Mesi addietro, era agosto, passo dopo passo compivo il mio solito rito estivo: Rosita, che pazientemente mi aspettava sulla sdraio, ed io che percorrevo tutta la battigia di #tonnarella.
Lidi, facce, bimbi e le solite riflessioni:
“I lidi stanno distruggendo la spiaggia, quasi quanto le maree”; “quel lido anche quest’anno si conferma, per l’ennesima stagione, ritrovo di borghesi decaduti”; “guarda chi si mette nella spiaggia libera”.
Insomma soliti pensieri, non tutti di cui vado fiero.
Però era il solito, quello di sempre, il flusso di coscienza che conosceva la mia mente, quella sabbia, quelle onde.
Certo mi interrogavo sul #covid ma lo facevo con “quasi serenità”. Nel mio intimo e con gli affetti più cari avevo previsto molte delle cose che sarebbero successe, molti deliri, e molte cose “ridicole” oltre al patema dei troppi morti e dei troppi intubati. Oltre alla mia famiglia, Giovanni, Alberto e Daniele erano stati complici e coautori di una serie infinita di riflessioni, pensieri, interrogativi, ma in nessuno di loro mancava la luce del domani.
Problemi si, grandi certamente, ma sempre da affrontare.
Da settimane ormai, Vi dico la verità (almeno a Voi che siete arrivati a questo punto del post) non vedo il domani, non riesco a capire, ad interpretare.
Ho esternato le mie paure, le mie ansie persino ai colleghi negli ultimi giorni.
Il mondo si sta normalizzando nel distacco disumano che abbiamo.
Qualcuno mi ha detto: “è normale, ci si abitua a tutto”.
Sicuramente sarà vero, ma se mi sono potuto abituare ad altro, non so se sia realmente possibile abituarsi alla “solitudine”, a “stare in pochi” sempre.
A non uscire di casa.
Prima o poi il #Coronavirus andrà via ma cosa si sarà portato con se?
Cosa ci avrà lasciato?
Ho ripensato alle dirette social con Salvatore Quinci, Ciccioloso, don Davide Chirco, Pasqualino Mattaroccia e tanti altri amici.
Ho pensato alla speranza di marzo ed all’abitudine di queste ore.
Oggi ho immaginato di nuovo quella spiaggia e non ho potuto fare altro che ricordarla in bianco e nero.
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