e sei (Italia, Malta, Israele, Autorità
Nazionale Palestinese, Grecia e probabilmente Turchia), ma anche sui portafogli
da assegnare loro. Nella riunione di Alti Funzionari a Bruxelles un accordo su
questi punti sembra ancora lontano e il prossimo incontro è fissato a febbraio.
Una volta avviato, il Segretariato dovrà occuparsi dei progetti promossi nell’ambito
dell’Unione per il Mediterraneo, come il Piano solare, la lotta all’inquinamento
del mare, una protezione civile comune, il sostegno alle piccole e medie
imprese e l’Università del Mediterraneo.
Il primo compito per Masadeh sarà
spinoso: preparare il secondo vertice dell’Unione per il Mediterraneo[154].
Dal canto suo la Spagna punta a
stabilire una stretta collaborazione con la Giordania, per dare impulso all’agenda
mediterranea. È quanto ha sottolineato il Premier spagnolo e Presidente di
turno dell’UE, Josè Luis Rodriguez Zapatero, nell’incontro avuto 28 gennaio 2009,
al palazzo della Moncloa, con re Abdallah II di Giordania[155]. Il capo dell’esecutivo
socialista, informano fonti ufficiali in una nota, si è congratulato con re
Abdallah per la recente nomina di Masadeh al Segretariato generale dell’UPM e
lo ha ringraziato per l’importante e positivo ruolo svolto da Amman nello
sviluppo delle relazioni fra l‟UE e i vicini della sponda Sud del Mediterraneo.
Una collaborazione che Madrid auspica possa essere approfondita in vista del
vertice dei capi di Stato e di Governo dell’Unione per il Mediterraneo previsto
per il prossimo giugno a Barcellona. E, dal momento che l’attuale Programma di
Azione Unione Europea-Giordania scade nel giugno prossimo, quando la Spagna
sarà ancora alla presidenza dell’UE, Zapatero si è impegnato a presentare una
bozza del nuovo Piano d’Azione entro il semestre, che contemplerà la proposta
giordana di negoziato per uno Statuto Avanzato fra il Paese e l’Unione Europea,
sul tipo di quello esistente col Marocco. Ma è stata la situazione in Medio
Oriente l’argomento centrale dei colloqui. Il premier spagnolo non ha nascosto
un cauto ottimismo, con la convinzione che “esistono le condizioni per fare un
passo definitivo verso la pace” nella regione. Ed ha ribadito il sostegno della
Spagna alla ripresa dei negoziati in Medio Oriente per il riconoscimento di un
eventuale Stato palestinese, per concretizzare così la soluzione dei due Stati
per due popoli.
Il re Abdallah II ha concordato con
Zapatero sull’importanza della riconciliazione nazionale palestinese e sulla
necessità di coinvolgere altri attori determinanti nel processo di pace per
favorire la creazione dello Stato palestinese e garantire la sicurezza dello
Stato di Israele[156].
L’incontro a Madrid è stato anche l’occasione,
per Zapatero e re Abdallah, per ribadire il buono stato delle relazioni
bilaterali[157].
Un altro segnale positivo è l’istituzione dell’Assemblea regionale e locale
euro-mediterranea (ARLEM) la cui prima riunione di fatto si è tenuta il 21
gennaio 2010 a Barcellona, ospitata dal Governo autonomo di Catalogna, durante
il semestre di presidenza spagnola dell‟UE[158]. “L’Unione europea ha
bisogno del sostegno di tutti i suoi partner, compreso quello delle autorità
locali e regionali, se si vuole raggiungere l’obiettivo di rilanciare il
processo di Barcellona”, ha dichiarato Luc Van den Brande, presidente del
Comitato delle Regioni dell‟UE[159], nel corso di un
incontro, tenutosi il 1° dicembre 2009, cui hanno partecipato rappresentanti
dell’Unione per il Mediterraneo, delle istituzioni europee e autorità locali e
regionali delle tre sponde del Mediterraneo. “Questo forum -ha proseguito Van
den Brande- permetterà di assicurare visibilità e seguito ai progetti avviati
dall‟UE e dai suoi Paesi partner del Mediterraneo meridionale e orientale” e
“darà ulteriore impulso al dialogo euro-mediterraneo, strumento per promuovere
la democrazia locale nella regione e per contribuire allo scambio delle
migliori prassi”. Dopo avere illustrato i caratteri di larga rappresentatività
dell’ARLEM, Luc Van den Brande rileva che “la presenza del COPPEM (Comitato per
il partenariato euro-mediterraneo con sede a Palermo) si è rivelata essenziale
e il suo sincero supporto risolutivo”.
“Lavoreremo nel 2010 -conclude- per
portare le nostre richieste di fronte al consesso istituzionale dell’UPM e dell’UE
e già abbiamo cominciato a farlo a Barcellona chiedendo alla presidenza spagnola
dell’UE di allargare ai Paesi mediterranei la programmata riunione sulla
politica regionale dell’UE, una politica che, prima o poi, deve guardare a sud
- e per facilitare l’incontro degli attori regionali e locali delle tre rive
sui grandi progetti. Il dato di fatto è che i quarantatré Governi dell’UPM
contano oggi anche sul nostro appoggio, l’appoggio delle autorità regionali e
locali, per il successo di un dialogo che è complesso ma che vale la pena
edificare insieme”[160]. La riunione costitutiva[161] ha visto l’elezione dei
due co-presidenti dell’Assemblea, il Presidente della Regione di Taza-Al
Hoceima (Marocco), l‟on. Mohamed Boudra, e il Governatore di Qalyubiya
(Egitto), sua Eccellenza Adly Hussein, ai vertici dell‟ARLEM[162]. Il presidente espresso
dai Paesi europei è Luc Van den Brande, il quale in tale occasione ha
affermato: “La nostra convinzione è che l’Unione per il Mediterraneo non debba
cadere nella trappola di Barcellona, limitandosi alla diplomazia classica. Alla
luce di questa considerazione, offriamo il contributo del nostro impegno sul
campo, orientato verso la realizzazione di progetti concreti grazie all’apporto
degli enti regionali e locali che lavorano giorno per giorno per migliorare la
qualità della vita dei nostri concittadini. Il nostro obiettivo è offrire al
dialogo euro-mediterraneo un’ulteriore opportunità di giungere finalmente alla
realizzazione delle iniziative proposte a Parigi nel 2008”. Egli ha aggiunto
che “la struttura da conferire all’ARLEM è quella di un organo orientato verso
il territorio e in grado di funzionare indipendentemente dalla realtà politica
internazionale. […] L‟ARLEM nasce oggi come struttura autonoma, ma con lo scopo
di servire l’UPM. Per questo chiediamo che, non appena l’Unione per il
Mediterraneo avrà messo a punto la sua struttura interna e la sua
organizzazione, l’ARLEM possa contribuire ai suoi lavori in qualità di
osservatore, e ciò già a partire dal Vertice di Barcellona che si terrà nel
giugno 2010”. I segnali positivi registrati sembrano essere un chiaro
indicatore dei futuri sviluppi di un’aggregazione che, a differenza delle
esperienze precedenti, sembra avere tutte le carte in regola per portare ai
risultati sperati.
[1]
Primo discorso del
futuro presidente francese Sarkozy sull’Unione mediterranea del 7 febbraio
2007, in http://video.libero.it/app/play?id=0e3dd3c239710ceec07fe3a00751e0d6
[2] Il presidente
francese Sarkozy ha proposto di unire i Paesi rivieraschi del Mediterraneo già
nel corso della campagna elettorale presidenziale, ma è stato il discorso
tenuto a Tangeri il 23 ottobre 2007, durante la visita in Marocco, che ha
imposto il progetto all’attenzione, sia dell’Unione Europea, che degli altri
Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La proposta di Sarkozy voleva in
origine creare una comunità aperta a tutti i Paesi del bacino del Mediterraneo
(i Paesi dell’Europa del sud e i Paesi mediterranei dell’Africa del nord),
ispirata al modello dell’Unione Europea, con l’obiettivo di dare vita a un
nuovo organismo internazionale volto alla cooperazione tra le due sponde del
Mare Nostrum.
