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giovedì 30 luglio 2009

I giovani e il bere: una scelta di consapevolezza

Nella nostra cultura è ormai assodato una sorta di consenso sociale relativo al consumo di bevande alcoliche. L’”iniziazione” al bere avviene spesso in ambito familiare, con un consumo di alcol che potremmo definire “alimentare”. Dopo questa iniziale esperienza il consumo di vino, e soprattutto di birra diventa abituale e i genitori accettano tale abitudine a condizione che rimanga contenuta e sotto il loro “controllo”. Il consumo di alcolici da parte di un giovane all’interno della propria famiglia non si configura quindi mai, sin dall’inizio, come un comportamento inadeguato. Col passare del tempo però il “controllo” dei familiari viene esercitato sempre meno, gli adolescenti tendono a sfuggire alle regole imposte dai genitori nella ricerca di un’identità propria che si delinea all’interno del gruppo di pari. E’ qui che si sperimentano le bevande “alternative” (ad esempio la birra in luogo del vino) e i comportamenti trasgressivi come l’abuso. Il senso di questo utilizzo eccessivo, anche se non quotidiano, di alcolici, si può comprendere solo se ci si svincola dall’idea che esso sia legato al piacere del gusto. Quest’ultimo è infatti assolutamente secondario all’effetto che si va ricercando nella sostanza, a quello stato di euforia e benessere che può dare o a quella disinibizione che risulta funzionale all’interno di un gruppo di adolescenti. In altri termini, non è tanto importante la qualità di ciò che si beve, ma che la gradazione e i quantitativi siano tali da avere un effetto “potente”. La prima cosa da sapere riguardo all'alcoolismo è che l'alcool altera la mente e ostacola l’apprendimento. Rende la persona stupida, assente, smemorata, illusoria e irresponsabile. Nelle scuole, si è osservato che chi fa uso di alcool è molto più lento nell’apprendimento degli altri studenti, come se finisse in una specie di torpore, diventando insensibile e incapace. Si può quindi comprendere perchè l’alcool sia considerato da alcuni un valido “sostituto” delle droghe: è una sostanza che può provocare uno stato di profonda alterazione psicofisica ed allo stesso tempo è una sostanza legale e socialmente accettata. Recentemente si è visto un significativo mutamento nella rappresentazione sociale del bere, con un passaggio dal vino alla birra e ai superalcolici e con l’individuazione di nuovi luoghi del bere spesso assunti da modelli esteri (aumentano i pub e le birrerie a discapito delle trattorie e dei ristoranti). Potremmo parlare di due modelli del bere: un modello tradizionale legato al vino e alla cultura dello stare insieme e un modello moderno legato al consumo per lo più di birra e superalcoolici e alla necessità di affrontare difficoltà personali (timidezza, paura, imbarazzo, ecc). Mentre da una parte ultimamente si nota una stabilizzazione del consumo medio pro-capite per la popolazione adulta, dall’altra si assiste ad un preoccupante incremento dell’uso o dell’abuso di bevande alcoliche fra i giovani. In Italia solo il 26% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni dichiara di non avere bevuto negli ultimi tre mesi, ciò significa che il 74 % ha bevuto almeno una volta alcolici o superalcolici. Il 60% dei giovani consumatori beve prevalentemente birra e il 40 % vino. Gli aperitivi e i digestivi sono assunti dal 34% e i superalcolici (per lo più sotto forma di cocktail) dal 21% dei ragazzi in età tra i 15 e i 24 anni. Pertanto è evidente come il problema alcool e giovani sia di particolare rilevanza e di grande attualità specie dopo il provvedimento adottato dal primo cittadino del Comune di Milano. Resto veramente perplesso di fronte alla replica del sindaco di Salemi utilizzata nei confronti del Sindaco Letizia Moratti. Nessuno ha fatto divieto di consumo di alcolici: si sta cercando soltanto di limitarne l’abuso in soggetti ancora minorenni spesso deboli e facilmente influenzabili. Il tentativo è quello di tutelarli cercando di rinviarne di qualche anno la scelta che ci si augura, in futuro, più responsabile. Bene. Non discuto affatto le iniziative finora adottate: la sensibilizzazione è sempre auspicabile e necessaria. E' anzi un primo e fondamentale strumento che lancia messaggi educativi e propositivi senza diventare troppo invasivo negli specifici casi di ciascuno. Il problema forse è un altro: di fronte al dilagante alcoolismo dei giovani è sufficiente un volantino esposto nei locali, ben sapendo che i gestori passeranno sempre dal punto di vista dei giovani per gli “scocciatori” del caso, che le famiglie tenderanno a scaricare la colpa su di loro perchè oggi va di moda alleggerire i ragazzi da qualsiasi responsabilità, che i ragazzi stessi escono già con il malsano obiettivo di esagerare?
