Sonnecchiare non è più permesso davanti le ennesime barbarie diffuse con orgoglio. Una civiltà che ha commesso troppi errori in passato nel rapporto con i popoli musulmani, rischia adesso, per indolenza, di vedere minati i propri capisaldi.
Quanti di voi avranno correttamente ricondotto il titolo di questo misero articolo al celebre libro di Oriana Fallaci, la geniale giornalista e scrittrice Fiorentina, avranno sicuramente fatto giusto esercizio di memoria. Gli altri magari ignorano chi sia addirittura Oriana Fallaci: peggio per loro.
Io, comunque, non sono d'accordo con lei, nonostante sogno spesso di avere un centesimo del suo talento, ardore, coraggio.
Le sue geniali parole, corroboranti di una cultura vera, palpitante, forte, che ti prende a schiaffi, sono macigni nella mia formazione, da cui culturalmente mi sono distinto, ma che mi hanno trasmesso il valore "dell'emancipazione dell'idea dal gregge". Oriana Fallaci non ebbe paura di accusare un'intera cultura di essere portatrice di disvalori, o quasi. Io non condivido il costrutto di quell'idea, mi rifaccio però a quel coraggio. Io ho sempre pensato che la via della guerra fosse non solo ultima nella scala della necessità, ma addirittura assente. La guerra, la morte, l'uomo che uccide l'uomo è la sconfitta più bassa che si possa immaginare. I conflitti mondiali sono stati figli di società che avevano costruito falsi idoli, l'industrializzazione prima, il super uomo poi. Questa è una via che contrasterò sempre. Cosa diversa, ben diversa, è quello che per ora sta capitando in medioriente. L'IS, l'Isis, chiamatelo un po come volete, non è un popolo che si incarna in una religione; non è un gruppo di scalmanati ascrivibile a questa o quella nazione; vano il tentativo di riportarlo nelle categorie descritte da Al Qeda od in Turchia da Öcalan. L'Isis, come è comunemente conosciuto, non è un gruppo di terroristi, quindi impalpabile; non è nemmeno un Gheddafi o Saddam con una sorta di legittimità nazionale. L'Isis è pericoloso perché, come raccontato oramai da mesi, assomma in se la sacralità di tribunali quasi tribali ma tangibili ad un marchio, a cui vari svitati in giro per il mondo possono affiliarsi semplicemente uccidendo la gente in massa. È un pericolo nuovo, che nessuno aveva affrontato sul territorio occidentale, da almeno un secolo. Vedete, dico tutto questo, perché, nonostante sia un fiero sostenitore della pace, della ragione, ad un certo punto arriva quella rabbia e quell'orgoglio che ti uccidono dentro. Oggi all'ennesima brutale diffusione video di un macabro omicidio, questa volta bruciando un soldato Giordano, vivo e rinchiuso in una gabbia, ho capito che essere pacifisti non c'entra nulla. Qui non c'è un popolo che rifiuta un'etichetta, perché non è l'islam il problema, ma proprio l'Isis.
L'Isis non è Fabio Sfar, mio compagno di scuola, ne Hassine Turky, amico di vecchia data. L'Isis è un pericolo attuale, vivo, cogente, che ci minaccia e ci uccide. Fermarli, come comunità internazionale, non è un attacco alla libertà di religione, è un freno a dei folli. Quale stato può legittimarsi prendendosi la responsabilità morale di lapidazioni e stupri?
Poco serve, credetemi, dire che è colpa dell'occidente se c'è quella situazione in quel dato territorio. Certo che l'occidente ha la paternità morale dell'instabilità dell'area; certo che siamo noi i colpevoli, ma non per questo possiamo rimanere con le mani in mano: neghereste ad un alcolizzato cronico la cura per il fegato spappolato dalla dissennatezza? Ecco, dobbiamo fermare il morbo della violenza che ci minaccia, direttamente e senza mezze misure. Solo dopo permettere a loro un reale percorso democratico, non come fatto fin qui.
L'Isis va fermato, anche se taluni personaggi degli Emirati, quelli che ci mandano il petrolio per dirla in soldoni, sono a loro vicini. Bisogna fermarli, bisogna farlo con precauzione e fermezza. Non sono gli islamici il problema, lo sono certamente chi sgozza, stupra, lapida. Non sono gli africani il problema, sono quelli che imbottiscono di esplosivo una bimba, sangue del loro sangue, e la fa esplodere in un mercato. Non sono i seguaci di Allah i problemi, lo sono chi rivendica la libertà e poi minaccia le altrui religioni. Francia, Inghilterra, Usa, Germania, noi Italiani, dopo le porcate dell'Iraq, della Libia, del Congo, non potete sonnecchiare pensando ai barili di petrolio che per ora comprate e prezzo più modico. Perché poi diciamoci la verità, Nato, Patto Atlantico, varie organizzazioni intergovernative, sonnecchiano per il vantaggio economico che il basso prezzo del greggio sta portando alle nostre economie in crisi ormai da quasi un decennio.
Sappiate che: ogni petroldollaro risparmiato è un pugnale piantato nella schiena di quella stessa civiltà che difendete andando in corteo per la strade di Parigi, commemorando i disegnatori di Charlie Hebdo.
"La Rabbia e l'orgoglio" sono un sentimento, non un ragionamento, e magari tra qualche tempo mi pentirò di queste parole, perché l'istinto fa danni che solo i decenni risolvono, ma l'istinto c'è per reagire a quei pericoli imminenti che non possiamo fare finta di non vedere, e che anzi ci rovinano la giornata dietro le urla di un giornalista sgozzato ed un soldato arso vivo.
Ivano Asaro
Ivano Asaro |
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