[3] “Lofty but vague”,
commenta K. BENNHOLD, nell’articolo Mediterranean Union Plan: lofty but vague,
in International Herald Tribune, del 25 ottobre 2007,
[4] Non è certo la
prima volta che l’esigenza di rivedere i meccanismi della coesione europea
emerge in Francia, che tradizionalmente coltiva ambizioni sulla proiezione
internazionale dell’Europa superiori a quelli degli altri Paesi dell’Europa del
Sud. È però una novità la proposta di istituire una solidarietà
intra-mediterranea, cioè fuori del contesto europeo, per affrontare questo
problema. È invece interesse degli altri Paesi UE dell’Europa meridionale e, in
generale, dei Paesi membri dell’UE che l’iniziativa francese resti ancorata al
contesto europeo.
[5] Dichiarazione di
Roma per l’Unione per il Mediterraneo di Francia, Italia e Spagna, del 20
Dicembre 2007 (cfr.
http://www.governoitaliano.it/Presidente/Comunicati/testo_int.asp?d=37838).
[6] Dal 2004 la
politica mediterranea dell’Unione europea ha un carattere dualistico: da una
parte, la Politica europea di vicinato, a carattere bilaterale, che si occupa
essenzialmente delle materie comprese nel secondo pilastro della Dichiarazione
di Barcellona (le relazioni economiche), materie prevalentemente gestite dalla
Commissione; dall’altra, il Partenariato Euro-Mediterraneo, a carattere
collettivo, che rimane competente per le materie politiche e di sicurezza e le
relazioni socio-culturali (primo e secondo pilastro), di cui si occupano
prevalentemente i Governi.
[7] Infatti l’Unione,
già da una quindicina d’anni, aveva rivolto la sua attenzione ad altre
problematiche a causa della fine del sistema bipolare, della riunificazione
della Germania e della preparazione per l’allargamento ad est.
[8] Il peso dei Paesi
in via di sviluppo nel contesto regionale sud asiatico si attesta attorno al
23%, contro il solo 12% delle regioni Med. Quanto agli investimenti diretti
destinati al Mediterraneo, questi superano appena l‟1% del totale degli IDE
europei, contro il 17% degli IDE degli Stati Uniti destinati all’America
centrale e latina e più del 20% degli IDE giapponesi diretti alla periferia
asiatica. Cfr. P. BEKOUCHE, Comparer Euromed aux autres régions Nord-Sud, in Géoéconomie,
n. 42, Paris, 2007
[9] I pochi scambi
intrasettoriali testimoniano un basso livello d’integrazione economica.
[10] Infatti, il
ritardo d’integrazione economica e produttiva tra l’UE e la sua periferia
mediterranea si traduce in una perdita media per l’Unione stimata dagli
economisti tra lo 0,4 e lo 0,6 in termini percentuali del PIL globale (cfr. P.
BEKOUCHE, Comparer Euromed).
[11] J. L. GUIGOU, La
reconnexion des Nord et des Sud: l‟émergence de la région méditerranéenne (ou
la théorie des quartiers d‟orange), in Géoéconomie
[13] B. KHADER,
L‟anneau des amis: la nouvelle politique européenne de Voisinage, in
Géostratégiques, n. 17, Paris, été 2007
[14] Y. BADR EDDINE,
Politique de voisinage: cimetière des illusions perdues, in Perspectives du
Maghreb, n. 8, décembre 2006
[15] Alla Dimensione
Nordica partecipano l‟UE, la Russia, l‟Islanda e la Norvegia. I vari organi in
cui si articola questa forma di cooperazione regionale hanno invece
composizioni differenti: Consiglio degli Stati del Mar Baltico: Commissione Europea,
Finlandia, Russia, Germania, Norvegia, Danimarca, Lituania, Polonia, Estonia,
Svezia, Lettonia, Islanda; Consiglio Euro-Artico di Barents: Russia, Norvegia,
Svezia, Finlandia; Consiglio Artico: Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia,
Islanda, Russia, Canada, Stati Uniti. La Dimensione Nordica si differenzia
dall‟UM, prima di tutto, perché ha un basso profilo politico; in secondo luogo,
perché fonda la sua autonomia su un programma che, essendo aggiuntivo e
complementare rispetto a quelli dell‟UE, provvede da sé al suo finanziamento ed
esecuzione. Va notato invece che, se in un primo momento l‟UM è sembrata voler
fondare i suoi progetti su finanziamenti interamente o prevalentemente privati,
nelle versioni più recenti è comparso un elenco di fonti convenzionali, a
cominciare da quelle comunitarie, il che indica che l‟UM avrebbe in definitiva
una scarsa autonomia
[16] P. LOROT,
éditorial d‟un numéro spécial de la revue Géoéconomie, consacré à l‟Union
méditerranéenne, Paris, Institut Choiseul, n. 42, 2007
[17] Come mai i
dirigenti arabi hanno fatto defezione in occasione del Summit del decimo
anniversario del Processo di Barcellona? Perché tali politiche non sono servite
a ridurre lo scarto di ricchezza tra i partner, a stimolare delle vere riforme
politiche? Perché la degradazione della situazione in Palestina ha contaminato
il Processo di Barcellona, quando l‟Unione europea puntava, al contrario, sulle
ricadute positive del Partenariato sul processo di pace israelo-palestinese?
Perché la politica di vicinato è vista dai Paesi mediterranei come una semplice
compensazione rispetto all‟adesione? Ed in che modo questa bilateralizzazione
eccessiva su cui si fonda la PEV può contribuire ad una dinamica regionale
produttiva? Cfr. B. KHADER, L‟Europe pour la Méditerranée
[18] L’Alto Funzionario
italiano nel PEM, il Ministro Plenipotenziario al Ministero Esteri, Direzione
Generale Mediterraneo e Medio Oriente, Cosimo Risi, ha notato che “Occorre
riaprire il cantiere del restauro e del rinnovo [del PEM]. Se va in questa direzione,
benvenuta sia l’‟idea di Unione mediterranea” (cfr. C. RISI, Il Partenariato
euro-mediterraneo non realizza le sue ambizioni? E allora che fare? in Quaderni
di Relazioni Internazionali, ISPI, n. 5, ottobre 2007).
[19] Infatti, Michel
Rocard, ex Primo ministro e deputato europeo, ha rifiutato, come spiega in una
dichiarazione fatta il 7 settembre 2007, la missione sull’Unione Mediterranea,
che il Presidente Sarkozy intendeva affidargli, ritenendo che “questa missione
rischiava di diventare un conflitto indomabile e che, in tutti i casi avrebbe
paralizzato le istituzioni europee”. Questa reazione è indicativa delle riserve
europee sulla proposta francese.
[20] Del resto, la
Commissaria incaricata delle relazioni esterne, Benita Ferrero Waldner, ha
convocato a questo scopo, il 3 settembre 2007, la prima riunione tra i ministri
dei sedici Paesi coinvolti nella Politica di vicinato. Ad una domanda
sull’Unione Mediterranea la Commissaria ha risposto che “tutti i progetti che
entrano in tale dinamica e che possono essere supportati dall’Unione, sono i
benvenuti” (cfr. l’intervista distribuita alla Conferenza di Malta, organizzata
dal MEDAC, il 27-28 ottobre 2007). In un’altra dichiarazione la Commissaria
sottolinea come sia favorevole “a tutto quello che può rinforzare la
cooperazione [negli ambiti in cui opera l’Unione], anche se alcuni Stati sono
più interessati di altri”, riferendosi in particolar modo alla “marcia”
solitaria del presidente francese. Sul punto cfr.
www.Europa.eu.int/relationsextérieures
[21] La situazione
dell’Ucraina riguarda il rapporto che essa ha con la Russia. Quest’ultima,
sebbene non si sia opposta ufficialmente all’indipendenza dell’Ucraina, non
vuole che tale indipendenza abbia un riconoscimento internazionale. Infatti,
mentre gli ucraini vorrebbero poter aderire all’Unione Europea e entrare a far
parte dell’Alleanza Nord Atlantica, così da avere un riconoscimento
internazionale della propria indipendenza, la Russia si oppone al fatto che la
NATO arrivi fino alle sue soglie. Il problema è poi anche di ordine etnico,
considerato che circa il 20% della popolazione ucraina è russa. Tale scontro
danneggerebbe sicuramente la pace e la sicurezza mondiali.