Per non parlare, analizzando la situazione generale, di una particolare noia e apatia che sembra affliggere i nostri giovani e che certo non invita a tramutare in attività benefiche lo stare in compagnia. Nella gerarchia istituzionale abbiamo dapprima la famiglia che dovrebbe inculcare valori positivi e senso di responsabilità personale, associazioni, comitati e scuola che possono essere coinvolti (questi sì) in opera di sensibilizzazione perchè in questo caso parliamo di cultura, poi le istituzioni locali che nel loro ruolo primario sono tenute a far applicare le leggi dello Stato. Dire che la legge c'è già significa scaricare ancora una volta il barile senza entrare nella concretezza del problema e del ruolo che spetta alle Istituzioni Comunale e Provinciale. Il provvedimento di Letizia Moratti invece è utile a responsabilizzare tutti i soggetti coinvolti nell'applicazione di tale legge. Finchè non saremo in grado di stabilire le competenze di ciascun attore dello scenario sociale, come potremo pensare di adottare politiche costruttive per la concreta risoluzione dei problemi del territorio? L'ordinanza, firmata dal sindaco di Milano, Letizia Moratti, vieta la somministrazione, la detenzione, il consumo e la cessione anche a titolo gratuito, di bevande alcooliche di qualunque gradazione ai minori di 16 anni. I divieti si estendono anche alla vendita e alla somministrazione di bevande alcooliche, in zone accessibili ai minorenni, a mezzo di distributori automatici che non siano dotati di sistema di lettura automatica di documenti con i dati anagrafici di chi li utilizza. Intanto, questa nuova sperimentazione si sta diffondendo almeno in forma d' idea in molti altri comuni d'Italia come a Pavia, Bergamo e Ravenna. Solo in questo modo si potrà ottenere un valore aggiunto e un effetto sociale, culturale, operativo moltiplicatore delle azioni di prevenzione messe in atto. No quindi a tanti progetti tra loro isolati e senza coordinamento, come qualche volta è successo. Si a progetti condivisi e collegati. Sia l’organizzazione mondiale della sanità (OMS) che il National Institute of Health (NIH) degli Stati Uniti ribadiscono che nessun individuo può essere sollecitato al consumo anche moderato di bevande alcoliche, (figuriamoci minorenni) considerando il rischio che l’uso di alcool comporta per l’organismo. Inoltre gli individui che non bevono non possono e non devono essere sollecitati a modificare il proprio atteggiamento”. Alla luce di questi dati, concordo con il sindaco di Milano Letizia Moratti poiché ritengo di fondamentale importanza la realizzazione di un programma che intervenga adeguatamente per prevenire i danni dell’alcoolismo. La campagna del primo cittadino ambrosiano contro l'abuso di alcol ha proprio il compito di promuovere dei comportamenti e stili di vita coerenti con il mantenimento di un buono stato di salute. Pertanto non ritengo affatto che tale campagna di uso consapevole e misurato di bevande alcooliche possa in qualche maniera ledere l’economia vinicola del nostro territorio. Tutelare e proteggere la nostra salute e quella della nostra famiglia è insieme un diritto e un dovere. Difficilmente però cambieremo la qualità della nostra vita se non impareremo sempre più a proteggerci in prima persona, per noi stessi e per i nostri cari. E poi, quando mai proibire con la finalità dell’educare è mai stato da rigettare come metodo pedagogico volto alla correzione di ciò che può nuocere alla sana crescita di un giovane: non credo che la mia generazione o quelle vicine alla mia, sia cresciuta stupida o traumatizzata dai divieti dei nostri genitori. Oggi, col senno del poi, ringrazio quei “no” educativi che hanno contribuito alla crescita formativa di soggetti con una coscienza civile adeguata per affrontare con dignità le difficoltà che l’esistenza ci pone ogni giorno dinanzi. Per fare questo, per potere scegliere stili di vita e comportamenti “sani” dobbiamo essere informati e perciò consapevoli. La consapevolezza può spingerci al cambiamento e il cambiamento è necessario per ridurre i nostri comportamenti a rischio. I giovani sono la nostra risorsa per il presente, la nostra speranza di sopravvivenza. E proprio i giovani sono i bersagli di falsi modelli di vita, di dati falsi, di sostanze tossiche reclamizzate nei modi più subdoli e abietti. I giovani spesso non hanno abbastanza forza per dire di no, temono di non integrarsi nel gruppo di rimanere “fuori”. Pertanto è bene che la legge tuteli quegli adolescenti ancora in formazione con una personalità non definita, facile preda di tentazioni forti e talvolta subdole. Sicuramente l’età anagrafica non sarà sempre indice di maturità; poco importa, ciò che è rilevante è il fatto che il “divieto” metta dinanzi a ciascuno la propria responsabilità morale e civile. Certo probabilmente ciò che è vietato diventa maggiormente anelato, ma sono convinto che i segni tangibili di cambiamento non lasceranno indifferente l’intera società civile.
Prof. Danilo Di Maria

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