Nel gioco della memoria non saprei
dirvi quale sia il mio ricordo più bello, ne tanto meno il più
vecchio. Saprei dirvene un po, un numero sempre crescente,
proporzionale allo sforzo, che più si avvita su se stesso più
riporta alla luce fatti del passato. Potrei, però, dirvi quale sia
uno dei ricordi che serbo con maggiore attenzione, rispetto, onore.
Ci sono dei capelli bianchi, quelli di mio nonno materno. Tanti
capelli bianchi, pettinati alla perfezione, metafora di un uomo
composto ed all'antica. Mio nonno, uomo degno di altra vita rispetto
a quella vissuta, soldato, prigioniero, acerrimo nemico dei tedeschi,
e poi per fame, emigrante in quella stessa Germania che voleva
ucciderlo qualche decennio prima. Mio nonno era un uomo, dedito alla
famiglia, con idee del suo tempo, e la concezione massima che
l'impegno ripaga, almeno quasi sempre. Mio nonno, in quanto uomo, un
triste giorno di freddo siciliano, con la luce fioca del sole
calante, ci ha lasciati. Mio nonno, i suoi capelli bianchi ed i suoi
panini con lo zucchero comprati la mattina presto dal fornaio per noi
nipoti. Qui comincia il ricordo che considero un pilastro di quello
che sono e di quello che penso. Nelle tristissime ore successive alla
morte di mio nonno, la curiosità mista al dolore mi portò a
scandagliare tra le sue cose più vecchie. Attrezzi da fabbro, meno
che una passione, più che un lavoro, vecchie cartoline, e vecchi
arnesi per la cura della barba. Poi quella. Una vecchia scatola di
scarpe, grigia, anonima, quasi che la volontà fosse quella di
conservare per se, a futura memoria, qualcosa di importante, che
magari per altri poteva essere niente, ma andava assolutamente
accudita, custodita, preservata. In quella scatola, aperta più che
dalle mie mani, dal mio pensiero e dalla mia commozione, vi era una
raccolta lunghissima di atti, documenti, attestazioni, ricevuti da
mio nonno, prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale. Mio
nonno aveva conservato per decenni documenti di una guerra, di cui
era stato involontariamente partecipe, quei documenti che attestavano
il suo merito, il suo sacrificio ed impegno per la Patria. Voi vi
starete chiedendo cos'ha di speciale questo fatto. In fondo
partigiani, soldati di alto grado e livello, avranno decine di
ricordi e documenti di ben più alto valore. In quella scatola però
c'era la stessa essenza del pensiero di mio nonno. La guerra c'è chi
la fa pur non volendola, ed invece c'è chi la fa proprio odiandola.
Mio nonno apparteneva a questo secondo gruppo di persone. Il suo odio
per la guerra, per i fascisti, nazisti, e vari sbruffoncelli graduati
era profondo, intimo, viscerale. Sarebbero bastate queste motivazioni
per renderlo disertore all'epoca, e restio a mantenerne il ricordo
dopo. Invece no. Mio nonno fece la guerra, essendo contraria alla
stessa, e conservò il ricordo di quel momento perché era giusto.
Mio nonno non partecipò mai a cerimonie di suffragio, celebrazione,
o cose simili: il suo odio per la guerra rimase tale da portarlo
lontano da queste opportunità pubbliche, ma ciò nonostante portò
per il resto della sua vita quei documenti simbolo di ciò che era
stato, cicatrice di ciò che aveva subito. Voi non conoscerete mai
mio nonno, ed anche io avrei voluto conoscerlo meglio, chiedere di
più, però conserverò per sempre questo ricordo, perché è grazie
a questa scoperta dal sapore amaro della sorpresa, che ho capito
tante cose. Mio nonno sapeva che il sacrificio e l'impegno porta dei
risultati, e non bisogna tirarsi indietro dinnanzi le cose che non ci
piacciono, perché anche quelle vanno fatte per raggiungere i propri
ideali, e tra questi meritevoli di sacrifici estremi sono la
democrazia, la libertà, e la fiducia nel proprio paese. In occasione
del 25 aprile, festa della Liberazione, io posso dirvi che so cosa
significa essere liberi grazie anche a mio nonno, che non fu
partigiano, che non fu eroe, ma servì il suo paese, anche quando
questo non era giusto, non era libero e democratico, e per un'Italia
migliore rischiò la propria vita.
Ivano Asaro