[22] Le perplessità
dell’Unione Europea sono state almeno in parte fugate dalla precisazione del
ministro degli Esteri francese Kouchner e dell’ambasciatore Le Roy che il
progetto di Unione Mediterranea non intende abolire il Processo di Barcellona,
ma coesistere con esso e approfondirne il senso.
[23] I padri fondatori
della Comunità Economica Europea, ovvero dell’odierna Unione Europea, sono il
francese Jean Monnet, il franco-tedesco Robert Schuman, gli italiani Altiero
Spinelli e Alcide De Gasperi, il belga Paul-Henri Spaak, il tedesco Konrad
Adenauer.
[24] L’idea
dell’integrazione europea è nata per far sì che non si verificassero mai più i
massacri e le distruzioni delle Guerre mondiali, in particolare della Seconda.
[25] In particolare
l’Italia ha assoluto interesse a giocare un ruolo di primo piano in tale
iniziativa politica, che può concorrere alla ridefinizione della questione del
Mezzogiorno, offrendo una cornice nuova e promettente, lo sviluppo dell’intera
area mediterranea, ad uno dei più drammatici problemi del nostro Paese.
[26] È evidente,
infatti che l‟ intenzione generale di tale progetto è quella di bilanciare a
Sud l’espansione verso Est che ha recentemente conosciuto l’Europa, e che ha
certamente indebolito il ruolo della Francia, la quale si ritiene invece in
grado di esercitare un ruolo autorevole nel Mediterraneo.
[27] Il Galileo
Positioning System è un sistema satellitare globale di navigazione civile
sviluppato in Europa come alternativa al Global Positioning System (NAVSTAR
GPS), controllato dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.
[28] L'operazione
Althea è sicuramente una dei più importanti interventi di tipo militare della
UE; essa è stata intrapresa per continuare l’operazione di stabilizzazione
della Bosnia Erzegovina.
[29] Tra i cinque Paesi
del Mediterraneo occidentale che fanno parte dell’UMA (Unione del Maghreb
Arabo) e i cinque Paesi dell’Europa mediterranea occidentale (Portogallo,
Spagna, Francia, Italia e Malta).
[30] A. SIMSEK, Debate over Mediterranean Union Heats up in Europe, in
Southern European Times, 13 agosto 2007
[31] Le Figaro, 16
luglio 2007.
[32] 185J.-C. CASANOVA,
L‟Union méditerranéenne: un chemin juste et difficile, in
ttp://info.club.Corsica.com/Casanova
[33] Italia, Francia e
Spagna.
[34] A. VASCONCELOS,
Une Union euro-méditerranéenne, in MED 2007, Barcellona, IEMED-Cidop, 2007
[35] Proposta del
ministro degli Esteri portoghese Luis Amado.
[36] Proposta del
ministro degli Affari esteri spagnolo Miguel Ángel Moratinos.
[37] P. BONIFACE, Le
projet méditerranéen face au problème israélo-palestinien, in Réalités, 1-7
novembre 2007,
[38] INSTITUT DE LA
MÈDITERRANÉE, Rapport du Groupe d‟experts réuni par l‟Institut de la
Mèditerranée sur le projet d’Union Méditerranèenne, Marseille, octobre 2007;
sul punto www.iemed.org/aindex.php
[39]
http://www.assemblee-nationale.fr/13/rap-info/i0449.asp
[40] Nel discorso di
Tolone del 7 febbraio 2007 il futuro presidente francese afferma, infatti, che
l’Unione Mediterranea offrirà un ruolo importante alla Turchia che “non ha un
suo ruolo nell’Unione europea perché non è un Paese europeo […]” ma “un grande
Paese mediterraneo, con il quale l’Europa mediterranea può fare avanzare
l’unità del Mediterraneo”.
[41] In particolare
negli ambiti della formazione, dell’educazione, della cultura, o in quei
settori che non sono sufficientemente trattati dall’UE, come le infrastrutture,
l’ambiente, l’equilibrio sociale e territoriale e la gestione dell’acqua.
[42] Tale definizione è
ripresa da quella data dal presidente francese, nel discorso tenuto a Tangeri,
nel Palazzo Reale di Marshan, il 24 ottobre 2007.
[43] Una struttura
intergovernativa che funzioni in co-decisione secondo una Carta che precisa i
valori condivisi e gli obiettivi da raggiungere.
[44] Il G-Med, ricalca
il format delle riunioni del G8 e dovrà riunire i rappresentanti dei Paesi che
hanno risposto positivamente all’invito del Presidente Sarkozy. Anche degli
Stati non rivieraschi del Mediterraneo saranno ammessi a partecipare a queste
riunioni. Perciò il G-Med del giugno 2008 potrebbe consistere in due distinte
riunioni, una con i soli Paesi rivieraschi del Mediterraneo e l’altra allargata
agli Stati non rivieraschi, senza relegarli allo status di osservatori. In tal
modo l’Unione mediterranea a geometria variabile sarà la somma di questi due
insiemi. Una riunione del G-Med si terrà una volta l’anno, alternativamente al
nord e al sud del Mediterraneo
(http://www.assemblee-nationale.fr/13/rap-info/i0449.asp#P402_61654).
[45] Dichiarazione di
Roma per l’Unione per il Mediterraneo di Francia, Italia e Spagna
[46] Rispettivamente il
presidente francese, Sarkozy, il presidente del Consiglio italiano, Prodi, e il
primo ministro spagnolo, Zapatero.
[47] Da un lato, il
ministro degli Esteri spagnolo ha affermato “dobbiamo fare l’Unione per il
Mediterraneo non l’Unione Mediterranea”, il che adombra l’obiettivo di elevare
il profilo politico del PEM; dall’altro la formula “Barcelona Plus” usata da
Madrid prefigura un programma di riforma e rinvigorimento del PEM. Per i
francesi la soluzione sta per l’appunto nell’UM, che dovrebbe perseguire
un’agenda più concentrata ed efficace di quella del PEM.
[48] I Paesi membri
dell’Unione Europea che oggi si preoccupano del potenziale impatto negativo
dell’UM sui rapporti all’interno dell’UE hanno ragione a mettere in opera
strategie volte a evitare che l’iniziativa francese si riduca a un puro schema
sub-regionale e ad assicurarne la complementarietà con le politiche dell’UE. Ma
la Dichiarazione di Roma sembra sufficientemente chiara a tale riguardo: “L’Unione
non intende sostituirsi alle procedure di cooperazione e dialogo in cui già
sono associati i Paesi del Mediterraneo […]. Il Processo di Barcellona e la
Politica Europea di Vicinato manterranno quindi la loro centralità in seno al
partenariato tra l’Unione Europea ed i partner del Mediterraneo”. Tuttavia, i
Paesi membri dell’Unione Europea dovrebbero anche rispondere alla legittima
critica da cui in definitiva nasce l’UM: la frammentazione introdotta dalla PEV
e la blanda conferenza diplomatica cui è ridotto il PEM sono una buona politica
mediterranea?
[49] All’ingresso della
Turchia nell’Unione Europea, Sarkozy continua a dichiararsi contrario, sebbene
subito dopo la proposta dell’Unione mediterranea è emerso chiaramente che
esiste a tal proposito una certa dialettica interna in Francia; infatti il
ministro degli Esteri, Kouchner, si è dichiarato assai meno ostile ad una piena
adesione della Turchia, e dato che finora la Francia non ha mostrato
un’effettiva volontà di bloccare il procedere dei negoziati di adesione (che è
poi la cosa veramente essenziale), l’adesione della Turchia all’Unione Europea
è comunque da configurare come la conclusione di un processo, e non un dato
acquisito stabilmente sin da oggi. D’altro canto la Turchia non è disposta ad accettare
surrogati ad una piena adesione alla UE ed inoltre tale adesione è in genere
ben vista dai Paesi arabi, che, nel caso contrario, potrebbero trovare poco
incoraggiante una preclusione così marcata nei confronti di un Paese islamico.
[50]
http://register.consilium.europa.eu/pdf/it/08/st07/st07652-re01.it08.pdf
[51] La proposta si
presenta come un compromesso tra l’ambizioso progetto francese e la visione di
Roma e Madrid, più legata alla collaborazione con le istituzioni e i progetti
già avviati dall’Unione europea, visione sostenuta anche dalla Germania che
sottolinea il rischio che iniziative di cooperazione regionale senza tutti i
Paesi membri dell’Unione europea potrebbero portare ad uno sfaldamento
dell’Unione Europea nel suo nucleo centrale.
[52] Discorso del
Presidente della Repubblica Francese sul tema dell’Unione del Mediterraneo,
Palazzo Reale Marshan, Tangeri, martedì 23 ottobre 2007.
[53] Ma come può essere
“europeizzata” l’UM, vale a dire resa complementare alla politica europea? La
risposta più ovvia è che la si realizzi attraverso cooperazioni rafforzate nel
quadro dell’UE (ovvero con procedure consistenti nel realizzare una più forte
cooperazione tra alcuni Stati membri dell’Unione europea in determinati temi,
come giustizia, difesa, gestione economica etc.; si tratta di procedure
istituzionalizzate con il Trattato di Amsterdam e poi modificate dal Trattato
di Nizza). Questo suggerimento viene da più parti, fra l’altro, anche dal
Rapporto dell’Istituto del Mediterraneo di Marsiglia. Il fatto che l’iniziativa
miri ad alcuni obiettivi specifici facilita l’applicazione del modello della
cooperazione rafforzata, sia che questi obiettivi vengano scelti fra quelli che
il PEM e la PEV non perseguono, sia che si punti ad attuare, con piani appositi,
obiettivi che le politiche comunitarie perseguono solo con scarsa efficacia o
che non interessano la generalità dei membri dell’UE. Al contrario, perseguire
tali obiettivi attraverso una struttura politica basata sui capi di Stato e di
Governo non sembra istituzionalmente compatibile con l’UE. Occorre anche
aggiungere che, mentre il PEM consente di associare da subito i Paesi
balcanico-adriatici - Paesi che un giorno potrebbero divenire membri, ma che
intanto non lo sono - la cooperazione rafforzata è un meccanismo UE che non
consente la diretta partecipazione di Paesi non membri. Dunque, ne resterebbe
frustrata l’apparente intenzione del progetto francese di includere i Paesi del
Mediterraneo del Sud. Un’altra via per assicurare la complementarietà dell’UM
con l’UE potrebbe essere quella di trasformarlo in un consolidamento o
rafforzamento dei due schemi sub-regionali oggi esistenti, il Gruppo dei 5+5
(cfr. nota 182) e il Forum euro-mediterraneo per il dialogo e la cooperazione
(cui partecipano Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna, da parte
europea, e Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Turchia, come Paesi non europei).
I contorni di queste due formazioni sono più o meno ben definiti dal punto di
vista sub-regionale (più nettamente il 5+5, meno il Forum), ma entrambe hanno
una copertura mediterranea circoscritta in quanto escludono gran parte del
Levante, o meglio le sue componenti più problematiche. Nelle prime
formulazioni, specie durante la campagna per le elezioni presidenziali, l’UM sembrava,
in effetti, un progetto essenzialmente rivolto al Maghreb e volto a evitare
che, come accaduto al PEM, gli sforzi di cooperazione s’infrangessero sullo
scoglio, rivelatosi insuperabile, del conflitto arabo-israeliano. Le
formulazioni più recenti sembrano invece riferirsi all’insieme del bacino
mediterraneo e, quindi, includere il Levante. Ovviamente, se la volontà è di
includere l’insieme del Mediterraneo, la trasformazione del 5+5 o del Forum o
di entrambi nell’UM non sarebbe fattibile. Ad ogni modo, mentre oggi nessun
Paese dell’Europa del nord ha in mente di diventare membro dei 5+5 o del Forum,
se queste formazioni si traducessero in un’UM ad alto profilo politico, i Paesi
del nord Europa potrebbero cambiare idea e, se fosse loro offerto solo lo status
di osservatori, il carattere alternativo dell’UM alla sfera euro-mediterranea
tornerebbe ad emergere. La risposta francese può anche essere una ricetta
efficace per far uscire la politica mediterranea dall’indubbia crisi in cui si
trova, ma occorre tenere ben presenti e dare soluzione adeguata ai due problemi
politici che essa solleva. Da una parte, c’è la necessità di svilupparla in
modo da renderla complementare con la politica mediterranea dell’UE.
Dall’altra, occorre tener presente il fatto che l’iniziativa dell’UM deriva
dall’allargamento. Tecnicamente, ha a che fare col Mediterraneo ma,
politicamente, riguarda l’Unione Europea e il suo destino. Che la si veda da
una prospettiva o dall’altra, è vitale che sia preservata la coesione interna
dell’UE in quanto bene pubblico europeo.
[54] Cfr. COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITIES, Communication from the
Commission to the Council and the European Parliament. Barcelona Process:
Union for the Mediterranean, COM (2008) 319/4, del 20 maggio 2008.
[55] Il Trattato di
Lisbona (noto anche come Trattato di riforma) è, però, entrato ufficialmente in
vigore il 1° dicembre 2009, undici mesi dopo dalla data inizialmente prevista
(il 1° gennaio 2009). L’intesa è arrivata dopo due anni di “periodo di
riflessione” ed è stata preceduta dalla Dichiarazione di Berlino del 25 marzo
2007, in occasione dei 50 anni dell’Europa unita. La presidenza francese per la
parte europea, che sarebbe dovuta rimanere fino all’inizio di dicembre del
2009, permane tutt’ora: infatti presidenti congiunti dell’Unione per il
Mediterraneo sono ancora Nicolas Sarkozy (Francia) e Hosni Mubarak (Egitto).
[56] C‟è da chiedersi
cioè se non ci sia il rischio di quello che Hervé de Charette chiama
“aggrovigliamento delle procedure”. Cfr. H. DE CHARETTE, Union pour la
Méditerranée: le Sud doit se faire entendre, in Arabies, Giugno 2008
[57] Tale la proposta
italo-spagnola di creazione di un’agenzia per le piccole e medie imprese e per
le piccole e medie industrie in modo da aiutarle ad investire sulle coste
meridionali.
[58] Come le questioni
dell‟acqua, della sicurezza, dell‟approvvigionamento energetico, del trasporto
terrestre, della formazione professionale e degli scambi universitari.
[59] La Croix, 22
maggio 2008 (cfr. http://www.la-croix.com/archives/).
[60] http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&reference=P6-TA-2007-
0538&language=IT
[61] E. SOLERI LECHA,
Barcelone Process: Union for the Mediterranean, documento di lavoro n. 28,
Barcellona, Cidop, 2008
[62] Riunito a Tripoli
il 9 giugno 2008, per trattare la questione dell‟Unione Mediterranea.
[63] Citato da Le
Figaro, 10 giugno 2008, e da El Pays: El magreb da la espalda a Sarkozy, 12
giugno 2008.
[64] La Conferenza di
Annapolis è stata una conferenza di pace per il Medio Oriente tenutasi il 27
novembre 2007, presso la United States Naval Academy di Annapolis negli Stati
Uniti. La conferenza ha espresso per la prima volta una soluzione tra i due
Stati per risolvere di comune accordo il conflitto israelo-palestinese. Essa si
è conclusa con il rilascio di una dichiarazione congiunta di tutte le parti (vi
hanno infatti partecipato 50 delegazioni, compresi i siriani ed i sauditi).
Tuttavia, gli avvenimenti successivi hanno dimostrato l’evanescenza di tale
progetto.
http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/esteri/medio-oriente-37/nessun-accordo/nessun-accordo.html
[65] Le Nouvel
Observateur, 7 giugno 2008 (http://tempsreel.nouvelobs.com/debats/politique/).
[66] Maggio 1948-maggio
2008.
[67] Riunita il 16
giugno del 2008.
[68] M. CHAFIQ MESBAH,
UPM, utopie ou réalité: un point de vue algérien, in Défense Nationale et
Sécurité Collective: Union pour la Méditerranée, Paris, Cerem, 2008,
[69] Al di là dei punti
oscuri, resta il fatto che il progetto francese è importante, ed è certamente
destinato ad avere sviluppi. Nel 2008, dopo la Slovenia, la Francia avrà la
Presidenza del Consiglio Europeo, ed in quel contesto sarà convocata a
Marsiglia una nuova riunione dei Ministri degli Esteri euro-mediterranei,
nell’ambito della quale la Francia cercherà sicuramente di dare alla propria
politica mediterranea una definizione più precisa
[70] In realtà la
Dichiarazione è stata adottata anche con la partecipazione di osservatori
dell’ONU, dell’Assemblea parlamentare euro-mediterraea (APEM), del Consiglio di
cooperazione degli Stati arabi del golfo (CCG), della Lega degli Stati arabi,
dell’Unione Africana, dell’Unione del Maghreb arabo (UMA), dell’Organizzazione
della Conferenza islamica, della Banca africana di sviluppo, della Banca
europea per gli investimenti, della Banca Mondiale, dell’Alleanza delle
civilizzazioni e della Fondazione euro-mediterranea Anna Lindt per il dialogo
delle culture.
[71] Albania e
Mauritania sono entrate nel PEM nel primo semestre del 2008, appena poco prima
che al PEM si sostituisse l’UPM, testimoniando una tendenza all’ampliamento
verso il Mediterraneo indipendente dall’iniziativa francese, esclusivamente
mediterranea, che si è poi trasformata nell’iniziativa europea dell’UPM.
[72] La configurazione
geopolitica dell’UPM è dunque sostanzialmente diversa da quella del PEM. Lo
spazio geopolitico euro-mediterraneo, prevalso fino al vertice di Parigi del
luglio 2008, rifletteva alcune scelte politiche di fondo: innanzitutto, un rapporto
prioritario dei Paesi dell’UE con i Paesi arabi del Mediterraneo piuttosto che
con l’insieme dei Paesi arabi; conseguentemente, si è scelto di includere sia
arabi che israeliani, scommettendo su una risoluzione del conflitto
israelo-palestinese e arabo-israeliano, grazie anche al ruolo che l’UE avrebbe
potuto svolgere come fattore di pace e sviluppo a lungo termine. Il PEM ha
perciò rappresentato il canale della politica europea nei confronti del
conflitto arabo-israeliano e dell’area orientale ad esso più immediatamente
interessata, il Nord Africa e il Vicino Oriente, ma anche del più vasto Medio
Oriente e del mondo arabo-musulmano.
[73] Sebbene l’accordo
sull’implementazione di quest’ultima sia stato in parte rinviato alla
successiva Conferenza dei ministri degli Esteri euro-mediterranei
[74] A livello
internazionale i diritti umani e le libertà fondamentali trovano riconoscimento
nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata nel 1948
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ma già nel preambolo dello statuto
si trovava un esplicito richiamo alla salvaguardia dei diritti umani e delle
libertà fondamentali). Mentre la Dichiarazione aveva efficacia meramente
propositiva, con il Patto sui diritti civili e politici e il Patto sui diritti
economici, sociali e culturali, entrambi del 1966, gli Stati parti delle
Nazioni Unite decidono di vincolarsi a livello pattizio per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo. Nel sistema dell’Unione Europea i diritti umani hanno
assunto un rilievo crescente. Con il Trattato di Amsterdam del 1997 essi sono
stati posti a fondamento dell’Unione (tramite la modifica dell’articolo 6 del
Trattato di Maastricht). La Carta dei diritti fondamentali dell’UE,
sottoscritta a Nizza nel dicembre 2000, pur non avendo formale valenza
giuridica, è un ulteriore, significativo passo in avanti. Essa riconosce i
principi delle Nazioni Unite, ivi compresi i Patti, nonché i diritti
contemplati nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali (CEDU). Col Trattato di Lisbona la Carta diviene
un vero e proprio catalogo dei diritti e delle garanzie vincolanti del diritto
comunitario (il testo dell’articolo 6 viene infatti modificato dal Trattato di
Lisbona: [“Articolo6 - 1. L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi
sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre
2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore
giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo
le competenze dell’Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i
principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni
generali del titolo VII della Carta -delle Nazioni Unite- che disciplinano la
sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui
si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni. 2.
L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le
competenze dell’Unione definite nei trattati. 3. I diritti fondamentali,
garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni
agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi
generali”]). Con essa l’Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i
suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche. I diritti in essa
riconosciuti sono validi e cogenti erga omnes, laddove con il Trattato di
Maastricht quei principi erano stati richiamati con mero valore programmatico
nei confronti dei soli Stati membri. Tuttavia già negli anni novanta, l’UE
aveva inserito la clausola del rispetto dei diritti umani nei trattati coi
Paesi terzi, allo scopo di condizionarne l’applicazione al rispetto dei diritti
umani e dei principi democratici da parte dei contraenti, con una evoluzione
tale che lascia sperare una più efficace azione di condizionamento anche su quei
Paesi dove i diritti umani vengono ancora oggi disconosciuti.
[75] Adottato
dall‟Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE).
http://www.osce.org/publications/sg/2007/04/24112_835_it.pdf
[76] Tale precisazione
è stata necessaria in quanto il primo approccio europeo, nel rapporto con i
Paesi partner mediterranei riguardo la lotta al terrorismo, faceva riferimento
ad un fenomeno “legato a un estremismo violento di matrice religiosa” (cfr. J.
SOLANA, Un’Europa sicura, cit., p. 3) e “perpetrato da Al Qaeda e da estremisti
che si ispirano a questa organizzazione” (cfr. COUNCIL OF THE EUROPEAN UNION,
The European Union Strategy for Combating Radicalisation and Recruitment to
Terrorism, doc. 14781/1/05, 24 novembre 2005, p. 2 ;e CONSEIL DE L‟UNION
EUROPÉENNE, Note de la présidence et du coordinateur de la lutte contre le
terrorisme au Coreper. Stratégie de l‟Union européenne visant à lutter contre
le terrorisme. Bruxelles, 14469/1/05, 22 novembre 2005). Già dalla Politica di
Vicinato l‟accento circa le “sfide alla sicurezza” viene posto sulla necessità
di “ sviluppare un lessico non emotivo, per dibattere tali questioni senza che
si venga a creare un collegamento tra Islam e terrorismo” (cfr. COUNCIL OF THE
EUROPEAN UNION, The European Union Strategy, cit.,).
[77] Tutti i progetti
saranno a geometria variabile, gestiti dai soli Paesi interessati a prendervi
parte. Per tutti i progetti rimane dunque aperta la questione finanziaria: il
loro buon esito dipenderà dalla capacità di promuovere e combinare
finanziamenti di diversa provenienza visto che non sono previsti nuovi
finanziamenti comunitari specificamente destinati al Processo di Barcellona:
Unione per il Mediterraneo. Si tratterà di predisporre per ogni progetto (in
genere attraverso una Conferenza di lancio) un mix di risorse finanziarie:
dagli aiuti bilaterali ai crediti delle banche di sviluppo internazionali e
regionali, al contributo dei fondi sovrani dei Paesi del Golfo (l’emiro del
Qatar ha partecipato al Vertice di Parigi in quanto presidente di turno del
Consiglio di cooperazione del Golfo), ai fondi comunitari (se i progetti
saranno eleggibili ai programmi già decisi da Bruxelles) e agli investimenti
privati.
[78] Parte Seconda-
Capitolo Primo “Analisi della Comunicazione della Commissione Europea sul
Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”.
[79] Che si è tenuta il
3-4 novembre 2008 a Marsiglia
[80]
http://www.repubblica.it/online/mondo/terriquarantacinque/scheda/scheda.html
[81]
http://archiviostorico.corriere.it/2007/marzo/29/vertice_arabo_Riad_approva_piano_co_9_070329034.shtml
[82] Parte Seconda-
Capitolo Primo “La Dichiarazione di Roma e l‟Unione per il Mediterraneo”.
[83] H. GUAINO, cité par Libération, 12 juillet 2008
[84] R. ALIBONI, Union for the Mediterranean: building on the Barcelona
acquis, ISS, Paris, 2008
[85] Nader Dahabi
[86] C’è da chiedersi
se tale assenza sia legata a dispute intermaghrebine o alla presenza del
presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, per la questione del Sahara
Occidentale (questione rimasta irrisolta dagli anni „70, quando si levò
un’ondata di ribellione contro il tentativo, da parte del Marocco, di annettere
il territorio in seguito al ritiro della Spagna. Il Marocco ha da allora saputo
mantenere il controllo con la forza delle armi, ma il Fronte Polisario, che
aveva trovato rifugio in Algeria, rimane comunque una forza con cui il
confronto è obbligato. Da allora, il Parlamento Europeo ha adottato numerose
risoluzioni o dichiarazioni aventi più o meno lo stesso contenuto, ma non
sempre facendo riferimento esplicito al diritto di autodeterminazione del
popolo Saharawi -vedi ad esempio la risoluzione P6_TA-2005-0414). Ma non ci
sono elementi che permettano di confermare l’una o l’altra ipotesi.
[87] N. NOUGAYRÈDE et
G. PARIS, Le pari proche-oriental de la France, in Le Monde, 2008
[88] R. GILLESPIE, A “Union for the Mediterranean” or for the EU?, in
Mediterranean politics 2008, 2008
[89] La Polonia è
concentrata sull’Ucraina, i Paesi baltici sulla vicina Russia, i bulgari e i
romeni sul Mar Nero e il Caucaso. Invece la Slovenia, che ha da poco concluso
la presidenza del Consiglio europeo (gennaio-giugno 2008), si mostra più
interessata essendo stata scelta come sede per una “Università euro-mediterranea”.
[90] A. BENSSAD, Pour
les Européens s‟agit-il de s‟ouvrir au Sud ou de le contenir?, in Le Monde,
2008.
[91] Il testo della
lettera è stato redatto da AKRAM BELKAID e ERIK ORSENNA e firmato da una
ventina di personalità (fra cui Romano Prodi, ex Presidente della Commissione,
Chris Patten, ex commissario e Fathallah Oualalou, ex ministro marocchino) in
Le Monde, 11 luglio 2008.
[92] Rapporteur: P. NAPOLETANO, Projet de Rapport sur les relations entre
l‟Union européenne et les pays éditterranéens (2008/2231[INI]). http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-/EP//NONSGML+COMPARL+PE-412.142+01+DOC+PDF+V0//FR&language=FR
[93] F. RIZZI, Un mare
di conflitti: i presupposti di una politica europea del Mediterraneo, in
Bullettin européen 2007
[94] D. BECHEV e N. KALYPSO, The Union for the Mediterranean: a genuine
breakthrough or more the same?, in The International Spectator, 2008
[95] UNITED NATIONS and THE ARAB LEAGUE, The millennium
development goals in the Arab Region 2007: a youth lens, Beyruth, ESCWA, 2007
[96] L’approccio è
infatti prevalentemente di tipo funzionalista con l‟obiettivo di costituire un
polo economico e socio-culturale, in grado di fare concorrenza al gigante
asiatico (grazie a partenariati concreti che coinvolgano anche fondi privati)
con l‟auspicio che l‟Europa riuscirà a far sì che i capitali del Golfo
finiscano nel Mediterraneo, piuttosto che emigrare altrove (Usa, Giappone,
etc.).
[97] B. KHADER,
L‟Europe pour la Méditerranée,
[98]
266http://www.eu2008.fr/PFUE/lang/it/accueil/PFUE-11_2008/PFUE-03.11.2008/Euromed_affaires_etrangeres.html
[99] Déclaration
Finale, Marseille, 3-4 novembre 2008 in http://www.eu2008.fr/webdav/site/PFUE/shared/import/1103_ministerielle_Euromed/Declaration_finale_Union_mediterranee_FR.pdf
[100] La Conferenza di
Madrid è stata ospitata dal governo della Spagna e co-sponsorizzato da Stati
Uniti e dall‟URSS. È stata convocata il 30 ottobre 1991 ed è durata per tre
giorni. Si è trattato di un tentativo da parte della comunità internazionale di
avviare un processo di pace attraverso negoziati riguardanti Israele e i
palestinesi, nonché Paesi arabi come la Siria, il Libano e la Giordania.
[101] R. BALFOUR, The transformation of the Union of the Mediterranean, in
Mediterranean politics 2009
[102] I partecipanti
hanno convenuto di organizzare un vertice ogni due anni, alternativamente
nell‟Unione europea e in uno dei Paesi partner.
[103] Con Mirek
Topolánek (gennaio-maggio 2009) e con Jan Fischer (maggio-giugno 2009) sempre
per la Repubblica Ceca.
[104] Ma dall’entrata in
vigore del Trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009, il nuovo presidente
rimarrà in carica per due anni e mezzo. La nuova figura sostituirà l’attuale
sistema della presidenza di turno, secondo il quale gli Stati membri presiedono
ciascuno l’UE per sei mesi, così da dare maggiore stabilità alla presidenza. Il
primo Presidente del Consiglio europeo, a partire dal 1º dicembre 2009, che
inaugura il nuovo sistema è il belga Herman Van Rompuy.
[105] Tali figure erano
già presenti nel Processo di Barcellona. Anzi, l’integrazione più rilevante di
elementi intergovernativi si è avuta nel PEM, proprio con la conferenza degli
Alti Funzionari incaricati di portare avanti un “dialogo politico” e di animare
il primo pilastro della Dichiarazione di Barcellona (l’edificazione di un’area
di pace e sicurezza). Malgrado gli Alti funzionari costituissero una presenza
importante, il PEM nel suo insieme è stato però una politica dell’UE coordinata
dalla Presidenza UE di turno e dal segretariato della Commissione. L‟UPM non fa
che rinazionalizzare in via formale il dialogo politico degli Alti Funzionari,
che di fatto avevano perso il loro orientamento multilaterale e comunitario.
[106] Sulle funzioni del
Segretariato inizialmente c’è un conflitto di attribuzioni, in particolare con
la Commissione Europea (fino ad oggi l’unica a gestire concretamente il
Processo di Barcellona). È probabile che in definitiva la Commissione europea
(che era il Segretariato del processo di Barcellona) resterà il Segretariato
del processo precedente; e le vecchie strutture continueranno ad occuparsi
delle materie di competenza del Partenariato Euro-Mediterraneo. Invece, delle
nuove attività (i grandi progetti comuni, trasversali e regionali, nel campo
dell’ambiente, dell’energia, dei trasporti e dell’istruzione, etc.) si occuperà
il Segretariato congiunto dell’Unione per il Mediterraneo.
[107] L’UPM potrà
finanziare i suoi progetti attraverso diverse fonti, dalla partecipazione del
settore privato al prelievo dal budget europeo, dal contributo dei partner o di
Paesi terzi o dalla Banca europea di investimento.
[108] In quanto era
stato deciso che la nazionalità del Segretario generale si sarebbe decisa in
base alla scelta fatta riguardo alla sede del Segretariato congiunto permanente
(del nord se la sede fosse stata scelta in un Paese del sud e viceversa); tra
le possibili sedi erano in lizza Barcellona, Malta, Marsiglia, Rabat e Tunisi.
Dato che è stata scelta Barcellona come sede del segretariato, la nazionalità
del Segretario sarà di uno dei Paesi del sud.
[109] Anche la
Dichiarazione di Parigi, si raccomandava di rafforzare il ruolo dell’Assemblea
parlamentare euromediterranea (APEM). Tale concetto verrà ribadito nel Progetto
di parere della commissione per gli affari costituzionali destinato alla
commissione per gli Affari esteri sulle relazioni fra l’Unione europea e i
Paesi mediterranei (2008/2231[INI]) Relatore: Í. MÉNDEZ DE VIGO, del 15
settembre 2008. (Sul punto cfr.
http://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2004_2009/documents/pa/742/742155/742155it.pdf).
È previsto che l’APEM si riunirà il 13 e il 14 marzo prossimi ad Amman, in
Giordania, per discutere del processo di pace mediorientale. In questo senso se
la sua posizione verrà rinforzata nell’ambito dell’UPM, la sua azione potrà di
certo essere più incisiva.
[110] La prima riunione
ufficiale dell’Assemblea regionale e locale euro-mediterranea (ARLEM) di fatto
si terrà il 21 gennaio 2010 a Barcellona
[111] N. JAZRA BANDARRA,
Quelle Union pour la Méditerranée?, in Revue du Marché commun et de l‟Union
européenne 2008, n. 519, giugno 2008
[112]
http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/09/1113&format=HTML
[113] Istituito dal
Consiglio dell‟Unione Europea nel 2001 (Decisione 792 del 23 ottobre) e
aggiornato nel 2007 (Decisione 779 dell’8 novembre), cfr.
http://www.protezionecivile.it/cms/view.php?cms_pk=14180&dir_pk=395#mic
[114] Nel periodo
2009-2013 l’Unione europea aumenterà il suo sostegno agli studenti e ai
professori migliori provenienti da Paesi terzi, offrendo loro borse di studio
per partecipare a programmi congiunti in Europa. Inoltre, l’Unione europea
estenderà Erasmus Mundus agli studi di dottorato e fornirà un maggiore aiuto
finanziario agli studenti europei. Il bilancio previsto per il programma
Erasmus Mundus nel periodo 2009-2013 ammonta, orientativamente, a 950 milioni
di euro, un aumento considerevole rispetto allo stanziamento globale destinato
ai partenariati nell’ambito di Erasmus Mundus e delle finestre di cooperazione
esterna Erasmus Mundus per il periodo 2004-2008.
[115] Dato che diversi
Stati membri della Unione europea hanno espresso il timore che l’uso del
termine Agenzia facesse pensare ad un futuro finanziamento comunitario, la
Dichiarazione del Vertice definisce il progetto “Iniziativa per lo sviluppo
imprenditoriale nel Mediterraneo” e sottolinea che i contributi dei Governi
avverranno su base volontaria.
[116] A questo proposito la Dichirazione di Marsiglia dice:“the Heads of
State and Government agreed to build on and reinforce the successful elements
of the Barcelona Process by upgrading their relations, incorporating more
co-ownership in their multilateral cooperation framework and delivering
concrete benefits for the citizens of the region”.
[117] Il Rapporto
Reiffers già da molto tempo ha sottolineato questo punto: “... il ne s‟agit pas
d‟une action de substitution, mais [...] au contraire l‟action engagée [dall‟UE
nell‟EMP] doit être poursuivie et approfondie” , cfr. INSTITUT DE LA
MÉDITERRANÉE, Rapport du Groupe d‟experts réuni par l‟Institut de la
Méditerranée sur le projet d‟Union Méditerranéenne, Marseilles, octobre 2007
[118] H. DE CHARETTE,
Nicolas Sarkozy et la politique étrangère de la France: entre changement et continuité,
in La revue internazionale et stratégique 2008, n. 70, estate 2008
[119] INSTITUT DE LA
MÉDITERRANÉE, Rapport du Groupe d‟experts réuni par l’Institut de la
Méditerranée sur le projet d’Union Méditerranéenne
[120] 290Cfr. Serge Telle est nommé directeur adjoint du cabinet de
Bernard Kouchner, ministre des Affaires étrangères, dirigé par PHILIPPE
ETIENNE, in Les Echos, 12 luglio 2007, in
http://archives.lesechos.fr/archives/2007/lesechos.fr/07/12/300186980.htm
[121] http://it.euronews.net/2008/07/12/intervista-a-amr-moussa-segretario-della-lega-araba/
[122] Nella persona di
André Azoulay
[123] Sino ad oggi, il
Dialogo Mediterraneo della NATO è stato innanzitutto politico, utilizzato per
promuovere una maggiore comprensione delle politiche e delle attività della
NATO nei Paesi del Dialogo, mentre simultaneamente si valutavano le loro
esigenze di sicurezza. Di conseguenza, lo scambio di informazioni ha costituito
l’elemento centrale del Dialogo mediante il Gruppo per la cooperazione nel
Mediterraneo, un foro creato nel Vertice di Madrid dall’Alleanza Nord Atlantica
(1997). Tramite questo, gli alleati intrattengono regolari discussioni
politiche con ciascun singolo partner del Dialogo, la cosiddetta composizione a
19+1, o con tutti e sette i paesi del Dialogo (Algeria, Egitto, Israele,
Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia) la cosiddetta composizione a 19+7.
[124] Tuttavia, a
seguito della guerra a Gaza è riemersa la contrapposizione fra i membri arabi
dell’UPM e Israele che impedisce in questo momento all’organizzazione di
avviare concretamente la propria attività
[125] C. SAINT-PROT ed
Z. EL TIBI, Quelle Union pour quelle Méditerranée?, Observatoire d‟études
géopolitiques (OEG), Paris, 2008
[126]
http://www.euromed-capital.com/spip.php?rubrique124
[127] La migrazione
incontrollata costituisce un problema non solo per i Paesi di accoglienza
(perché indipendentemente dalle politiche più o meno restrittive nei confronti
di tali flussi si pongono problemi di accoglienza e di integrazione), ma anche
per i Paesi d’origine, in termini di depauperamento di risorse umane
[128] D. SCHMID, La
Turquie et l’Union pour la Méditerranée: un partenariat calculé, in Politique
étrangère, 2008
[129] D. BECHEV e N. KALYPSO, The Union for the Mediterranean
[130] Basti pensare a
come il dialogo euro-arabo è stato messo in cantiere e oramai, da un certo
tempo, dimenticato
[131] D. BILLION,
L‟Union pour la Méditerranée: une opportunità pour renforcer la coopération
entre les rives de la Méditerranée. Entretien avec Alain Le Roy, in La revue
internazionale et stratégique 2008, n. 70, estate 2008
[132] L’operazione
Piombo fuso è stata una campagna militare lanciata dalle Forze armate
israeliane. L’operazione militare si è protratta dal 27 dicembre 2008 al 18
gennaio 2009. Obiettivo dichiarato dell’intervento israeliano è stato quello di
neutralizzare Hamas che, a partire dal 2001, ha bersagliato i centri urbani nel
sud di Israele, costretto a un ritmo di vita scandito da sirene di allarme e
corse nei rifugi sotterranei (obbligatori per legge). Da parte israeliana
l’azione militare è descritta anche come una risposta all’intensificarsi del
lancio di razzi da parte di Hamas contro obiettivi civili, non appena scaduta
la tregua di sei mesi, ottenuta il 19 giugno 2008 dopo un lungo lavoro di
mediazione da parte dell’Egitto. Da parte palestinese, per altro, il lancio di
razzi contro il territorio israeliano è stato motivato dalla violazioni della
tregua di parte israeliana, violazioni che nel periodo della tregua hanno
portato all’uccisione di 19 palestinesi, la maggior parte dei quali durante gli
attacchi aerei israeliani dell’inizio di novembre.
[133] Con Fredrik
Reinfeldt (luglio-dicembre 2009).
[134] Ministro
dell‟Economia, dell‟Industria e dell‟Impiego francese
[135] Ministro delle
Finanze egiziano.
[136] José Luis
Rodríguez Zapatero (gennaio-giugno 2010).
[137] E. BARBÉ IZUEL, La
Unión por el Mediterráneo de la europeización de la política exterior a la
descomunitarización de la política mediterránea, in Revista de Derecho
Comunitario Europeo 2009, v. 13, n. 32, gennaio/aprile 2009
[138] D.BECHEV e N. KALYPSO, The Union for the Mediterranean
[139] L’Assemblea
parlamentare Euro-Mediterranea (APEM) “ha espresso preoccupazione per il rinvio
della Conferenza dei Ministri degli Esteri, programmata per il 24 e 25 novembre
2009 a Istanbul, e ha raccomandato di produrre il massimo impegno affinché si
ricreino le condizioni politiche e diplomatiche per la piena ripresa delle
attività da parte del ramo esecutivo dell’Unione per il Mediterraneo (UPM) a
livello di Conferenza EuroMed dei Ministri degli Esteri”, cfr. Dichiarazione
dell’Ufficio di Presidenza sull’Unione per il Mediterraneo dell’APEM, il Cairo,
20 novembre 2009.
[140] Dal Ministro
Cosimo Risi (Consigliere diplomatico del Presidente della Regione Campania
Antonio Bassolino) e dal vice Presidente della Regione Campania Antonio
Valiante.
[141] Il 20 novembre
scorso il Sottosegretario Craxi è stata a Tunisi per presenziare alla cerimonia
per il 25º anniversario del passaggio del gasdotto Transmed in Tunisia. La
questione della sicurezza energetica riveste un’importanza prioritaria
nell’agenda delle nostre relazioni con i Paesi del Mediterraneo e del Medio
Oriente, anche nell’ambito del rilancio del processo euro-mediterraneo avvenuto
grazie all’iniziativa dell’Unione per il Mediterraneo
[142] Tale concetto è
stato affrontato al Meeting delle Città del Mediterraneo, tenutosi a Reggio
Calabria il 20 ottobre 2009 (a cui il sottosegretario aveva partecipato), dai
sindaci delle città costiere del Mediterraneo che avevano accettato l’invito dell’Alto
Rappresentante del Segretario Generale dell’ONU per l’Alleanza delle Civiltà,
Jorge Sampaio. In tale occasione i sindaci hanno accolto l’invito a sviluppare
una serie di azioni di City Diplomacy finalizzate a costruire una rete
euro-mediterranea di città interculturali. Tali proposte verranno incluse nella
strategia regionale dell’Alliance of Cities per i Paesi euro-mediterranei che
sarà approvata nella primavera del 2010 nel corso di una conferenza ospitata
dal Governo egiziano.
[143] http://www.bjcem.org/
[144] Rosa Balfour,
analista politico dell‟European Policy Centre di Bruxelles
[145] Lofti Boumghar,
segretario generale dell‟INESG, Institut National pour les Etudes de Stratégie
Globale di Algeri. Nel suo intervento ha poi lanciato una proposta di un partenariato
più limitato, una Alliance de la Méditerrané Occidentale che preserverebbe il
partenariato dai problemi politici e diplomatici legati alla questione
palestinese.
[146] Francesca Maria
Corrao, docente di Lingua e Letteratura araba dell‟Università degli Studi di
Napoli L‟Orientale.
[147] Ahmed Driss,
direttore del Centre d‟Etudes Méditerranéennes Internationales di Tunisi ha
concluso proponendo un‟ipotesi di partenariato che ricorda quella dell‟algerino
Boumghar e cioè di una Alleanza del Mediterraneo Occidentale sul modello del
gruppo “5+5” con l‟inclusione dell‟Egitto. Questo riferimento riecheggia la
proposta di Bichara Khader di costituire all‟interno dell‟UPM un partenariato
più ristretto, un Partenariato regionale privilegiato (PRP), comprendente gli
otto Paesi rivieraschi dell‟UE (Spagna, Francia, Italia, Grecia, Cipro, Malta,
Portogallo e Slovenia, nonché la Turchia come Paese candidato all‟adesione, e
il Principato di Monaco) e i cinque Paesi dell‟Unione del Maghreb Arabo più
l‟Egitto. Sul punto cfr. B. KHADER, L‟Europe pour la Méditerranée
[148] Piero Pennetta,
professore di Organizzazione Internazionale dell‟Università degli Studi di
Salerno
[149] Dott.ssa Anna
Maria Catte, direttore dell‟Ufficio dell‟autorità di gestione comune del
programma operativo ENPI CBC - Bacino del Mediterraneo di Cagliari.
[150]
Talbot, La crisi dell’UpM e il futuro della cooperazione Euro-mediterranea, in
“ISPI commentary”, 2010
[151]
Le secrétaire général de l'Union pour la Méditerranée démissionne, 26 gennaio
2001
[152]
www.ansamed.info/it/news/MI01.XAM09303.html
[153] Di fatto però la
riunione in agenda per il 9 febbraio scorso a Bruxelles non ha avuto il via
libera degli Alti funzionari dell‟Unione per il Mediterraneo. La riunione, che
deve decidere sullo statuto del Segretariato, spiegano fonti diplomatiche,
slitta alla prossima riunione degli Alti funzionari, prevista a marzo a
Barcellona, in cui, lo statuto verrà approvato con procedura scritta dai
ministri degli Esteri dei quarantatre Paesi dell'Unione. Ad oggi, rimane in
sospeso la questione dei vicesegretari e dei portafogli da assegnare, che andrà
risolta prima dell‟appuntamento di Barcellona. Tra un mese, nella città
catalana gli alti funzionari avranno quindi il compito di approvare formalmente
lo statuto, oltre che di determinare alcuni aspetti del funzionamento interno
del segretariato, come organigramma, procedure e budget. Incerti rimangono i
tempi della nomina dei vicesegretari, che spetta formalmente al segretario
generale
[154] http://www.ansamed.info/it/top/MI11.XAM19071.html
[155] Dopo il pranzo con
i monarchi spagnoli e i principi delle Asturie, nella residenza reale della
Zarzuela.
[156]
http://www.ansamed.info/it/top/MI11.XAM17542.html
[157] Il premier
spagnolo ha sottolineato la leadership mondiale delle imprese iberiche in
settori come le energie rinnovabili e i trasporti, i cui progetti possono
usufruire dei finanziamenti alle concessioni spagnole.
[158] A cui hanno
partecipato oltre settanta rappresentanti eletti regionali e locali,
provenienti da trenta Paesi delle tre rive del Mediterraneo.
[159] L‟Assemblea che
riunisce i rappresentanti regionali e locali europei
[160]
http://www.agrigentoweb.it/mediterraneo-riconosciuto-a-regioni-e-autonomie-locali-ruolo-chiave_37451/
[161] Alla quale oltre a
Van den Brande hanno partecipato Ángel Lossada Torres-Quevedo e Hamdi Sanad
Loza, rispettivamente segretari di Stato spagnolo ed egiziano, e il presidente
della Catalogna José Montilla.
[162] Ai lavori
dell‟ARLEM ha preso parte una delegazione del Coppem (Comitato Permanente per
il Partenariato Euro-Mediterraneo delle Autorità locali e delle Regioni)
formata dal vice Presidente della Regione siciliana, Michele Cimino, dal
Segretario generale; Carmelo Motta, e dal responsabile progetti, Michele
Raimondi.
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